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Channel: armadillo bar | vino-cibo e musica
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Venticinquesimo

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Marco 50&50



Pierino Penati : Viganò
Dovrebbe venire a fare qualche firma, mi dice.
Posso mandarle una mail, una scansione, qualcosa di più virtuale, le dico.
Spiacente, niente firma digitale, mi risponde.
Analogica potrebbe avere una sua logica, provo...
Dice che mi vuol vedere, di persona (oltretutto) non è granché, metto qualche firma, poi sento arrivare uno dei miei raptus, lo assecondo e in un secondo, comunico un altro IBAN, faccio qualche altra firma e chiudo il conto, svincolandomi.
Legami è un vocabolo che stringe e costringe, da preferirsi, quindi, accentato sulla e.
Realizzo di avere fame e tempo libero, un'accoppiata che mi consente di dirigere la prua a nord, oltre la coda perenne sulla tangenziale est, mentre a sud ovest segnalano un'allerta meteo la Brianza è colpita da una luminosità inconsueta, sulle colline di Monticello, un innamorato new romantic, indeciso tra il mistico e l'astronomo, marca il territorio di vernice rossa con la scritta: io re magio tu stella cometa, che mi mette di buon umore.


Arrivo prima del tocco a Viganò, scambio qualche fusa, non di rito, con lo chef con il nome da gatto che dimostra passione e capacità di osservazione, indicandomi tavolo e seduta nei quali ero stato accolto l'ultima volta, poi, felino, mi fa portare un piattino con un buon salame e un'introvabile mortadella di fegato, non trovo il coraggio per chiedere il bis e mi butto sulla "polenta da passeggio" ancora calda, non pago (pagherò alla fine una cifra "simbolica") in attesa del piatto forte assaggio qualche panino fragrante e un petto di tacchino al miele.



Il mio calice non viene mai lasciato vuoto dal sommelier, assistito in sala da altri tre collaboratori, il tutto sotto la supervisione di Pierino Penati che passa dai suoi ospiti per accertarsi che ogni piccola cosa vada nel verso giusto, "monitorando" al contempo il suo personale e informando, i clienti più interessati, circa prodotti, metodi di cottura e nuove preparazioni in vista e in lista.




Poi arrivano, l'osso, il buco, il midollo, la carne alta quattro centimetri, il risotto con lo zafferano iraniano, un altro calice di Refosco e altri due passaggi del Maitre con due assaggi di risotto a soddisfare pienamente.




Caffè e piccola pasticceria chiudono il mio pranzo del ventuno ottobre e, in attesa dell'ora legale, mi chiedo se sia legale proporre in un ristorante stellato un percorso di questo genere chiedendo in cambio  solo (omissis), non so se il mio pensiero sia condivisibile o meno, non posso darvi altro che la mia versione, se preferite quella di Barney, verrò a cercarvi in biblioteca, comunque la pensiate so di poter trovare venticinque buoni motivi per tornarci. 



Sono arrivato a ventiquattro quando la conversazione al tavolo accanto cambia improvvisamente d'intensità, il tono è leggermente più alto e discorsivo, lui, gesticolando, le dice qualcosa circa una ricciola con l'accento sulla prima i, drizzo le orecchie e la guardo, lei non è per niente male e non merita di certo il paragone, in pubblico, con un'altra, quando capisco che, splendida, è la ricciola accentata diversamente e gustata alla Madonnina del Pescatore, smetto di guardarla, ma quando mi alzo per andarmene lei mi lancia uno sguardo lungo un giorno e una notte e so di aver trovato il venticinquesimo...

M 50&50

Triplete

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Marco 50&50


Pierino Penati al servizio
Tradizione e dizione c'è di mezzo la lingua, che batte dove il palato l'aspetta trepidante.

Lo stupore della notte, la soddisfazione estatica delle pupille, la bocca ben aperta che non professa verbo al momento della presentazione fatta con tutti i crismi del piatto, possono diventare aspetti secondari e al limite dell'ininfluente, quando il punteggio pieno, più che il risultato di studio, di tecnica e di abilità, è determinato, quasi esclusivamente, da un aspetto non secondario, aver saputo fermare nel tempo e nello spazio di diversi decenni, piatti spaziali e senza tempo.


Anche se non mi sento un’allodola, mi lascio ammaliare dal richiamo paradisiaco della torta paradiso servita con zabajone caldo, l’avevo adocchiata durante l’ultima visita, ero riuscito a resistere consapevole che il rigore avesse tempi brevi, in fondo undici passi sono un’inezia anche per chi non è dotato di contapassi regolamentare.


Limito le mie scelte alla carta puntando deciso su due piatti di tradizione e soddisfazione, un primo ed un dolce e visto che, la soddisfazione non è, come prevedevo, venuta a mancare, posso dedicare qualche battuta, senza coltello, alla tradizione, qualche battuta dicevo che più che far ridere spero possa indurre al sorriso condiviso, una condivisione sorridente e gaudente.

Il patron in doppia P, mi racconta con passione che questo semplice risotto base, diciamo alla parmigiana, veniva servito già molti anni fa da suo padre che, su richiesta di un certo Avvocato Pirovano, pensò di arricchirlo con un ristretto di sugo d’arrosto, il fatto che la sua posizione in carta sia pienamente consolidata, induce a riflettere, a maggior ragione se il ristorante che lo propone è stellato, ben frequentato ed affermato.



Il risotto e la salsa, vengono serviti direttamente al tavolo, il bis viene tenuto candidamente in caldo nella ceramica posta su un vassoio a vista, ma non a portata di mano del cliente che sarà comunque ri-servito al momento giusto.



Se il risotto era in carta verbale mezzo secolo fa, per l'origine del dolce, oggi in versione tuorli, zucchero e Marsala in parti uguali, dobbiamo fare un passo indietro di quasi quattro secoli, quando il bolognese Bartolomeo Stefani, che prestò la sua opera presso il Ducato di Mantova come capocuoco, nel 1662 pubblicò L'Arte di Ben Cucinare, a lui viene attribuita la ricetta originale della crema dolce e spumosa dal nome energizzante, lo zabajone.




“Per far un zambalione: Si pigliarà ova fresche sei, zuccaro fino in polvere libra una e meza, vino bianco oncie sei, il tutto si sbatterà insieme, e poi si pigliarà un tegame di pietra vitriato a portione della detta composizione, si mettarà due once di butiro a disfar nel tegame, quando sarà disfato si butterà la composizione dandogli fuoco sotto e sopra. Se si vorrà mettere nella composizione cannella pista se ne mettarà un quarto, se si vorrà ammuschiar conforme il gusto, avertendo però alla cottura che non si intostisca troppo. Puoi fare ancora il zambalione in questa maniera: pigliarai oncie due di pistacchi mondi, pellati e poi pistati nel mortaio e stemprali con il vino, che va fatto il zambalione, e questo zambalione serve assai per i cacciatori, perché alla mattina, avanti vadino alla caccia, pigliano questo; se per sorte perdessero il bagaglio possano star così sino alla sera; se può fare con il latte di pignoli, come di sopra, e per convalescenti, che non possono pigliar forza, si fa col seme di melone.»



Così mentre i risotti pluridecorati (che non è un complimento) fanno la fine delle pizze che vanno troppo oltre a pomodoro&mozzarella, il risotto alla parmigiana mantiene senza sforzo alcuno il suo posto al sole essendo, davvero piatto intramontabile, come lo zabajone che, oggi più che mai sembra avvolgere con voluttà la torta paradiso, ricoprendola di liquido caldo, lei consenziente, in posizione supina, pur assumendo un atteggiamento attendista, sembra non chieda di meglio e lo lascia fare, un boccone dopo l’altro trovano l’intesa, lui ritrova le forze e, facendo onore al suo nome, quando lei chiede il bis si fa trovare pronto e mentre la battaglia continua con soddisfazione reciproca, trovo con naturalezza le energie inaspettate per un godereccio & lussurioso triplete.

M 50&50

Acquolina in bocca e profumi di Sicilia nel piatto

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E non solo dal piatto ma anche dai calici si liberano sentori di fiori e frutti che fanno viaggiare il pensiero verso l'estremo ovest dell'isola dei fichi d'india, regione che mi viene periodicamente incontro, qui a due passi dal faro, a Ospedaletti, nel luminoso locale di Tiziana Caravotta, L'impegno di proporre una cucina fondata sulle ricette siciliane ma realizzate con prodotti locali resta la priorità del giovane cuciniere Davide La Rosa, che condivide intenzioni e origini con la proprietaria, sempre più incentivata a proseguire un percorso iniziato ormai quattro anni fa.


La bollicina di Firriato scorre via veloce sulle note del Grillo e del Cataratto, così come la giornata, che grazie alle intuizioni (non tutte a fuoco) del giovane chef ventiquatrenne, si allontana dalla monotonia del polpo e patate, dello spaghetto alle vongole, della frittura di paranza e dai mille tonnetti creativamente torturati qua e là lungo la costa.

L'illuminazione solare si definisce al meglio -come ovvio-  focalizzandosi sui piatti che fanno parte del bagaglio culturale e palatale di Davide, che non può nascondere il senso del gusto che gli appartiene così come nessuno di noi sarebbe in grado di controllare un colpo di tosse o uno starnuto. La spontaneità si manifesta nitida nel piatto di spaghetti alle sarde (impeccabili), e si rivela fino alla ridondanza dei filetti di spada panati alle erbe (origano) su godurioso intingolo rosso e sanguigno che non parla un dialetto, ma bensì una lingua vera a propria, accentuata e accentata senza vergogna, così come dovrebbe essere l'espressione di un carattere che fatica a farsi intaccare da compromessi.

Convenzione che però viene messa in dubbio dalla legittima quanto discutibile scelta degli ingredienti impiegati per edificare dal nulla accostamenti che possono sorprendere in maniera diversa i clienti più avveduti rispetto a quelli meno formati. Sui dessert, oggi come in passato, i risultati sono oggettivamente buoni o molto buoni, anche se -a suo dire- il cuoco non ama i dolci, ma anche in questo caso il suo soffio vitale lo ispira e gli indica un percorso sicuro, quello di casa, da cui è così difficile allontanarsi in gioventù senza una guida.

Didascalie forse imperfette, avendo preferito concentrare la mia attenzione sulla piacevole conversazione con la mia compagna di banco, Roberta, ah! per un giorno, piuttosto che annotare scrupolosamente ogni dettaglio, pur consapevole che a chi legge interessano prioritariamente i contenuti e il costo dei medesimi, che qui non si scosterà per nessuna ragione dalla fascia 30/40 euro, sia a menù che alla carta.

La sobria presentazione dei grissini, che completano un offerta di pani di almeno quattro varietà

Carpaccio tiepido di branzino con zucca in padella, polvere di capperi e croccante di cereali

Filetti di gallinella e (sarde?) farcite di borragine su crema di asparagi

Spaghetti alle sarde

Spada panato alle erbe (non fritto) su intingolo di pomodoro, olive taggiasche, capperi ...

Mousse di panna al miele di lavanda su crema di marroni, castagne e frutta secca sabbiata

Davide La Rosa


L'Acquolina
     Piazza San Giovanni Battista, 7, Ospedaletti IM
    Tel: 0184 683687

Il venerdì del Dj : Aoc Champagne Blanc de Noirs “Largillier” Brut s.a. Coessens

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Jérome Coessens, alcuni anni fa, si è messo in proprio, riprendendo vecchie vigne di famiglia – ceppi di oltre 40 anni – ed è considerato, oggi, uno dei tanti vigneronsemergenti. Volevi che non andassi a trovarlo?

Siamo a Ville-sur-Arce, un minuscolo villaggio dell’Aube, mentre “Largillier” – suolo con notevolissima presenza di argilla - è un lieu-dit, una parcella, proprietà esclusiva della famiglia – monopole - dove si coltiva solamente Pinot Noir. Jérome è gasato, molto, e (s)fortuna che gli manchi il muretto, le clos, altrimenti chi lo fermerebbe più?
Quando lo incontrai, insistette molto sul fatto che lui vendeva, parte della sue uve, a un famosissimo produttore di Avize. Boh.

Dunque, PN in purezza, base anno 2009, 28 mesi sui lieviti, sboccatura maggio 2012.
Al naso freschezza e tostature, qualche cenno vegetale, i piccoli frutti rossi che ti aspetti dalla bacca nera – ribes e lampone, mora e fragolina – confortati da un bell’intreccio minerale.

All’assaggio, più struttura – troppa - che freschezza, con l’acidità, un po’ indolente, che, non sempre, gestisce al meglio, e circoscrive, i muscoli che il Pinot Nero ostenta, solitamente, nella Côte des Bar (Champagne sud). Permane una forte identità minerale, un discreto allungo, ancorchè il sorso resti un filo affaticato – livello del flacone che cala lentamente - e il peso della materia restringa il raggio d’azione di altri, attesi, elementi.

Da Jérome era andata un po’ meglio la degustazione, che non la bevuta odierna, analizzata con più calma e attenzione. E' un discreto/buon champagne, come tanti altri, nulla di più, certamente non straordinario e, per la mia tasca, dal prezzo spropositato.


Sgàsati un filo, Jerome.

Il sabato del guardiano : Martini e motorini

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Ieri ne ha stesi un bel po', non di panni: ma sai che danni ?!? Giusto dalle parti del torrente coperto in corso di rigurgito, scolmatore in corso d'opera da anni, per evitare ulteriori danni, anni di acque sporche e da conseguenti panni sporchi da lavare il più possibile nel giro di un quartiere.

Danni da anni. Stavolta però nessuno potrà obliterare il proprio biglietto d'ingresso, una presenza a vanvera, perché ci sono almeno 60 pensionati a controllare le buche, sia qui che dalle parti del Municipio. I loro motorini non sono questi, non sono stati boicottati per delazioni, e neppure incendiati, caso mai (mai) ammoniti per deiezioni di cagnoni.

Dice: ma parli di Sanremo? Provincialista ... eh, no, Sanremo non è provincia ma è l'unico comune in Italia che entra nelle previsioni del tempo nazionale, proprio in RAI, insieme ad ogni città che faccia notizia o provincia.

Quello lì non lo sa che potrebbe diventare famoso, non sa che tutto quello che accade a Sanremo fa notizia, perché non siamo ne' Rovigo, che non me intrigo, ne' a Chieti, dove fatichi a trovare risposta anche se chieti. Capitali dello sbadiglio come si leggeva sui giornali l'altro giorno, mentre qui ogni soffio è un piglio che diventa subito bisbiglio, che amplificato ...

Curioso come nella città dei fiori e dei fuori si viva a lungo, probabilmente evitando le strisce pedonali, meglio tagliando la vita giornaliera in maniera più creativa. Eccolo l'over '80, non più abile al rango di motociclista, rassegnato alle ultime quattro ruote, prima ancora che al carrello da supermercato da usare anche per casa o per strada ... come si chiama ... deambulatore? Ma fai attenzione lo stesso vecchio, neanche sulle strisce c'è pietà, neanche per chi ha superato senza danni i limiti di età. La patente? se hai un amico là, chi te la leverà?

Questi -gli scooter- erano messi in discesa piana, mentre i motorini che mi disturbarno il primo Martini erano appoggiati in discesa libera, pendenza da slalom, e disposti contro natura, di fianco, pronti a buttarsi a terra come un gatto ruffiano,  senza neppure avergli promesso con uno sguardo una stropicciata di mano sulla pancia. Basta un tocco di paraurti e ... patapam! Se salti una porta poi le altre le infili tutte. Sei un over, sei un '80, rassegnati. Verranno a prenderti i nipoti adesso, e ti leveranno di mano il conto.

Tutti giù per terra, favoriti dalla pendenza. Li osservo dal banco del bar. Con il distacco del flaneur, ripensando a quella che l'altro giorno mi è crollata addosso, alle mie spalle, e a mia insaputa, schiantandosi su una sedia di legno di quella trattoria : che botta che mi ha dato. Si sarà ripresa? Bho, mentre me ne andavo stava vomitando sul pavimento, e in un momento, quando è arrivato il 118, non mi sembrava molto meglio dallo sguardo spento.

Qui non ci sono quelli del 118 ma qualche migliaio di euro di danni in motorini rasi al suolo si. Vetri, plastica, metallo, vernice, cavalletti, visiere. Scorre del liquido, sarà miscela. Accendo una sigaretta, un'altra la offro a Miss Sheila, scesa da uno yacht anni '80, il Black Devotion, quindi più golosa che buongustaia, parcheggiato giusto qui dietro, ma adesso è qui davanti la miscela che scorre, di fronte alla disastrosa caduta di motorini.

Non sa che dire, sorride e si avvicina al bancone. Che dire, mi faccio il secondo Vesper, il Bond cocktail per eccellenza, quello che adoro, quello che si fa con Lillet, Tanqueray, Vodka e due granelli di pepe nero. Lemon Twist, twist and shout, anzi, sono solo shout quelli che cominciano ad arrivare da fuori. Bha, si calmeranno.

Non si è fatto niente, Lui, quello che ha fatto un disastro fondendo la sua frizione e il color lavanda del parrucchiere con quella della cinquecento, e rifornendo nel contempo per mesi i carrozzieri, producendo un Domino Dancing d'altri tempi. Ma per lui la percezione è diversa: è colpa della frizione, è colpa della discesa, di un senso unico che non c'è e che ci dovrebbe essere, di un buen ritiro certo e di pensione scarsa e incerta. Ma non ha dubbio di mente, sorride di fronte al disastro, ha voglia di continuare a vivere, lo stesso, anche over '80.

Ma per una volta non si arrabbia nessuno. Ieri uno giovane e sano mi ha ravvicinato il suo paraurti alle mie tibie come mai. Sono vivo, integro, e pure sano, come mi rivela un massaggio reflessogeno di piede fattomi fare da una straniera, per evitare marchette.

Il barman ne ha appena tre meno di me, gli altri ancora molto meno, le altre pure, sudamericane, asiatiche, east europe :  eppure tutte e tutti amano le canzoni degli anni '80 che girano di sottofondo.

Anni '80? Sei un vecchio, becero e barbaro! Un flash in the night ti ucciderà! Un Face to Face con una in Twins Set te loricordi? Ma se piovesse non ti metteresti sotto un Gazebo a bere un bio wine? Ti senti un Savage ma ti manca un Garden? Cerchi un New Order ma ti manca un Blue Monday per metterlo in atto? E' tornato di moda il Lebanon? No, gli Human League lo sapevano già che prima o poi quella terra dove la vita costava poco e la si viveva bene e a lungo sarebbe risorta in una sorta di Love Resurrection resort. Guarda invece adesso come siamo e come stiamo : Grigi di capelli e Visage.

Ehi barman, lei che ne pensa del dopo anni '80 ?

Broken Wings

"tutti ci stanno tornando idealmente, non potendolo fare fisicamente, anche musicalmente, vede, qui stasera ballano tutti solo quella roba qui, e anche il dj - quello là alla consolle che ne ha 28 di anni -non riesce a farne a meno, mentre noi ci drogavamo di cose ormai diventate polverose" Si ma che fine avranno fatto i Cutting Crew e Laura Branigam?

Anche il vecchio si diverte, mentre cerca di capire come si compila un modello di contestazione che è in realtà una constatazione, per una volta amichevole. Non servono indagini Kommissario, si occupi di altro, hanno appena massacrato un altro poliziotto, e qui tutto fa notizia,

Miss Sheila ....

Don't You Want Me?

Ehi Mister, Mister ... dove va :  il conto ...

Un attimo : è stata una cruel summer




La domenica del villaggio eni : L'armadillo a sei fasce

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Marco 50&50

Anche l'Armadillo a sei fasce, detto anche Armadillo Giallo, ha la capacità di accumulare grosse quantità di grasso sottocutaneo...

Mi ricredo, faccio ammenda, ho cambiato parzialmente parere, inevitabili tempi di reazioni più lunghi, consentono fisiologicamente risposte più ponderate.
Ho sempre pensato potesse essere sufficiente avere buone gambe e buoni polmoni, miscelare istinto, cuore, fegato e unire al tutto un pizzico di conoscenza acquisita senza sforzo alcuno.

Errore, anche fossero frattaglie in umido.

Se bastassero i colpi di genio dovremmo procurarci un numero di lampade impressionante per far fronte alle diverse sollecitazioni che richiedono con cadenza pressoché quotidiana risposte più o meno immediate, perché tutto torna, nodi più o meno districabili vengono al pettine invocando colpi di spazzola, ben diversi da quelli di Melissa P. e se la speranza di un colpo di spugna che cancelli in toto il problema lascia posto alla consapevolezza che avanza a grandi passi dicendoci che non se ne esce, solo l’ennesimo colpo di genio potrebbe salvarci, a patto di averne un altro pronto in canna.

Ma, a fare affidamento unicamente su quello, si corrono grossi rischi, nemmeno un corso di due giorni sulla sicurezza può metterci al riparo da una brutta sorpresa che, puntualmente, si presenta spuntando dal nulla come l’agguato teso al tramonto da un posteggiatore abusivo che è lì ad indicarci il minore dei mali.

L’animaletto ha perso il controllo cedendo le quote, fossero almeno rosa, confetto, Falqui…

Il galleggiamento, nonostante il posizionamento dinamico non è più quello di una volta, anche se la potenza di sollevamento pari a quattordicimila tonnellate è rimasta la stessa, le onde gigantesche, che prima colpendo la fiancata tornavano dispiaciute indietro perdendo la loro forza distruttiva, adesso qualche scossone riescono a darlo e, se a questo sommiamo le magie in sottrazione di alcuni, che hanno permesso ad altri di fare quel che avrebbero voluto già da tempo, si spiega perché, una ciurma che sembrava invincibile anche ai pirati più scafati, è stata colpita dall’interno minandone la capacità di difesa.

L’animaletto esce dal logo, primo, evidente ed altamente simbolico segno che un’operazione di alta finanza è decollata, oltre le nuvole, oltre i necessari requisiti di trasparenza, dove le ipotesi del prossimo scenario si susseguono ininterrotte come le carte prese alla cieca da un mazzo manipolato, dove l’occhio umano non può arrivare, per cui si dovrà ricorrere ad un altro organo per capire qual è la musica  che stanno suonando per noi.

La trasparenza apparente di questa operazione di alta finanza, che in bella evidenza elenca, prezzi ufficiali, media aritmetica, aumenti di capitale, sottoscrizioni, rifinanziamento del debito, linee di credito, patto parasociale, riduzione dell’indebitamento,permette di vedere oltre, non certo al cuore del problema, dove solo col cuore ci si arriva.

Si parla di cifre difficili da scrivere e da immaginare, qualche miliardo di euro, di core business, cessione di asset non core, di liquidità necessaria, di dismissioni, di cancellazioni di commesse, di tassi competitivi, di redditività, di nuovo assetto corsa sperando non sia della corsa, di prezzo al barile, di Piazza Affari che reagisce positivamente, di un eccesso di rialzo che rimanda all’immagine di un giovane corpo insaziabile mentre un fondo strategico dovrebbe consentire di evitare di toccarlo, il fondo.

…l’armadillo a sei fasce mi parla in una lingua all’apparenza incomprensibile, ma l’apparenza inganna, infatti credo di aver capito benissimo…beviamoci sopra.



M 50&50

La Conchiglia e quelli che c'erano già da prima del web

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Una piccola tartare a rinfrescare un mezzogiorno di fuoco novembrino lungo mare

Il consueto sformatino tiepido di verdure del tempo con vivace mostarda di zucca che apre abitualmente il pranzo a La Conchiglia

Branchie freschissime

Il pesce no! Beh, sarà pure cresciuto assai, però non può avere 20 anni. Tutti gli altri invece, tutti, sono qui da prima che registrassi il primo indirizzo email. Bastava rileggere una volta l'anno una qualsiasi guida cartacea e li trovavi, sempre, e nella parte sinistra della classifica. 

Invece da quando esistono le recensioni sul web ?

Anche.

Nel senso che più di una volta l'anno non si può parlare di questo gruppo di professionisti haute de gamme, di sala e di cucina. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei ... sempre i soliti . Di famiglia o esterni, ma sempre loro, senza nessuna defezione .

Non ci si può sbagliare, ma non si può neppure dire niente di nuovissimo o eclatante, e quindi, chi scrive come chi legge, si troverà inevitabilmente caduto dentro il tombino dell'ovvietà. Lo sanno tutti che qui si mangia benissimo, si viene serviti come in non molti ristoranti in Italia, che la qualità della materia prima, la linerità della cucina, la sobrietà nei condimenti e tutto quanto completa il quadro sarà sempre e comunque degno di uno dei migliori locali che esercita lo stile cucina di mare -ma anche di terra in questa stagione- più vicino al gusto dei palati meno disposti a rischiare di buttare centinaia di euro in bizzarrie da etichettare -per non sentirsi troppo scemi- in piatti da definire "interessanti".

Il rischio che corre qui il Guardiano e di cadere nella retorica e nella ripetitività. Ma non è colpa mia, sono loro non mi danno modo di dire che è appena andato via il maitre, che il secondo di cucina è stato beccato con un'altra e quindi ... , che la proprietà si riserva di confermare la riapertura dopo l'inverno, che il sommelier si è reso partecipe di un qualche scandalo.

Niente! Qui non succede mai niente che possa fare notizia per il web. La notizia qui, al massimo, è l'arrivo di un pesce come quello visto più sopra, oppure è arrivato l'olio nuovo, od una nuova stagione di carciofi e iniziata, come sempre, come ogni anno. Che bello avere qualche certezza in questa civiltà digitale che ce le ha levate da sotto i piedi e davanti agli occhi quasi tutte

E allora mi fermo qui, dopo una lunghissima passeggiata, limitandomi ancora una volta a mangiare, bere, rilassarmi, e conversare, anche se per farlo ci vuole orecchio.

"E la bobina continua a girare 
sì ma la base va avanti anche da sola 
e noi che abbiamo tutta la voce in gola? 
Ma senza base non si può cantare, 
e con la base non si può stonare, 
non si puo` sbagliare. 
Perche`... 
Perche` ci vuole orecchio ... "
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"Chi ha perso il ritmo si deve ritirare 
non c'è più posto per chi sa far da solo, 
due note e un si bemolle fuori luogo 
Vietato di fermarsi anche a respirare 
che qui la base continua a girare, 
chi non sa stare a tempo, prego andare. "

I calamaretti appena toccati in padella e serviti con i primi carciofi: olio di Cassini e limone dell'orto

Catalana light di gamberi di sanremo

Crema di baccalà, gnocchetti di patate (fuori gamma), nocciole grattugiate e maggiorana

Dentice, maionese di pomodoro (senz'uovo) e fagiolini verdi al dente, limone salato

Crème brulée

Esotismo in mille foglie di lingue di gatto, e in finti ravioli di mango e passion fruit. 
Crema al burro da bis


Cannolo iper croccante alla crema di pan di spezie ... e altro

Gli immancabili de la Conchiglia

Vizi privati, di cui mai privarsi





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Il martedì del guardiano : neanche a me rispondono a tutte le email

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"Caro Marco apostolo, in questo post faccio riferimento al commento tuo alla mia di ieri. 50&50 è anche la mia percentuale di risposte alla battuta. Quindi sarebbero parecchi i miei eyes, neri. Ci sta nel bilancio della comunicazione digitale, talvolta benevola quando non ti rispondono, come nell'ultimo caso accusato, rivelatasi una mano Santa in confronto alla situazione che sarei andato ad affrontare. Mi avessero risposto : venga, la aspettiamo con piacere ... sarebbe diventato veramente imbarazzante poi darne riscontro, tanto è sconvolgente la risposta web sull'ennesimo locale ambizioso aperto quest'anno, con tante aspettative: si, ma.

Questa settimana per fortuna ho avuto un pochino da fare, pigiando sulla tastiera con maggior leggerezza, dedicandomi con attenzione ma parsimonia alla lettura digitale, attendendomi però -ingenuamente- risposte alle email, anche vecchie di due settimane. Uno, uno che potrebbe diventare il futuro della critica gastronomica italiana - che non cito per non bruciarne le tracce- mi ha scritto che ha tardato perché la mia email era finita nel suo spam, che interpreto come un segnale abbastanza chiaro sul mio futuro. Un'altra (collega dal linguaggio forbito) forse si è dimenticata delle buone maniere di un tempo, quando domandare era inteso come lecito, e rispondere, innazitutto solo cortesia, non importa se in maniera vaga o negativa.

Vale ancora la regola del silenzio assenso? Le buone maniere? No, sul web no. Qui non ci fai niente con il silenzio assenso. Solo le offese e gli insulti valgono; e forse la difesa dei diritti d'autore, sempre che il P.M. sia dello stesso parere.

Se non mi risponde il ristoratore ad una mail analizzo, poi scendo a leggere il giornale al bar. Se ne vale la pena alzo il telefono, se no lo lascio nel suo brodo, perché disturbarlo con quisquilie, lascialo spendere migliaia di euro sui giornali in pubblicità che durano il tempo di una farfalla. Paginone centrale con pornografia gastronomica esibita come fossero tette e culi over size. Un pubblico e un mercato c'è per ogni prodotto.

Ma questa settimana ... vedi come perdo il filo ... questa settimana tra le mie letture commentabili, ho notato un implemento di layout dalle parti di Dissapore, più aggressivo, ce ne fosse stato bisogno. E poi una ricercata grafica da Scatti di Gusto, dove i contenuti mi sembrano in crescita, come i flame, uno dei quali mi ha aggiustato un'intera settimana, destinabile ad altro. Su Passione Gourmet vedo che tanto encomiabile e oneroso impegno inchioda allo schermo mediamente 1500 occhiolini. Intravino parla legittimamente anche di cucina, ci mancherebbe; altro segnale chiaro sull'interesse che oggi porta il tema food and wine sul web. Pignataro ha levato, dopo quasi cinque anni, la dicitura "I vini francesi del Guardiano del Faro", ormai obsoleta, riducendola per sintesi e per coerenza con il minimalismo del blog a "vini francesi", giustamente, perché i vini sicuramente non lo sono -del faro-, però i contenuti si.


Mi tengo stretta quella email senza risposta, quella che spero non arrivi più ormai, appuntamento che sembrava dover donare piena luce, ad occhio di bue, ed invece si sarebbe potuto trasformare in un buco nero. 

p.s. - Se il cane giallo te la da buca col petrolio rubato alla terra, ricordati che una pista per biglie di plastica in una spiaggia di sabbia si può sempre costruire."

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Riconoscersi

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Personale di servizio secondo l'apostolo Marco
Marco 50&50

"Ritrovare sempre lo stesso personale è un elemento positivo di valutazione di un ristorante o di un hotel che raramente viene considerato, ma che ritengo sia tra i più importanti. Innanzi tutto dà benessere al cliente che torna e viene accolto da persone che ormai considera come dei vecchi amici, mentre è avvilente presentarsi per la ventesima volta in un posto e dovere spiegare tutto daccapo, a cominciare dal cognome per la prenotazione; e poi è un segno di serietà della struttura, perché significa contratti a tempo indeterminato e trattamento che soddisfa il dipendente. Quindi lode alla Conchiglia e ai molti altri che non cambiano tutto il personale ogni sei mesi."

Brindo idealmente a Prosit, l'autore del corsivo, che, in un recente commento, ha evidenziato un aspetto per nulla marginale ma, troppo spesso, sottovalutato, il ricambio non fisiologico, ma bensì illogico, del personale di servizio.

Quel che succede spesso con un libro, è accaduto oggi, ponendo un po' più di attenzione e riflettendo sulle parole in apertura di post, attraverso le righe di altri realizziamo quel che sapevamo senza saperlo, conoscenza dell'inconscio, un pensiero quasi in superficie che affiora.

Spesso chi scrive di cibo, di vino, di luoghi, di persone, segnala "in cronaca" la presenza del solito sommelier, o dello stesso team affiatato ma non pone l'accento sul fatto che facce sempre nuove e a rotazione non fanno un gran bene all'immagine del locale, un colpa, veniale in rapporto a quella ben più grave che i responsabili di un esercizio sia esso un bar dove poter far colazione,  un locale per gustare un aperitivo, un ristorante per una pausa pranzo o una piacevole serata e, ultimo ma forse primo, il personale di un albergo, commettono con regolarità, sicuramente senza aver riflettuto sul danno che questo comporta.

Ritrovare anno dopo anno la stessa signora che si occupa della mia camera in albergo è, sicuramente, motivo di tranquillità, oltre a sentirmi libero di non dover chiudere in cassaforte i lingotti d’oro che uso per le piccole spese, il fatto che lei conosca i miei vizi e le miei abitudini fa si che io mi senta maggiormente a mio agio, così come quando, al mio arrivo, trovo in reception la stessa addetta che può aver cambiato taglio, tinta o fidanzato, note di colore, che mi daranno modo di scrivere in costume, un pezzo di costume all’ombra in giardino, dove l’omino che si occupa del parco e del parco macchine, al quale affidiamo le briglie dei nostri cavalli, è lo stesso dell’anno passato.

La figura del portiere di notte ha dato origine ad almeno un paio di post su questi schermi, se trovo un portiere diverso ogni anno, venendo meno Buffon, “raccontarsela” sul tardi, quando anche le ombre hanno meritato il riposo notturno, non avrà lo stesso sapore; come sarà possibile, mi chiedo, segnalargli con un cenno che saliamo un attimo, certi della sua almeno temporanea discrezione, se non ci conosce.

Queste le note a margine di importanza assolutamente non marginale, adesso entriamo nel vivo, perché stiamo parlando di cameriera, sia quella della pensioncina a due stelle Miramare che del bistellato Miramonti poco importa, essere riconosciuti fa bene al nostro ego, trovare riservato per noi il solito tavolo è quasi meglio di sentirsi dire “il solito” al momento dell’aperitivo, la cameriera di lungo corso, al comando del mio tavolo, saprà la preferenza tra frizzante e naturale, farà in modo, anticipandomi, che io non le chieda del pepe nero da macinare a piacimento, indipendentemente dalla portata, ognuno ha la sua copertina di Linus (che non è un DJ), io ho il pepe.

Se in Romagna la “mia” cameriera si occupa di un altro lato della sala cambio tavolo, se cambiano la cameriera posso cambiare albergo, estremizzando ma nemmeno molto, in fondo è una fatica ed un disagio dover spiegare per l’ennesima volta che il cappuccio mi piace scuro, tiepido, con poco latte tanta schiuma compatta ma, soprattutto, essere costretto a segnalare che la porzione di passatelli in brodo deve andare al di là dell’umano e che se parliamo di cappelletti è necessario un ripasso, nel senso di bis, per evitare fraintendimenti vista la differenza tra gourmet e gourmand, parallele asimmetriche che potrebbero anche incontrarsi…

I panni dell’Apostolo, che porto saltuariamente col massimo rispetto, mi inducono al pensierino finale, proprio Domenica, in occasione della Commemorazione dei dispersi in guerra, alla quale ha fatto seguito un pranzo con quel che resta di un’associazione destinata a scomparire, il celebrante, al momento della predica, anziani, alpini e mezzi toscani in ascolto ha puntato l’indice sui cuori, già “smossi” dalle note del “Piave” ricordandoci che l’uomo ha BISOGNO di essere riconosciuto.
Prosit!

M 50&50


Il solito ! (n.d.r. gdf)

Il 50 gourmand

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Marco 50&50



Non sono stato ammesso.
Sono arrivato tardi, ho sbagliato ingresso e questionario d’ingresso.
Chi siamo veramente ?
Le altre domande non erano difficili, ho solo detto quello che pensavo, la mia verità, poi, mettendoci del mio, non ho riconosciuto un’alga, ho fatto un commento troppo crudo sulla pizza troppo cruda farcita a crudo che va per la maggiore tra i gastrofhighetti e, con la pressione a mille, ho commesso alcuni errori imperdonabili anche in orale, ormai nel pallone, ad un pallone gonfiato che dopo il questionario stava tartassandomi di domande,  ho risposto male chiamandolo orso bruno mentre mi stava chiedendo di un fondo, toccandolo.

Il corso per aspiranti gourmet resta un miraggio, un sogno nel cassetto, che riaprirò in occasione della sessione straordinaria del trentotto luglio, sempre che, per quella data, sia migliorato in alghe, speriamo nella mucillagine…



…nel frattempo, il gourmand, o per lo meno la sindrome del gourmand, che è in ognuno di noi, mi ha preso in disparte chiedendomi, con cortese sollecitudine, una pizza, facendomi alcune premesse per evitare spiacevoli incomprensioni.
Non cerco una pizza chissà come ma come si deve, mi ha detto, né una di quelle focacce travestite da pizza stellata e sormontata di ingredienti quasi introvabili, ciascuno dei quali viene a costare quanto libro, pur non avendo nulla da dire al pomodoro e alla mozzarella che, in carrozza, se ne vanno lasciandolo lì solo, nudo e crudo come un verme, beh ci siamo vicini, nello specifico, stavolta, trattasi di cavalletta ripiena di grilli per la testa del pizzaiolo gourmet.



Poi, la sindrome del gourmand ha rincarato la dose dicendomi che si sarebbe accontentata di un tavolo alla giusta distanza dagli altri, un locale d’atmosfera che non permette ad alcun maitre di disperdere nell’atmosfera profumi di bosco, sentori iodati di alghe, nè note affumicate provenienti dall’altoparlante che, parlante con voce suadente dovrebbe disperdere nell’aria musica soffusa & diffusa.
Una birra chiara, alla spina andrà benissimo, ha continuato la sindrome, un buon caffè a chiudere e numerosi tranci da condividere chiacchierando del più e del meno che viene a costare una serata così.



Ti porto dove ho placato recentemente l’ultimo attacco gourmand che mi ha colto martedì scorso, le dico, quando mi sono fatto tentare, leggendo di un giro pizza diverso dal solito, sia per quanto riguarda il livello più che sufficiente dei tranci, sia per la qualità dell’impasto, che per quel che concerne l’ambiente e la musica ambient; invece di salsiccia e friarielli, della quattro formaggi con un gorgonzola notevole, di una napoletana procace che pur chiedendo liquidi in notturna si è lasciata assaggiare, prese la volta scorsa, ne proveremo altre senza naturalmente prescindere da una romana, da una margherita e da una calabresella piccante di nome, di ricordi e di fatto.



Quando abbiamo ordinato, ho specificato, pur non essendocene bisogno, che la romana la preferivo trasteverina, che non tifasse Lazio e che non fosse farcita con polpa d’aquila, che la margherita fosse più “normale” possibile e che non gradivo fiori eduli, ma soprattutto che il piccante sulla calabresella fosse dato da un buon salame e non dall’aria di peperoncino da spruzzare a (dis)piacere.

La formula vincente, non solo, voglio ribadire, per i prezzi concorrenziali, prevede, una ruota alla volta, da scegliere a piacimento, già tagliata a spicchi e servita fumante su un bel tagliere tondo di legno, una birra media e un caffè per euro dodici a persona, siamo in due preparo quattro banconote da sei.

Il servizio è attento, sono stato attento anch’io, già dalla prima sera e credo di poter affermare con assoluta sicurezza che “Anna da dimenticare” risponde a molti requisiti, uno su tutti si fa notare senza essere né appariscente né invadente, è semplicemente carina, simpatica e disinvolta.

Beh ad essere sincero, è anche giovane, sorridente, attraente e ha un bel portamento a completare una descrizione un po’ approssimata;  forse mi sono lasciato distrarre dai tranci bollenti, mettendo in secondo piano i bollenti spiriti.
Se a Villasanta, Villa Vecchia fa buon brodo e buona pizza, le giovani leve hanno lunghe leve e “Anna da dimenticare” con le sue lunghe leve potrebbe far leva anche su qualche gourmet, i gourmand sono già tutti fottuti.



M 50&50

Il venerdì del guardiano : imparare le lingue

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gdf

In questo week end, caratterizzato, tra gli altri, dallo scandalo dei furti ecclesiastici e da quello degli oli d'oliva taroccati, nella città capitale dell'olio va in scena la festa dedicata proprio all'olio, quello nuovo, appena frantoiato, che per tre giorni scorrerà su trucioli di pane, utili per ungersi meglio le dita e sporcarsi la camicia. 

Congiuntamente, leggo sul Secolo XiX, sono stati revocati i domiciliari a Scajola, quelli provocati dal caso Matacena. Se vorrà, potrà scendere a piedi da casa, sarà meglio, perché l'effetto primario provocato da questa festa annuale che impegna tutto il centro di Oneglia e le strade convergenti sulla strategica Piazza Dante, è la fine del traffico scorrevole, in tutti i sensi, prima di tutto in quello di marcia, non importa in quale direzione, non si fanno preferenze in questo caso, e neppure l'olio fresco sarà in grado fluidificare i flussi di automezzi.

Per andarsene ci sarebbero diverse opzioni da prendere in considerazione, diverse dall'utilizzo di un auto; per esempio prendere un treno, peccato che una buona metà di questi non si ferma alla stazione di Oneglia ma tira dritto per l'altra stazione imperiese, quella di Porto Maurizio, dove solo in estate qualcuno ci sale o ci scende.

Via mare il servizio non è garantito in direzione Sanremo, mentre gli autobus, ogni mezzora garantirebbero la loro presenza, in teoria, perché quello delle 17 non passa, e neppure quello delle 17.30, tuttavia un fuori orario si presenta con quel rassicurante display che recita Sanremo, verso le 17.50

Prendere o lasciare? L'alternativa sarebbe tornare di nuovo alla stazione FS, con l'eventualità -od opportunità- di dormirci l'intera notte in attesa di un pigro regionale che viaggi con almeno una mezzoretta di ritardo fisiologico.

Prendo. Trattasi in realtà di carro bestiame privo di ammortizzatori, scarso di poltroncine, per altro - i pochi sedili- montati direttamente sul telaio, utili per meglio rendersi conto delle condizioni del fondo stradale. Per passare il tempo si potrebbero contare tutti i tombini e  le buche lungo i 25 chilometri. 

Un bel passatempo purtroppo disturbato dalla folla urlante in una decina di lingue diverse, donne e uomini di almeno 20 nazionalità diverse da quelle europee, tutti insieme, tutti che vogliono andare nella stessa direzione.

A occhio, c'è solo un altro italiano a bordo, l'autista, che la strada la dovrebbe conoscere e portarci comunque, in qualche modo, fuori dalla tentacolare capitale dell'olio. L'operazione riesce, me ne compiaccio, ascoltando come fosse musica l'insieme di idiomi che si fondono come un mantra che mi mette un po' di sonnolenza, e quindi faticando un poco a recuperare lucidità mentre tutti quanti gli stranieri sull'autobus, come ad un segnale convenuto, decidono di scendere - tutti insieme- ad Arma di Taggia, in corrispondenza della nota rotonda corredata dalle olive da 140.000 euro. Penso ingenuamente: abiteranno veramente tutti qui o prenderanno una coincidenza per la Oil Valley?



All'incrocio successivo mi prende un senso di solitudine, e solo quando l'autista lo infila nella direzione opposta un dubbio mi assale, come quella volta che a Milano presi quel treno per Tirano invece che per Torino, convogli piazzati strategicamente sui binari affiancati per verificare la prontezza di riflessi dei viaggiatori. In quel caso me ne accorsi verso Monza che stavo andando affanculo; qui invece di farmi sorprendere anticipo la mossa e mi butto, dall'ultimo dei sedili verso l'autista che mi osserva dallo specchietto.

Ma senta un po'? Ma dove sta andando? Di qui non si va a Sanremo.
Infatti, ma non ha capito quello che ho detto prima? Capisce l'italiano? Non ha visto che tutti sono scesi?

Proprio davanti alla grande chiesa di Arma va in scena la presa per il culto.
Così ne fotto per mille avrà pensato l'autista.

No, e perché sono scesi tutti?
Perché l'autobus che andava a Sanremo è un altro, quello che ci segue; io torno a Imperia, perché ormai si è fatto tardi.

Come a Imperia, con quel caos in centro?
Lo so, colpa della Festa dell'Olio

Si, ma, io che faccio? Sono quasi tre ore che combatto per tornare al faro.
Scenda qui, davanti alla Chiesa grossa, il suo autobus, quello che va a Sanremo, ci sta giusto seguendo.

Ma come seguendo se lei va dalle parte opposta?
Scenda e non si preoccupi, alla rotonda delle olive riprenderà la statale nella sua direzione.

Scendo, l'altro autobus arriva, ma non si ferma perché è al completo, stracolmo dei miei ex compagni di viaggio extracomunitari che conoscono le lingue meglio di me.



gdf



Musica, cultura e assaggi di tartufo bianco. Il 28 novembre in Roero

Henri Giraud's Cuvee Argonne 2004:

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"Questo è il sapore che a mio parere il Krug dovrebbe avere”!!" Robert Parker

"Con sede ad Aÿ, la maison Henri Giraud produce Champagne fin dai primi anni del 1800. Claude Giraud ha iniziato nel 1990, portando la famiglia alla dodicesima generazione di produttori. Rievocando gli stili di grandi Champagne come il Krug, I vini base di questa maison fermentano in botti di rovere, dove avviene anche la fermentazione malolattica. Questa tecnica consente di produrre vini di incredibile ricchezza, struttura e densità, molto simili appunto allo “stile Krug”.

Non a caso, tutti i più rinomati critici del vino concordano sul fatto che questo è uno dei migliori produttori emergenti dalla zona di Champagne. Antonio Galloni li descrive come 
“tra i Champagne più unici e con più personalità che abbia mai assaggiato. Robert Parker sottolinea, "questo è probabilmente il più interessante produttore di Champagne del quale solo in pochi intenditori hanno sentito parlare” e riferendosi all’annata 2002 questo è il sapore che a mio parere il Krug dovrebbe avere”!!

Il prodotto di punta di Giraud, l’Argonne 2004 è un bland di 75% di Pinot Nero e 25% Chardonnay e ne 
sono state prodotte solo 4.200 bottiglie. Queste interessanti, eleganti bottiglie sono estremamente limitate e difficoltose da trovare, in più vengono vendute principalmente solo in Francia ed in Italia prima ancora dell’loro imbottigliamento. " J.P.

Beh! messa giù così dura mi sembra convincente come argomentazione. Del resto, non è che si può avere bevuto tutto lo scibile, ma c'è tempo per rimediare.

CAmoMILLA

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Marco 50&50

Ho commesso due errori, nessuno imperdonabile, ho preso il libro della Baresani e l'ho letto tutto prima di andare a letto.

Passare una serata con un libro non è mai uno sbaglio e, ad onor del vero, Gli Sbafatori, si lascia leggere senza fatica provocando anche qualche sorriso, in ognuna delle sue centotrentaquattro pagine.

I due personaggi principali, Rosa, giovane food blogger e Guidobaldo, critico gastronomico, sono appena accennati, così le altre figure di contorno.

Ma se la caratterizzazione dei protagonisti, e non, di questo romanzo, potrebbe anche non stupire ed essere stata una libera scelta, i sentimenti e le emozioni dovrebbero emergere, per dar modo a chi legge di provare un pizzico di passione in più.

Inaspettatamente invece, anche le poche righe dedicate al sesso, sembrano, volutamente ?, dati di fatto, per poter arrivare prima al punto, al capitolo successivo e alla parola fine.

Il romanzo, non essendo un aereo, non decolla mai, ma lo scopo di un romanzo dovrebbe essere quello di farci volare con la fantasia, portarci dove vorremmo, ma anche farci pericolosamente avvicinare a qualcosa che non vorremmo avvicinare mai.

Forse, scegliendo di renderlo più asciutto, difficile vista l'aridità di fondo, e ancor più schematico, avrebbe potuto trovare una collocazione ottimale come  "Manuale dello sbafatore" o, ancora meglio, entrare di diritto in uno di quei blog che amano le classifiche, i punti numerati, con "il decalogo del perfetto sbafatore".

Camilla come va?
Guardi, signora, nello specifico non ho nulla da rimproverarle, senza alcuno sforzo ottiene più del minimo sindacale, resta il rammarico di veder sprecato tanto potenziale, non si applica, ottiene senza fatica quel che gli altri non raggiungono studiando, ma mi creda, potrebbe fare molto di più, "la giustizia del mondo punisce chi ha le ali e non vola"

Camilla ci racconta che la protagonista a forza di finger food e assaggini vari non era più abituata ad un solo piatto veramente buono sul quale buttarsi a ripetizione e cita i Casoncelli alle erbe della madre, forse l'autrice avrà pensato di fare lo stesso, dandoci solo qualche mezza tartina, farcita di lingua inglese, glamour che non sazia, mentre noi, io per lo meno, avremmo voluto i Casoncelli, corposi e ben conditi, una scrittura che rapisca, se pur dissacrante.

Ho come la sensazione che, per qualche motivo imperscrutabile, il romanzo dovesse essere dato alle stampe entro una certa data, o che, per cause di forza maggiore, altri impegni o pensieri,  abbiano distolto la Baresani dal piccolo mondo relativamente antico della critica gastronomica e dai suoi aridi personaggi.

Mi resta un dubbio, visto il potenziale inespresso, che questa aridità di fondo che pervade dialoghi, luoghi, personaggi e sentimenti sia stata messa lì volutamente da Camilla che, "schifata" davvero da questo mondo, non abbia, per scelta, voluto scrivere, sugli Sbafatori, nemmeno una riga in più.

M 50&50

Non si può sbagliare

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Marco 50&50

Pregi : la piccola frazione di Barate, tre diciottesimi, fa si che il mio sesto senso mi porti a suonare il campanello giusto, quello dell'Antica Osteria Magenes

Difetti : il Guglielmo Tell, non ha camere libere, i cultori della pennichella dovranno spingersi da Gaggiano fino ad Alessandria.





Mousse di caprino e pan brioche


Dal forno del Magenes


Fresca partenza con palamita, nocciole, arance e ravanelli, mi è mancato un po' di pepe ma non faccio testo


Arrivano profumi e contrasti con la terrina di maiale, brusc, rafano e uova di lompo


Ad occhi chiusi sul risotto, così il profumo di  porri, vongole e liquirizia arriva meglio


Inaspettato ed apprezzato piatto forte con roast beef di fegato, senape, prugne umeboshi, cavolfiore, polvere di sarda affumicata, ma di Elisabetta Canalis non c'è traccia


Derivati del latte a "ripulire" prima del dessert


Torta di riso con salsa al cioccolato


Liquore al cioccolato centrato, doppio&concentrato

Dopo un caffè come si deve, per cui bollente, forte e ristretto, il conto che, comprensivo di acqua, coperto e diversi calici, non arriva a trenta ma merita ugualmente la lode.

Un indirizzo sicuro per una pausa pranzo in un ambiente confortevole a qualche minuto dalla Milano da bere, svariati vini al calice, etichette che consentono di stappare a portofaglio sereno e leggermente più impegnative bolle francesi di piccoli produttori.



A cena, nella bella veranda, sarà possibile lasciarsi tentare dal polso fermo e dal sorriso cordiale dei fratelli Dario e Diego che sapranno proporre piatti della cucina lombarda ma anche ricette che, pur abbandonando il solco sicuro e conosciuto della tradizione milanese, potranno essere apprezzati con soddisfazione anche da palati più gourmand che gourmet.

Servizio attento, apparecchiatura sobria e la distanza di sicurezza tra i tavoli impreziosiscono la sequenza equilibrata e ritmata delle portate, sulle note di Max Gazzè, che si sovrappongono armonicamente a quelle del mio bianco profumato dall'acidità percettibile, anch'io  ammazzo con estrema soddisfazione il tempo in attesa di un altro caffè.

Prima dei titoli di coda, un'indicazione per i milanesi, che, sbagliando, non hanno mai varcato la soglia, c'è una sola entrata, l'ho segnata con un evidenziatore dal cappuccetto rosso, dovesse passare lupo alberto ;-) comunque non  ci si può sbagliare, un grosso sbaglio sarebbe non provarla quest'osteria che rincuora e, nonostante le chicche, tenete un po' di spazio per i chicchi, sempre sopra media.


L'immagine in bianco e nero del team Magenes è del fotografo Marco Varoli.

M 50&50

http://www.osteriamagenes.it/

La famiglia allargata

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Marco 50&50

Mise en place sotto i mattoni rossi


Guarda ti ringrazio, ma non mi entusiasma un pranzo a casa di sconosciuti, cuochi improvvisati che non sanno tenere in mano una padella, non vedo perché dovrei andare in un home restaurant, facendo finta di sentirmi a casa, in famiglia.

Perché andiamo a casa di amici, non in un home restaurant e il padrone di casa è un cuoco, di mestiere, per l’esattezza un cuoco con i controc@zzi

In cucina: Angelo Antonio Angiulli, Fabio Barbaglini e Gianni Sarzano

Un antipasto caldo: tonno di coniglio, puntarelle, insalatine invernali e uovo di quaglia

Una decina di antipasti freddi piemontesi, oltre ai salumi, ça va sans dire

La pasta al forno con polpettine by Angiulli

La salsa Royale prende vita

Et voilà!  La lepre a la royale è servita

Una lepre a quattro zampe e otto mani

Piacevole aperitivo

Dosage zero e mineralità sparata. Acidità, freschezza, persistenza e tantissima personalità

Un alito di vento dalla Loira

Incredibile l'acidità e la verve di questo bianco di frontiera lungo mare

Una cattedrale costruita con la pietra focaia. Cerini e carta vetrata. Immortale 1997

Terziario avanzato, ma subito terminato: salvia ananas e caffè

100! Insisto, spargete le mie ceneri sui premier cru di Meursault

Tappi lunghi, ma ce la possiamo fare

L'esotismo borgognone, un po' diviso, ma la seta di fondo è finissima

Un boccone di gorgonzola di Angelo Croce: più lo conosci e più ti piace

Con questi, abili con il formaggio e con la pioggia di dolci d'autore


La torta di mele maison di Anna ...

Panettone a lievito madre

Bisto: Pasticceria e Caffè a Busto Arsizio

Un ringraziamento a distanza a Jacques Thorel per le splendide bottiglie lasciate qui incautamente


Qualora le foto e le didascalie fossero state scattate e scritte con mano incerta, mi permetto di segnalare un motivo (o due) per il quale valga la pena di ritornare:

1
La strada per arrivare a destinazione rilassa e ben dispone
2
una volta arrivati, a prendersi cura della vostra auto, indicandovi un parcheggio adeguato nel prato adiacente sarà uno chef stellato
3
lo stesso chef, vi condurrà oltre il cancello nell’accogliente sala da pranzo che funge anche da salottino dove sarà possibile attendere comodamente gli altri invitati.
4
I padroni di casa, nonostante il vostro arrivo in anticipo sull’orario convenuto vi accoglieranno calorosamente e, interrompendo le preparazioni destinate al pranzo, vi mostreranno con naturalezza e gentilezza la casa di famiglia ristrutturata con gusto
5
gusto che ritroverete nei dettagli che non  sono dettagli.
6
Sarà un piacere notare un’accurata preparazione della tavola in vista dell’aperitivo
7
degustare bollicine francesi sotto i mattoni a vista
8
sbirciare nella bella vetrinetta antica piena di calici pronti all’uso
9
osservare la vallata sparire a poco a poco nella nebbia che avvolgendoci sembra isolarci e proteggerci
10
Così come piacevole sarà, tra uno stuzzichino ed un altro, fare due passi fuori
11
ammirare un bella veranda, immaginandola in una calda serata estiva
12
scattare qualche foto
13
guardare con invidia una pianta di limoni
14
una di cachi che invita all’assaggio
15
e giocare con  i due bei cagnolini di famiglia.
16
Mentre il padrone di casa ci mostra il tavolo imperiale che, sottoposto ad un lavoro di falegnameria, avrebbe potuto permettere anche a chi non si è presentato all’appello di sedersi comodamente,
17
il telefono non squilla per annunciare un imprevisto o chissà cosa e
18
il mancato arrivo dell’affinatore di formaggi non mette nessuno di malumore
19
anche perché, “il Gianni”, per non saper né leggere né scrivere, aveva pensato di fare personalmente un “salto” a Casalpusterlengo mettendoci un Croce, sopra la tavola imbandita.
20
Se l’insalata russa, io sono attento e ben disposto in direzione delle terrine che la contengono
21
così come nei confronti dei peperoni svuotati e fritti dallo chef dalla tripla A
22
che ha preparato per noi anche una teglia di pasta al forno che sta raggiungendo la temperatura ottimale,
23
la nostra, a forza di calici, sale
24
per evitare giramenti di testa metto sotto i denti qualche buonissimo grissino (preparato dalla sorridente padrona di casa che, se pur indaffarata sembra rilassata),
25
qualche fettina di salame
26
un pezzetto di delicata salsiccia fresca,
27
una splendida mortadella di fegato
28
un altro pezzetto di salsiccia.
29
Scambio due parole con il mio garbato vicino di tavolo, un “cercatore” di bollicine francesi di piccoli produttori, che dopo qualche calice e l’aperitivo dovrà lasciarci, l’impegno è a Digione, avrà finito la senape…
30
A manca, mister ics, l’altro vicino, mentre io mangio per due beve per due, ci compensiamo, sembriamo una coppia di fatto
31
di fatto siamo ancora all’aperitivo e abbiamo stappato come non ci fosse un domani, mentre domani dovrei lavorare.
32
Una sosta ai box mi consente, anche, di ammirare una bellissima finestra colorata e,
33
altri due passi in giardino, mi permettono di tornare ad assaggiare qualche peperoncino piccante targato AAA e uno splendido piatto dello chef resident, un coniglio con verdure cotte e crude che nascondono una gradita sorpresa.
34
Le chiacchiere interrompendosi all’arrivo della pasta al forno ci permettono di sentire la musica in sottofondo, mentre il mio stomaco sembra avere un doppio fondo, accenno un bis,
35
tanto mia moglie non vede, sta chiacchierando con la sua amica che, in splendida forma, alterna confidenze, risate, momenti di serenità a verdure cotte e crude senza disdegnare comunque la pasta e, udite udite, anche un calice di buon rosso.
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Un altro chef stellato, che avevo conosciuto solo per interposta persona, aiuta gli altri due cuochi ad impiattare, poi ci regala un aneddoto che voglio riportare, almeno parzialmente, tempo fa, ci racconta, ha cucinato tra gli altri per un signore ottantottenne che, abituato a cucine comunque di livello, rimasto colpito da un suo piatto, ha voluto “premiarlo” scrivendo per lui un articolo dal titolo “un guanciale da sogno”.
Un insolito riconoscimento che credo valga per lui più di tante stelle conquistate o da conquistare.
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Nessuno stranamente e finalmente guarda tablet o smartphone, è davvero una giornata da incorniciare, assieme al piatto forte che arriva di rincorsa insieme alla polenta e alla sua salsa, la lepre, strepitosa.
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Antichi ed eleganti piatti di famiglia vengono sostituiti e riempiti a ciclo continuo, mentre io continuo a sentirmi bene e non mi tiro indietro, soprattutto perché
39
è arrivato il momento del gorgonzola che, inspiegabilmente, fungerà da digestivo e da apripista in attesa dei dolci che metteranno a dura prova la mia capacità di resistenza.
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A disposizione degli ospiti o, direttamente serviti al piatto, verranno messi un panettone
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uno splendido dolce con strepitoso accompagnamento al caffè
42
un vassoio di freschissimi cannoncini alla crema
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dei biscotti, dei biscottini allo zenzero ma non solo, poi arriva a centro tavola, comunque nella mia direzione
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una favolosa crostata di mele, ne che avrei voluto portare a casa una fetta, ma ero controllato, se pur a distanza…
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Un caffè sembra chiudere i giochi e,
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mentre  qualche femmina virtuosa sorseggia una tisana,
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qualcuno non si fa mancare un calice di porto
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un altro calice,
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qualche altro liquore e parole in libertà e serenità


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Tu si guaglione…l’amore a vent’anni ha solo vent’anni…la cinquantesima pizza margherita…
la sindrome degli elenchi puntati e numerati dalla Campania mi raggiunge in campagna, per l’esattezza nel Monferrato Casalese trovandomi con le difese abbassate, anche per via dei numerosi calici che Misterics, mio compagno di merende, mi riempie senza soluzione di continuità, provo a reagire, mi scrollo le pigne di dosso, abbasso il volume del bellissimo pezzo napoletano targato 1956 e torno sul pezzo, cinquanta dicevamo, beh, credo che essermi guadagnato il credito per un risotto possa collocarsi molto in alto nella mia personale classifica, il lettore disattento e prevenuto, però, non tragga conclusioni affrettate, al top del mio 50, senza dubbio alcuno svetta indiscutibilmente il fatto di essermi trovato davvero bene in una famiglia allargata.


Bistro' Cannavacciuolo : più lo conosci e più ti piace

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del Guardiano del Faro


Un nome, una garanzia. Il brand aiuta, ma ci vogliono anche i contenuti, inseriti in un contenitore coerente; perché se no entrare qui, nel nuovo Bistrò Cannavacciuolo? Dove? I più attenti già lo sanno, nel pieno centro di Novara, città gastronomicamente da incubo, da sempre, e quindi ancora più problematica da convincere. 

Uno spazio bar pasticceria dove condividere -nel caldo contesto bistrò alla francese-  un aperitivo, un caffè, un dolcetto o un panino d'autore, e anche tutto quello che ci si aspetta da un bar d'alta classe, e che dispone di cucina destinata specificamente allo scopo. Si cucina su due piani, senza veli, facendo fumare le padelle senza filtro, sotto vetro.

Entro, all'ora di punta, le 13.00, proprio per rendermi conto da subito se tutto quanto si è letto nelle scorse settimane sul web possa corrispondere, almeno un pochino, alle mie sensazioni. Il tiro al piccione dei primi giorni sembra si sia placato. Munizioni esaurite evidentemente, e obiettivi sensibili visibilmente ordinati, meglio assestati ora, dopo il prevedibile tourbillion di curiosi che hanno preso d'assalto il locale nei primi convulsi giorni di vita di questo monumento che riprende vita, sgranchitosi e allungatosi come la schiena di un gatto.

Momento critico lo start up (ne so qualche cosa ma ne riferei mille) che ha presumibilmente sfiancato il personale, impegnato con tutte le energie fisiche e mentali per reggere onorevolmente all'onda d'urto. Tranquilli. Qualche pacca sovradimensionata sulle schiene sarà volata, e qualcuno non sarà stato confermato, ma adesso è tutto a posto ;-)


Non vedo code alla cassa, non vedo clienti spazientiti in attesa di un caffè o di un aperitivo. Noto invece un giovane addetto all'accoglienza che mi si avvicina con gentilezza e che mi domanda quale opzione sarebbe la più gradita, e cioè se rimanere al piano basso o salire subito al bistrò collocato al piano intermedio e a quello superiore. L'una e l'altra penso, ma visto l'orario meglio salire direttamente al piano, riservandomi di scendere in seguito, per un caffè e una sfogliatella.

Non è neppure vero che occorre prenotare con largo anticipo, specialmente a pranzo, perché qualche coperto rimane disponibile nell'elegante sala a volte alte, ottimamente restaurata ma non stravolta, e dove l'illuminazione è stata indovinata, mentre sull'acustica si potrebbe ancora intervenire per ridurre l'impatto percepito dopo la distillazione umana di sassicaia e tignanello, senza comunque distorcere la solennità degli ambienti contigui al Teatro Coccia.


Bistrò al piano, certo, ma di un'eleganza molto sopra le aspettative, sopra le righe e la partiture teatrali, e dove il concetto fatica a proporzionarsi alle intenzioni, come fosse un raffinato abito pret à porter molto aderente, indossato da una modella dalle forme prorompenti. Neppure Tonino ci starebbe dentro, e a fatica si contiene, nelle intenzioni e nei risultati.

Ok, pas d'amuse bouche et pas de petit fours, volutamente, per cercare di rimanere dentro al pensiero semplice, all'idea che ha provocato lo sviluppo del progetto, ma i piatti sfuggono via dalla bistronomia da centro città e tendono a indirizzarsi verso il Lago d'Orta.

Del resto in cucina -grande e a vista- ci sono alcuni capi partita di Villa Crespi, e in alcuni piatti la firma -oltre alla mano impressa a mo' di decoro- dello chef si vede, eccome. Mano felice, che in progressione si evidenzia, andando oltre le condivisibili aspettative di clienti che per questi prezzi -immagino- si aspettino di meno sul piano dell'esecuzione e della creatività, e di più sull'aspetto "quantitativo", al punto che forse, con il tempo, l'inserimento di un percorso degustazione sarebbe sicuramente gradito, individuando cosa sarà meglio proporre alla carta e cosa a menù.

Due piatti alla carta e dessert non riescono a spostare l'asticella del conto oltre i 40 euro, e scegliendo con attenzione, saranno -alcuni- piatti degni di almeno una stella Michelin, anche qui, anche in questo bistrò di cucina d'autore, la medesima cucina, quella trasversale di Tonino Cannavacciuolo, che come altri suoi colleghi che hanno scelto di diversificare, focalizzandosi sulla democratizzazione dell'alta cucina, poi faticano a tenere basso il numero di giri di un motore, che gira come sa girare, su ritmi e livelli che rendono questo Bistrò il pret à porter di Villa Crespi. Intanto questo. Per gradire.



L'ardito abbinamento tra la testina di vitello e lo sgombro in salsa verde, non abbastanza acida per sgrassare gli ingredienti principali

Il morbido e succulento polpo arrostito e servito su uno zoccolo di riso croccante al latte di capra. Bottoni twister di salsa di polpo alla Luciana

Riuscito contrasto tra la crema di topinambour e il gorgonzola: più lo conosci e più ti piace 

Perfetto risotto ai pistilli di zafferano e fondo bruno legato con midollo

Alfredo, a sinistra, guida il servizio e gestisce una pratica carta dei vini ricca di un centinaio di etichette, alcune anche molto importanti ... Alfredo in pochi giorni si è già guadagnato la sua claque di estimatori, ed ha il fisico per sopportarne tutte le smanie. Alfredo... Alfredo ... sembra di stare a Teatro.

Una variazione d'agnello degna di Villa Crespi

Declinato al femminile questo bel blocco di baccalà in crema di castagne e porri fritti


Due dessert d'alta scuola, derivati dalla carta di Villa Crespi, dove i toni esotici si contrappongano alle note più vicine a noi, che siano cachi o cioccolato. Quel che si vede è solo la metà di quello che si scoprirà affrontando sfere e quenelle, che si apriranno gentilmente, offrendo emozioni nascoste.


Stefania dirige il traffico. Caffè e piccola -grande- pasticceria la potrete gustare al piano terra, quando ormai il flusso di clienti si sarà riassorbito in città ...

Arrivederci a presto, per godere della grande terrazza che da su Piazza Martiri, dalla prossima primavera. Una bella luce sulla piazza darà miglior risalto anche alle immagini, oggi troppo improvvisate, ma rese senza filtro ne' maschere da teatro di contrasto.


GDF

Il venerdì del Dj : Aoc Champagne Blanc de Blancs Cuvée des Moines Brut s.a. Besserat de Bellefon

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La Cuvée des Moines, creata nel 1930, costituisce, a mio avviso, il prodotto  più interessante della intera gamma aziendale, con il bdb che è, sicuramente, lo champagne più riuscito.

Questo champagne fermenta in inox e non effettua malò, trascorre, quantomeno, 36 mesi sur lattes, con il 20% di vini di riserva, conservati con il metodo Solera. Inoltre, all’atto della messa in bottiglia, viene addizionato di 18 gr./lt. di zucchero, (anziché gli abituali 24) e ciò consente di ottenere una pressione inferiore alle 6 atmosfere – si ferma a 4,5 – e, per conseguenza, una effervescenza maggiormente fine e cremosa.
Il mio flacone sconta un dégorgement dell’ottobre 2013.

Occhio dorato per abbondanti e fini bollicine. Il naso – inequivocabilmente Chardonnay - è fresco e composito, con intense note agrumate e vegetali, fiori bianchi (acacia), una nitida pera Williams e sottili fragranze grigliate, mentre risulta meno evidente la proiezione gessosa.


In bocca attacca raffinato, riaffermando, con puntualità, gli aromi olfattivi e riservando maggior spicco alle sensazioni fruttate, anche esotiche. Il sorso, un filo dolce e maturo, sviluppa grassa cremosità, non sempre puntellata da spalla acida. Tanto la persistenza, quanto la lunghezza, davvero troppo effimere e fugaci, mi hanno colto in controtempo, lasciandomi un palato che, date le belle premesse, reclamava e meritava altro epilogo.

Il sabato del guardiano : il miglior tagliere della città

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Ne abbiamo viste di ogni. Di ogni genere di classifiche, per prodotto e per città. L'hamburger, la pizza, il gelato, il panino, la sfogliatella e bla bla bla. Mi manca una classifica particolareggiata che si occupi, -città per città- e che segnali in maniera infallibile quali siano i miglior indirizzi per strafogarsi di affettati.

La moda divampa ma le informazioni languono. I locali che li propongono sono sempre di più, ma la qualità dei prodotti impiegati non è sempre -quasi mai- all'altezza delle aspettative. Le moderne osterie che li propongono sono spesso al completo, nonostante la qualità non lo giustifichi. Questo, ahimè, fa pensare che la cultura sul tema sia piuttosto scarsa, sia da parte di chi li sceglie, sia da parte di chi se li mangia con soddisfazione.

Il più delle volte non è neppure una questione di prezzo d'acquisto, ma semplice pigrizia, o volendo nobilitare il termine, "praticità". Normalmente arrivano da un unico fornitore, massimo due, che vengono individuati casualmente dal ristoratore, che si limiterà poi ad assemblare almeno una decina di taglieri diversi per composizione ma abbastanza omogenei di qualità.

La fantasia però non si pone limiti, e così, ai taglieri tematici, quelli di soli salumi, saranno affiancati da quelli misti, dove non mancherà di emergere il candore di una grossa mozzarella o di una burrata. Altri formaggi saranno alternati ai latticini, spesso migliori di prosciutti, coppe, bresaole o salami, cotti o crudi, ma il vero tagliere d'autore manca troppo spesso all'appello.

E quasi sempre manca anche un appoggio coerente, e cioè un cestino di prodotti da forno che aiutino a riempirsi lo stomaco di carboidrati e proteine animali, con buona pace di ogni nutrizionista, che almeno uno scodellino di giardiniera di verdure vorrebbe fosse servita insieme a tanta esuberanza proteica. Sto sbadigliando mentre scrivo, senza benzina l'ibrido fatica a  partire

Un tagliere d'autore farebbe invece piacere di tanto in tanto, ma dove la selezione dei prodotti non sia frutto della consegna di un unico commerciante, ma bensì determinata da una scelta oculata, da una ricerca di prodotti locali affiancati dai grandi must della salumeria nazionale, ed eventualmente anche straniera, con ovvio riferimento primario alla straordinaria tradizione spagnola. Bene, e adesso che ho scritto benino ovvietà, tanto per, chiudo indicando il mio tagliere dell'anno, provato almeno due volte, a beneficio di chi sta in zona Milano - Varese - Como. Il locale sta a Saronno e si chiama Eidos, e si raggiunge con estrema facilità dall'uscita autostradale, ma non quella di Saronno, quella di Origgio, vicinissima, perfetta via di fuga dalle luci blu anche dopo aver bevuto un paio di bicchieri di vino, scelti nell'ampia carta dei vini del modernissimo cubo vetrato polifunzionale: enoteca, ristorante, bar, pizzeria, drogheria, mescita e rivendita di prodotti confezionati.

Affettati da Italia e Spagna, ma non solo purché se magna. Varietà e qualità parecchio oltre la media, anche quando si tratta di attingere dalle albarelle di verdure in agrodolce o in versione giardiniera. Pane, grissini, oppure una pizza bianca / focaccia, che faccia da goloso appoggio ad ogni giro di affettatrice, così che il porco sia degnamente festeggiato nel mese dell'anno a lui tradizionalmente dedicato.




Il salto della quaglia

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Nella foto in apertura, presa dal web, l’ingresso del Tri Basei in un giorno soleggiato, oggi la periferia milanese si mostra per quel che è ed è sempre stata a cavallo tra le due stagioni più fredde e umide e, ritrosa, si rifiuta di farsi ritrarre.

Marco 50&50


C'è posto per due viandanti ?
Dopo essere stato ben accolto e gentilmente fatto accomodare in uno storico, (come vedremo è il caso di dirlo) ristorante sulla Via Emilia, sento pronunciare le parole in apertura di post e capisco di essere arrivato nel posto giusto.

Per poter varcare la soglia, evitare la sogliola e chiedere all’oste un piatto unico, ma anche raro, una volta legato il cavallo, ho dovuto superare tre gradini, one, two, Tri Basei, (plurale del sostantivo maschile Basel, scalino) da sempre simbolo del locale che esiste da secoli tra le vecchie cascine di Rogoredo e San Giuliano Milanese.

Prima di iniziare il mio pranzo targato diciannove novembre duemilaquindici, scambio due parole col cordiale e disponibile titolare, il Signor Beppe, che mi racconta dell’esistenza di un vecchio passaggio sotterraneo che un tempo collegava l'Abbazia di Chiaravalle (distante in linea d'aria seicento metri) a questa trattoria che continua a tenere la barra ben salda e in linea con la tradizione meneghina.

La storia di questa località risale al VII-VIII secolo, in corrispondenza del IV miglio dell’antica strada romana da Milano a Lodivecchio, inizialmente venne eretta come oratorio, San Martino in strada, come sarà denominato per secoli.

La piccola chiesa di San Martino e la cascina che sorse di fronte ad essa sull’altro lato della Strada, sono nominate nel “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani” di Goffredo da Bussero, scritto nel XIII Secolo.

Da qui passarano nomi illustri della storia d'Italia e d'Europa, la località è stata muta testimone di numerosi avvenimenti di rilievo, passaggio di eserciti, re, prelati e papi, diretti a Milano, come l’imperatore Federico Barbarossa nel 1160, come gli Svizzeri del cardinale Schinner che dalla città andavano incontro all’esercito del re di Francia Francesco I per esserne sconfitti a Melegnano nel 1515.

La località e la chiesa di San Martino sono state per secoli la tappa delle “barre” che trasportavano a Milano i prodotti agricoli della Bassa, grazie anche all’osteria ospitata nella cascina fino ai primi decenni del Novecento.

Nel 1755 San Martino con la sua osteria risulta affittata a Pietro Paolo Vigo, che contribuì con 150 lire alla costruzione del nuovo altare della chiesa di San Donato, poi nel 1765 arrivò la famiglia Limonta, che, in possesso di licenza per la vendita di frutta e ortaggi da vendere sul mercato milanese avrà notevole fortuna, quando il re Vittorio Emanuele III era in visita a Milano, lo chef del ristorante Savini inviava espressamente un uomo a cavallo ad acquistare l’acetosella di San Martino, con la quale avrebbe preparato una minestra di cui il sovrano era particolarmente ghiotto.

Oggi i nuovi osti, in qualche modo, possiamo dire, discendenti di chi nutrì il re, al quarto miglio della strada romana o al civico cinquantaquattro della Via Emilia, poco cambia, quotidianamente, a metà mattina, mettono on line le proposte salva euro per i viandanti affaticati & affamati pronti al pit stop per onorare la sacralità della pausa pranzo che saltando a piè pari la pennichella romana, conduce al lungo pomeriggio lavorativo molto milanese.

Il ristorante, chiuso la Domenica e Sabato a pranzo, oggi propone, tra le altre cose, una formula che, come vedremo dal conto, convince e, ce ne fosse bisogno, mi convince.

Acqua, calice di vino, caffè, coperto e un piatto unico superior ad un prezzo concorrenziale.

In carta, oltre al risotto con le quaglie testato & gustato, un’altra soluzione indipendente cielo-terra, l’ossobuco col risotto e poi busecca, cazzoeula, salumi & sottaceti, nervetti & cipolla, mondeghili, cervella di vitello dorata alla milanese, rustin negàa, cotoletta di vitello e qualche altro piatto ininfluente, perché qui il passante se esce dal binario potrebbe ritrovarsi sul passante che passa poco distante ma porta molto distante.

Sono soddisfatto & appagato, il piatto arriva al tavolo dopo la ventina di minuti canonici, il riso al dente, ben mantecato e bollente, gustose e saporite le quagliette.
Finisco il piatto fino all’ultimo chicco spolpando bene i volatili e lascio ad altri o ad altra occasione il salto della quaglia di minor soddisfazione…



M 50&50
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