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Channel: armadillo bar | vino-cibo e musica
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purta' i scarp de tennis

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"Entra, mangia e se ne va. Ma una spiegazione a questo suo comportamento c'è. La sua storia, raccontata dalla Stampa, ha suscitato molto clamore. Giovanna Tondella, classe 1940, nata a Torino, ultima abitazione a Ceriale (Savona) è una vecchina dai capelli brizzolati e lunghi, le mani ossute, l’aspetto un po’ trasandato e quelle calze di lana colorate e le scarpe da tennis bianche dalle quali non si separava mai. È lei che mangia a sbafo in bar e ristoranti. Cinque conti non saldati, nelle scorse settimane a Savona e Vado Ligure, e nel frattempo centinaia di messaggi su internet: "È una poverina, aiutatela" (... o )"E’ una truffatrice".

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Come spesso accade, anzi, quasi sempre, i commenti sono migliori della notizia, e così una quota di popolo di addetti ai lavori e accaniti di FB si sono chiesti se la signora non fosse la medesima che in passato frequentò non il savonese ma l'estremo occidente della Liguria con le medesime modalità e intenzioni.

Un altro ricorda di quella coppia che usava lo stesso sistema, nello stesso breve tratto d'Aurelia -dove questa si approssima alla conclusione- ma scegliendo di frequentare solo ristoranti stellati. Si sente in queste parole quasi nostalgia degli sbafatori che sapevano riconoscere la qualità. Trapela quasi lo sconforto piuttosto che la soddisfazione.

Ecco, oggi neanche a sbafo. In mancanza di tavole degne anche gli sbafatori si sono spostati nel savonese :-) ... ho messo lo smile, mi raccomando... ma poi che succede? e' di ieri la notizia che la Signora ha deciso di pagare il conto in un locale di Seborga, che non sarà Monaco ma è pur sempre un Principato: ha sborsato ben 10 euro, rigudagnandosi una buona quota di simpatia nell'estremo Ponente.

gdf

p.s. io ci vado spesso a piedi al ristorante, camminando dentro scarpe da tennis bianche.

TIM CUP

Fiction

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di Angelo Antonio Angiulli

Neanche il sottoscritto è sfuggito alla visione di Masterchef, poi la curiosità appagata dopo qualche puntata, è stata soppiantata dall'indifferenza indotta dal “nuovo” malcostume di alcuni giudici sommamente severi, fino al disprezzo immotivato su alcuni “parvenu” aspiranti executive chef (ah ah ah). 



Tuttavia un pomeriggio dopo il gratificante sonnellino post prandiale mi sono sintonizzato su “Masterchef professional Australia”, nel quale il mitico Marco Pierre White è giudice, mentore, padre spirituale/consigliere culinario, stimolatore dei perdenti mai disprezzati, semmai incoraggiati a migliorare.

Non ama la teatralità, che sarebbe stata tutto sommato giustificata dalla sua origine italiana per madre, ma quando agisce in cucina, lui sì come executive chef, mette in mostra una professionalità ed un carisma che i suoi alter ego nostrani si sognano di avere. Ha il massimo rispetto per chi sbaglia, non scaglia piatti nel lavello o padelle dove capita, ma subdolamente o con estrema chiarezza cerca di correggere gli eventuali potenziali errori persino durante le prove di eliminazione.

Tuttavia anche nel contesto di quella contesa culinaria troviamo in tutto il loro massimo splendore gli archetipi che stanno minando i concetti di cucina finora conosciuti, ove superate anche le varie spume la sferificazione e l'uso dell'azoto liquido, lo studio sull'innovazione della tradizione viene soppiantato tout court dalla fantasia sfrenata, che genera piatti in cui l'accozzaglia di elementi, in alcuni casi si arriva a 40/50, dovrebbe generare armonia dei sapori.

Non più quindi la vecchia concezione che esaltava con qualche ingrediente aggiunto il sapore dell'elemento principe, coniugato anche con qualche tocco di fantasia, mai prevaricante sull'impianto di base. Anche l'estremizzazione delle tecniche non viene comunicata ad hoc, ed un esempio ci viene dall'uovo cotto per 63 minuti a bassa temperatura, se non è rapportato alla grammatura dello stesso, di 60 o 70 e più grammi.

Un po' come la cottura ai ferri della bistecca conseguente alle teorie della nouvelle cousine, rigidamente contenuta in tempi esatti, senza tenere conto dello spessore e del tessuto connettivo dell'alimento, magro, grasso, o marezzato, che indurrebbe a fidarsi meno del cronometro.

Il pedissequo cromatismo dei piatti sembra la panacea che dovrebbe esaltare la bontà della preparazione, in quanto sommamente appagante la vista, ossequio al detto che l'occhio vuole la sua parte. Il che non sarebbe disdicevole se il gusto finale fosse altrettanto soddisfacente, come in quei vini dall'intensità olfattiva eccellente, seguita da un'equivalente intensità gustativa.

Ma quella che sembra una persecuzione è l'insistenza sulla nota acida, data dagli agrumi o dagli aceti, ed in contrapposizione la nota zuccherina, sovente ambedue evocate nei piatti salati. Da cuoco naif quale ero e sono, sul pesce crudo da me molto amato e proposto, la nota acida era data da un cubettato di pomodoro crudo fresco, non molto maturo.

Anche i clienti cavia delle prove culinarie allineati alle nuove teorie (forse seguono corsi di aggiornamento), disquisiscono più o meno con competenza dei vari componenti, ma guai a lasciare una lisca di pesce, dicasi una, un delitto associato alla lesa maestà. In conclusione, anche se ci sarebbe molto altro da dire, vita dura per i tradizionalisti se refrattari alle novità partorite da una fantasia malata di concepire un unicum, testimone del proprio genio culinario.

Sigh! Come ho detto in altre occasioni, con l'avvento di nuove mode culinarie, tutti vanno all'università del nuovo corso, peccato il salto delle medie e del liceo, culinario ovviamente. Ma per finire veramente, sempre caro mi è un aforisma di Brillat Savarin: “La perfezione è la sintesi della semplicità”. Qualcuno dovrebbe ricordarsene e fare ammenda.  


AAA

I satelliti di Giove

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E' sbagliato correre dietro a chi ti viene incontro

Ma lui non ci venne incontro

Lui ci aspettò

E ci abbaiò forte addosso, assordandoci tra la pace degli ulivi

Ce l'avremmo fatta senza di lui?

Andando da lui si, ma tornando da noi? chissà

Ispido come un cinghiale esposto ad un sole forte all'andata

Macerato come un buon cane da riporto al ritorno sotto le ingiurie del tempo

Fino in fondo, fino in ALTO, fino alla fine di quel temporale, sorridendo, non potendo fare di più per portarci fuori dalla tempesta. Noi che avevamo anche un ombrello

Solare, centrale, osservando tutti gli esseri terrestri che gli giravano intorno con dolcezza

Lui, planetario, di più: solare

Faceva di nome Giove, tra i più grandi tra i cani scesi su Gaia dal Pianeta dei cani

gdf





Sorgenti d'ispirazione

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Marco 50&50

Altro che flessioni & riflessioni , ecco quel che ci vuole per mantenere in forma corpo e mente.

Ma il mio permesso premio, così come il mio drink, è agli sgoccioli, la libera uscita prevede rientro obbligato e tassativo, fine dello stato brado, mi aspetta un carnaroli, cercherò di trasformarlo in un piatto che si farà ricordare, ma il riso come il Paradiso può attendere, sperando mi tengano un posto, non necessariamente in prima fila, accenno qualche flessione per potermi sentire meno in colpa e più tonico e trovo il tempo per cercare di leggere, come fosse caffè, nel fondo del mio gin tonic…

…nei residui di tonica, contaminati dal ghiaccio, trovo i riflessi del Naviglio in Darsena e di una storia anche un poco mia.

Le persone cambiano, o meglio, le persone rimangono sempre le stesse ma, se ispirate da qualcuno o da qualcosa si trasformano, in quel breve e fuggente periodo, lungo, in fondo, poco più di un attimo se rapportato al quotidiano senza slanci, avviene una vera e propria mutazione, alcuni aspetti sono evidenti e percepibili immediatamente, anche un semplice conoscente “vede” qualcosa di nuovo nella persona ispirata pur non riuscendo a definire questo qualcosa.

Chi è ispirato sa di esserlo ma non fino al punto di poter uscire da se stesso per guardarsi, sono gli altri, gli amici più intimi, le persone più care che avvertono i risultati di questa trasformazione che non può ridursi banalmente ad una variazione della luce negli occhi che è pur sempre, comunque, l’aspetto più evidente.

Tu, ad esempio, adesso hai un aspetto più curato, sei allegro, disponibile, propositivo, il passo è più sciolto, scattante, non cammini a bassa quota né tre metri sopra il cielo ma la camminata è diversa, meno appesantita, c’è luce tra te e il suolo ed è un valore aggiunto, adesso oltre che alto e grosso sei  fluido e la parola non è scelta a caso perché quel che sembra osservandoti  mentre la guardi e le parli è qualcosa di simile ad energia in movimento.

Lei ride delle nostre battute, mentre ci chiede qualcosa di noi che possa servirle a capire qual è il filo che ci unisce da anni, ma soprattutto il motivo per il quale questo filo invece di logorarsi si è rinforzato, tu, non osservato,  con il viso resti al centro della conversazione ma l’occhio ha una visione laterale nella sua direzione e i tuoi muscoli facciali, che si muovono senza chiedertelo, si aprono in un sorriso beato, compiaciuto, parzialmente&involontariamente orgoglioso.

Così nel giro di pochi giorni proponi e concentri opportunità per rivederla, per rivedersi, per aumentare i giri di un motore abituato ad accendersi per routinarie tappe di pianura e non come adesso, per la musa ispiratrice che ti spinge verso discese ardite e relative risalite.

Possiamo tornare indietro, “milletrecento,millequattrocento” ma le variazioni sul tema, in fatto di ispirazione rimangono le stesse, non so dove indirizzerai l’energia in eccesso, se dovessi optare per la sostituzione delle casse con altre più potenti, sappi che in Darsena stanno raccogliendo le firme quanto meno per limitare il tuo eccesso di vitalità, non preoccuparti, in Comune capiranno, quando c’è l’ispirazione…non dovessero capire, tuffati nelle acque milanesi e, caro il mio Master, fagli vedere cosa vuol dire davvero fare “le vasche” in Darsena, poi, mi sembra di vederti, ancora gocciolante uscire dall’acqua e ammonirli così:
“una cosa deve essere Chiara…”

Nella foto (tratta da Wikipedia) in apertura di post le chiare fresche et dolci acque delle sorgenti del Sorgue che ispirarono, o meglio, contribuirono ad ispirare l’aretino Petrarca oltre 600 anni fa…

M 50&50

Anche Cartier Bresson fu a lungo molto ispirato da la Sorgue
foto gdf

Splende un lume la' nella sala

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Marco 50&50


Mi manda D. ma preferisco non dirlo.
Una valutazione corretta, deve essere al di sopra di ogni sospetto, di massima trasparenza, niente favoritismi, giocherò la carta della "raccomandata" una volta pagata la "ricevuta" e solo se certo di un mio prossimo "ritorno".

Accogliente ristorante a conduzione familiare, mise en place di livello, tavoli ben distanziati, comode sedute, tovaglie bianche come le ceramiche dalle linee particolari e dalle dimensioni importanti ma armoniche, il locale è impreziosito da travi di legno e colonne in pietra (preoccupante sarebbe il contrario), in cucina Cristian e il padre Gianni, in sala Nives, la mamma di Cristian e la sorridente e per nulla invadente Giulia che si occupa anche della pasticceria e, fortunatamente, anche del mio tavolo.



Solitamente preferisco i locali ad indirizzo unico (anche per poter impostare al meglio il navigatore) , ai Sapori di Terra e di Mare, nato nel 2003 in via Pitentino a Bergamo, la carta invece prende strade diverse, ma i tre mini menù a prezzi davvero piccoli , studiati per poter soddisfare al meglio le esigenze della clientela, forse sono la scelta necessaria per far fronte a richieste ittiche, vegetariane o strettamente territoriali, che potrebbero provenire anche da uno stesso tavolo.

Una carta come piace a me, non sterminata, che pone particolare attenzione ai prodotti stagionali, la garanzia della freschezza garantita anche dalla spesa quotidiana effettuata da produttori di fiducia con i quali i gestori sono in rapporto di amicizia da anni.

Proposte domenicali irrinunciabili garantiscono il tutto esaurito a pranzo in una zona di Bergamo nè "alta" né propriamente centralissima dove, volendo, sarà possibile, invogliati da prezzi oltremodo onesti, soddisfare il desiderio di stappi plurimi, siano bollicine con la erre alla francese o vini toscani dalla c aspirata.



La cantina, gestita personalmente da Cristian, offre oltre cinquecento etichette, (qualche migliaio di bottiglie quindi), lodevole la proposta a calice di una quindicina di vini da dessert ad accompagnare le proposte in carta ad alto tasso glicemico, per gli appassionati, una chicca regionale, il Moscato di Scanzo (del quale si scriveva già nel milletrecento) dalle caratteristiche uniche dovute al Sass de Luna, una roccia calcarea che conferisce alta mineralità al terreno.



La cucina si presenta e mette subito le cose in chiaro, cialda di parmigiano alle arachidi, bigné di caprino e zucca, tartelletta con ricotta e chicchi di riso soffiato al curry e poi ancora, baccalà panato,  crema di patate con aceto della Val di Scalve e "cialda" di crudo, pane e grissini in diverse versioni (tutto autoprodotto e freschissimo) e un paio di calici di bollicine trentine.

Potrei andarmene, si fa per dire, soddisfatto e a costo zero, rimango più che volentieri.








Toma panata in crosta di nocciole con misticanza e ristretto ai frutti rossi


Polpo arrostito, peperoncino, insalata di legumi e frutta secca



Ravioli di zucca, fonduta di Casera e pop corn di maialino



 Scialatielli con gamberi, cavoletti e briciole di pane tostato


Lombo d'agnello cotto nel fieno su polenta bianca e salsa al vino rosso 


 Ombrina con carciofi morbidi e croccanti


Frutta nature


Dopo il sorbetto apripista al mandarino, indeciso tra dolce e gabbana opto per una porzione di CioccoLampone e un Moscato Rosa di Franz Haas




Un corposo signor caffè è accompagnato dalla pasticceria under diciotto dallo sguardo dolce, lei potrebbe essere sua nipote, non prendono né camere né tavoli separati ma si accomodano al mio


Sempre aperto, tutti i giorni a pranzo e a cena, tranne martedì e mercoledì solo a pranzo, costanza significa fatica ma anche passione e dedizione, meritevoli, come Giulia che nell'arco di centottanta minuti non ha sbagliato una freccia, un altro buon motivo per ritornare, oltre, naturalmente, che per la bella mano di Cristian in cucina che, non credo di sbagliarmi, sta proponendo piatti di livello alto, qualche piccolo accorgimento in "levare" e l'aggiunta di una punta di acidità, potrebbero dare a lui, alla sua famiglia e ai suoi collaboratori, inaspettate & meritate ulteriori soddisfazioni.

Quando per coincidenze & conoscenze bazzicavo case discografiche, mi sarebbe piaciuto scoprire un talento, scorgere tra tanti chi sarebbe riuscito a mettere la testa fuori, oltre la mediocrità, ma invece di produrre qualcuno ho solo rischiato di essere prodotto, oggi, ascoltando il suggerimento di una bella persona del settore, rischio, con estremo piacere, di essere il primo a parlare di un locale di Bergamo che offre più di quel che ci si aspetta e si paga, Cristian si muove a tempo, con disinvoltura, sembra suoni la sua batteria da cucina in punta di spazzole, sottovoce, quasi a fari spenti nella notte eppure punta deciso verso un bagliore non così lontano.

... e grazie ancora, ah mi ha mandato il suo collega…
Ma perché non l'ha detto prima...
Ora so che le attenzioni ricevute sono la consuetudine verso la vostra clientela, complimenti.


Il gelsomino notturno – G.Pascoli – Luglio 1901

E s’aprono i fiori notturni
nell’ora che penso a’ miei cari
Sono apparse in mezzo ai viburni
Le farfalle crepuscolari

Da un pezzo si tacquero i gridi
Là sola una casa bisbiglia
Sotto l’ali dormono i nidi
Come gli occhi sotto le ciglia

Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse
Splende un lume là nella sala
Nasce l’erba sopra le fosse

Un’ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle
La Chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolio di stelle

Per tutta la notte s’esala
l’odore che passa col vento
Passa il lume su per la scala
brilla al primo piano: s’è spento

E’ l’alba: si chiudono i petali
un poco gualciti si cova
dentro l’urna molle e segreta
non so che felicità nuova


M 50&50

Legras & Haas Champagne Blanc de Blancs magnum 2007

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La purezza dello Chardonnay, proveniente dal villaggio Grand Cru di Chouilly, è cristallina e questa famiglia di viticoltori - conosciuta alcuni anni fa, nm soltanto perché comprano anche uve da fidati conferitori – sa imbottigliare questa peculiarità.

Tre anni di dégorgement, portano in dote un calice luminosissimo, dal perlage davvero fine.

Il naso abbonda di freschissima e seducente gessosità, cui fanno da contraltare note burrose e di brioche appena sfornata, fiori bianchi e spunti fruttati – pera, pesca e pompelmo - che iniziano ad acquisire maturità.


Al palato la mineralità crayeuse è dirompente e lascia pochi margini di manovra agli altri aromi, se non per leggeri tocchi agrumati. Tuttavia, questa gessosità terroir-istica, basta da sola per rendere completo il sorso, il quale si dimostra equilibrato e corretto quanto a dosaggio, senza scadere in blandizie ruffiane. Si allunga bene in chiusura, con scontati e assidui rimandi iodati.
Un’ottima bevuta, esaltata dal formato 1,5.

Sushi (o su slittino)

Il colpo di genio


Due numeri uno

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gdf



Per conoscere la materia bisogna avvicinarsi ai concetti con curiosità e passione, trovando un buon motivo per farlo. Poi, magari ci si accosta ad un argomento e si scopre che invece l'interesse prioritario sta diventando un altro. Insomma, perché un ragazzo di 25 anni dovrebbe diventare un frequentatore seriale di ristoranti che mettono in imbarazzo quasi tutti i suoi coetanei? Quelli più interessati alle gonne corte che alle tovaglie lunghe ? Sta per nascere il crapulone sequenziale, quello che al ristorante importante preferirà andarci da solo.


Possono due corpi stare nello stesso posto? Si, lei ne era convinta, alla faccia della legge fisica della materia. Così come pensava che era azzardato prendere per buone tesi fisico scientifiche discutibili come il principio dell'impenetrabilità di quegli stessi corpi. Lei non ne era assolutamente convinta, e ci tenne -infine- a dimostrarlo. Gli ci volle tutto il giorno per far passare il messaggio, ma io non ne ero così convinto, e così aspettai il dopo cena per dargli la possibilità di fare quel che pensava. La dimostrazione andò ben oltre le teorie opposte e contrarie, finché mi arresi: ok, hai ragione, ma adesso ti porto a casa. E basta! A mai più! Non si può smontare e fare una pezzi una tesi così consolidata senza pagarne le conseguenze.



Voilà, ecco consumato l'amuse bouche numero zero di cento altri, riferito a quel tavolo de Il Sorriso di Soriso. Quello là, salendo le scale fiorite, aprendo le due spesse porte di legno lucido e cristallo serigrafato, poi voltando a destra, dirigendomi con la signorina grandi forme laggiù, nell'angolo basso a sinistra, dove nessun Portiere può arrivarci, ma un Principe dell'accoglienza si, mettendomi nel contempo anche nella condizione ambigua di osservare abbastanza da vicino quella al tavolo a fianco, quella coetanea e concittadina con la quale avrei fatto subito cambio, lasciando la mia ingombrante compagna al suo -troppo giovane- accompagnatore. Quella sera mi limitai a spostare quel centrotavola sfavillante: una verticale di cristalli di Riedel rilevati da candide e alte calle che mi ostruivano la visione integrale su fatti non miei.



Siamo solo al secondo tavolo, e senza mai affrontare il rischio del platonico. Poi ci sarebbe -ma non c'è più- quello con il divanetto a semicerchio; ma di quel divanetto cancellato è meglio oscurare le righe intessute che lo riguardano, perché qui si è sempre saliti prima di tutto -non per altro- per mangiare piatti deliziosi, bere vini meravigliosi, in un'atmosfera gestita da uno dei "magnifici sette" dell'ospitalità italiana lungo quattro decenni.

Il bistrot al piano basso

Un'affabile Maggiordomo, impettito -doppio- solo nell'abbigliamento. In gessato, ma mai ingessato. Il mio primo Maestro di sala. Non mi poteva capitare di meglio. Con 25 anni non mi poteva capitare di meglio come chaperon per quella del tavolo uno, del tavolo due, tre ... finché non toccò a me gestire qualche nobile tavolo stellato. Fu facile entrare dentro ogni tavolo, bastò aprire il cassetto dei ricordi.



In cucina accadevano cose che si venivano a sapere solo al momento di svelarle al gueridon o alzando una lucente cloche. Era quanto silenziosamente produceva e produce Luisa Marelli Valazza, prima della classe alla scuola di un altro Angelo, Angelo Conti Rossini. Un Angelo svizzero. E con due Angeli a fianco, si può stare piuttosto tranquille, anche se come disse -a voce bassa- l'Angelo novarese, Luisa all'inizio sapeva solo fare il tè, e con le bustine, spostando automaticamente il concetto di alta cucina sul piano dell'autoironia, quando non era neppure il caso, visto che la signora silenziosa si guadagnò il diritto di affrancarsi alla giacca da chef prima una, poi due, poi tre e ancor oggi due stelle Michelin, lungo un percorso che ha avuto il suo apice più alto dal 1997 al 2012, periodo nel quale salvaguardò in dispensa le fatidiche tre stelle Michelin.



Ma non sono tornato al Sorriso per raccontare storie vecchie, bensì per parlare di oggi e di domani. Il presente e il futuro. E ci sono voluto tornare da solo, se no mi sarei di nuovo perso qualche dettaglio, confondendo concetti vicini come le tovaglie lunghe fino a terra e gonne che terminavano ben prima, o infilandomi in dialoghi che sono sempre stati improntati sull'ultima finale di Champions, o su vecchie e nuove fiamme, ma era prima dell'induzione. Era quando in Champions si vinceva, quando gli arbitri non tifavano contro i bianco neri. Stavamo meglio quando stavamo peggio. Arridatece Moggi, perfino ... o Craxi, pure.


Grand Siècle svp, lo rivoglio quel secolo

Trent'anni fa il numero zero, a cui fecero seguito grandi numeri a doppia cifra. Si! era prima dell'induzione, prima del Roner, prima del web, dove per altro ho scritto pochissimo di questo luogo magico e irripetibile. Era il tempo in cui penna e calamaio occupavano lo spazio necessario sulla mia scrivania per vergare piccole schede dedicate al Bibendum e non le odierne schede digitali con il marchio della bandierina tricolore in maglietta arancione, ma alla lunga, molte cose si possono fondere.

Oggi, dopo epoche



Crema di fagioli, sogliola e caviale di salmone 

La possente carta dei vini, dove cogliere perle rare, finalmente a prezzi da rincorsa 

 Qui il vino si stappa e si serve così, da sempre.
Borgognone Chardonnay Anselmet 2009, degno di un grasso Chassagne d'autrefois

Lingua di vitello, gamberi arrosto, aiolì, puntarelle ... 

Per più in là è stato previsto qualche cosa che qui si serve così
Gevrey Chambertin Lavaux St. Jacques 2010 Pacalet
Quando arriverà metterà in discussione tutto quanto si dice di Pacalet, così come si dice dei Valazza

Capesante italiane ... passata di piselli, fave, riso nero  e caviale malossol 

Il finto raviolo di trota rosa di lago farcita di crescione di fonte ... 

Il miglior Boca mai bevuto, che se la gioca con Pacalet come fossimo in un wine bar tra Chambolle e Gevrey alle prese con un vino pirata

Si susseguono cloche in ceramica ed altre metalliche.
Evito di scattare sulle metalliche per evitare il riflesso deformato del mio volto sorridente


Non do più i numeri ma qui saremmo tutti maggiorenni.
Sembra poco. E' tanto, francobollato, preciso.
Pansottini di papavero farciti di faraona, il fondo molto ristretto e mele ... o pere? 
Dettagli se sei un uomo

Riso, zucca, gorgonzola dolce e cioccolato alla cipolla di Cureggio
Top ten all time 


Sono di parte, si sarà notato, particolarmente quando si parla di spugnole, qui presenti a corredare un piatto ritristellabile come il sandwich di rombo e foie gras, asparagi, spugnole in fondo di vitello e crostacei . Il Sorriso nell'immaginario italiano. Il Mitteleuropeo.  In realtà molto più mediterraneo di tanti altri ristoranti italiani confusion.

Le spugnole sono fresche. 
Avendo un dubbio il Maestro lo annulla, come un tovagliolo caduto a terra, subito sostituito

Non mangiate capretto a Pasqua.
L'agnello è comunque ottimo, con aglio di Vessalico, timo e tappetino di peperone arrostito 

Ananas 

Mela mela mela ... 

Appassimento Biellese 

Piccola e classica, sempre piaciuta 



Due numeri uno. Chi scrive abitualmente lo sa bene. L'ultimo libro, l'ultimo articolo, l'ultimo colpo di tastiera. Quello è e sarà il migliore. Si può far meglio? si, ogni giorno. Il trattino word lampeggia mentre lo penso. Chi pensa di saper far meglio -da almeno 40 anni- si accomodi, prego, via, andare, io resto, anzi, riparto ma dimentico volontariamente un altro impermeabile, perché sotto questo cielo la pioggia non ha mai dato fastidio.

gdf after lunch


Un altro mangiare a Orta San Giulio

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Dai tavolini in piazzetta a Orta la vista è quel che è. L'Isola di San Giulio si scorge da un vicolo che da' sugli attracchi. Sarebbe facile far le solite cose, tanto una marea di turisti sommergerebbe comunque ogni locale con la qualsiasi proposta, come è sempre accaduto da queste parti. Gelati, panini, birrette, pizzette, toast e piatti riscaldati nel micro onde, come quelle che gentilmente muovono la calma del Lago.


Orta negli anni è diventata una piccola capitale di un distretto gastronomico. Villa Crespi con Tonino Cannavacciuolo, Locanda Orta con Fabrizio Tesse e a dieci minuti il sommo Sorriso dei Valazza. Peccato che anche il Barbaglini non sia stato -ancora una volta- messo nelle condizioni di partire con un progetto alternativo a pochi passi da questo localino che Alberto Rigoli e Alessia Garosio hanno aperto meno di un anno fa. Pan & Vino, non originalissimo nell'insegna ma eccellente nella scelta degli ingredienti e dei prodotti. Materie prime e prodotti da acquistare, assaggiare, gustare così come sono oppure sviluppati, cucinati o assemblati, lungo un breve menù sull'ardesia. Vini a seguire, saletta interna per le giornate meno soleggiate e tavoli in terrazza per quando c'è il sole. Dalle 10 del mattino è già tutto quanto disponibile, per chi si alza presto e non è solo interessato a cappuccini e brioche, ma a ben altro. 

Aperitivo al banco 

Una delle cantinette climatizzate 

L'accesso verso la saletta più interna 

la selezione di salumi e formaggi è di grande qualità 


Il ricco piattino -saturante di sapori- che accompagna l'aperitivo 

Alberto Rigoli alle 10.30 sta già stappando, Alessia e Alessandra fanno girare l'affettatrice e scheggiano formaggi rari come lo Stilton ...


La saletta del Pan&Vino, nuovo ad Orta San Giulio

Diarchia distonica

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L'aggettivazione  è in via di approvazione da parte dell'accademia della balla di paglia. Ci saranno discussioni, ma sono ottimista. Intanto ritorno a cercare conforto di una tesi dai due fratelloni che la identificano meglio oggi.



Welcome to the Gramegna's Brothers Show! Lo spettacolo viene replicato con sempre più successo a sud del Lago Maggiore, specchio d'acqua con pochi talent show da riva destra o sinistra, ma abbastanza near Milan and Inter-land, dove invece pare che l'onda lunga dei Navigli non si sia ancora esaurita, neppure dopo l'Expo.


Passerina marchegiana spumantizzata

Manco a dirlo, non sono pochi gli chef emersi o emergenti, stellati o sciroccati, che vengono qui quando vogliono gratificarsi mangiando piatti assolutamente convincenti e per divertirsi scoprendo vini ai confini della realtà. Davide Gramegna alcuni li definisce alieni. Difficile dissentire.


Gamberi marinati in millefoglie di tuberi croccanti e gelatine al lampone

Per nulla alienato, Cristiano Gramegna replica da parte sua, rivendicando un sostantivo diverso per il loro locale, che non sia più Enotavola, giustamente, perché il livello della cucina di questo Ristorante ha scalato e superato anche quello di molti addetti ai lavori comuni, e che qui trovano quello che faticano a produrre nelle proprie cucine, incontrando però riconoscimenti superiori, di critica ma non di pubblico, che qui non è mai mancato.


Cotenna di maiale soffiata in agrodolce

Altri che si occupano dei fatti di cantina fanno lo stesso, arrivando fin qui, dove non si rischia la patente, confidando nel vicino casello, alla ricerca del flacone inaspettato, quello che li faccia partire verso un viaggio sensoriale siderale, lontano da ogni codice ormai decifrato.


Astice e pancia di maialino, maionese al limone

Il concetto di buono o cattivo può essere un cruccio per chi si è dedicato ormai da anni con caparbia costanza alla ricerca selettiva di vini naturali in grado di mettere in discussione ogni certezza. Più che originali: autarchici e dialettali, quasi tutti. Quasi 900. Ne' da est ne' da ovest: qui non passeranno gli stranieri. Intendiamoci, Puoi bere quel che ti pare ma solo italiano. Le eccellenze non mancano. Le aggettivazioni personali neppure. E' bello scoprire il buono, il curioso, il divertente, il divergente quanto lo spiacevole. Difficile pure ricondurre un'etichetta ad un vitigno o ad una zona precisa, perché molti vini naturali sono trasversali, ma ci pensa Davide a svelare ogni arcano. Alcuni puzzano abbastanza, ma per evitarli basta fare come quando cammini per strada e scorgi un autospurgo. Che fai? Cambi marciapiede, of course.

La Diarchia è al potere. Grandi piatti confortanti perché fondati su base solide e classiche, che arrivano da lontano e vini che fanno dello storico dell'uomo un ritorno alla terra senza compromessi. Prendere o lasciare. Il pubblico gradisce, e questo conta, premiando entrambi, partiti anni fa nella medesima direzione, retta e parallela, come su due binari, che ad un certo punto hanno trovato una bifurcation.

Orto d'inverno 6x4
24 ortaggi in 4 cotture


Foto bruttine, nikon distonica; manca un'ottima St.Jacques in crema di topinambour, radici amare e olio a la vaniglia, e anche un dessert complesso e digestivo a base di ananas caramellato mentre i vini dovrebbero esserci tutti. Su tutto domina la ricerca di raggiungere la salsa perfetta, il fondo più concentrato, senza scorciatoie.

Intensissimi ravioli di coniglio nel su fondo al timo e olive Taggiasche


Gnocchetti piccanti con calamaretti e pomodori Pachino


Piccione con il suo fondo da fuori carta e fuori scala Mercalli


Elegante composizione di polpo ...


Maialino con cipollotti arrostiti


Pollo di Bresse con un fondo di ossa del volatile al pinot noir talmente tirato che anche Georges Blanc sarebbe rimasto allibito e con le labbra incollate alle dita


Classica millefoglie








And the winner is ...



gdf trasversale

L'ottimismo è un calice di Champagne

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del Guardiano del Faro



Ecco, la mia giornata biellese di ritorno comincia così. Il sindaco Marco Cavicchioli, mentre mi bevo la prima coppetta della giornata la mette giù dura e i numeri lo assistono, se è vero come è vero che sono 15 le aree -credo commerciali o industriali- ormai dismesse, e ben 17 i negozi chiusi nella centralissima Via Italia. Persino le suore annunciano al Sindaco la prossima cessazione di ogni attività all'interno di un enorme complesso -dove l'educazione non è mai mancata- confessando di non sapere più di che farsene di tanto ben di Dio. Un progetto evolutivo esiste però : annettere i comuni limitrofi ...


In questo clima nuvoloso, all'ombra del Mucrone si è voluto mettere al sole un fatto evidente, e cioè che il clima post industriale è proprio grigio, e pure il terziario ha cessato di avanzare. Nonostante ciò non mi è stato difficile girare l'angolo e trovare più di un raggio di sole che mi ha fatto rivivere gli effervescenti anni '80 e '90 di questa città, quando lo Champagne scendeva a rigagnoli dal Piazzo fino a fondersi con altri affluenti, fino a formare un fiume dalle parti di Piazza Adua. Nel mezzo tanti locali e tanti personaggi, come qui, oggi, a pranzo, dove i due piani del locale sono colmi di locali e di foresti, persone che probabilmente sanno scegliere.


Encomiabile lo sforzo -non solo economico quanto cerebrale-  di Vittorio Delmotto ed Alberto Ciarletti, nel tentativo di allargare la visione del mondo, di questo piccolo mondo edonistico che è quello del food and wine. Si possono mettere in bocca diverse cose per qualche minuto diceva Cristina Ricci in The Opposite of Sex, ma alludeva ad altri piaceri. Col cibo è meglio non essere troppo trasgressivi.



Dare ed avere, profitti e perdite, investimenti; soprattutto su quello che si chiama capitale umano, rappresentato in dettaglio da ben quattro new entry, che con il tempo saranno in grado di coprire ogni ruolo, perché questo luogo del culto dell'effimero non è solo fatto di cibo e vino, ma soprattutto di persone.



Si chiamano, partendo dalle ragazze, Jenny Pozza, che sa parlare con i clienti, di vini da versare o da asportare, nel senso dell'acquisto assistito. Sa far bene i cocktail quanto lavare i bicchieri senza romperli, sempre esibendo un sorriso contagioso senza avanzi, sottolineato da quegli occhiali montati sul rosso. Ti potrebbe dire che la tua macchina è appena stata rigata, ma non riusciresti a prendertela per così poco.



Saida El Mahri conosce bene la cucina di noi e di lei. Silenziosamente le mette in scena con buona mano congiunta e con un senso estetico non scontato, mentre Davide Zacchero sembra uscito da un albergo d'altri tempi, dove la gentilezza, le movenze felpate, il tono garbato ed il sorriso calibrato, non potranno disturbare neppure il cliente più intollerante alle buone maniere.

Menzione a parte per Antonio Lepore, svelto e magro come un furetto in ricognizione  tra le intercapedini di un Grand Hotel, agile come un gatto, furbo come una volpe, autentico "animale" da sala, animatore del piano bistrot, dove volteggia e coglie tutto quello che c'è da portare o da prendere in una frazione di secondo, come solo un rapace potrebbe.

Accidenti! Ma sono in Via Torino a Biella o in un Bistrot del Marais parigino?


L'ENOTECA: Centinaia di etichette di qui e d'altrove, in un'enoteca da frequentare per acquistare un vino non solo da regalare sotto feste, ma da regalarsi ogni giorno, per sopravvivere al declino di una città, evaporando in un sospiro alcolico di alta qualità.

IL BAR E WINE BAR : Vini alla mescita di buon livello, garantiti in freschezza dall'azotatore, serviti con stuzzichini che vanno ben oltre confusi o pasticciati buffet. Dalle 10 del mattino o dalle 18 della pomeriggio. Amanti delle pizzette riscaldate astenersi.

LA PROPOSTA DI PRANZO : Al vetro o alla lavagna, andando a cogliere le esigenze condivisibili con i clienti saggi e coscienti; quelli che non è vero che non possono spendere, quelli che non è vero che non hanno tempo, quelli che vorrebbero spendere bene pochi euro ma per qualche cosa che valga del denaro e del tempo, che è un concetto diverso.

ILRISTORANTE GASTRONOMICO : Una carta vivace, fresca e colorata, marcata con decisione sia nei sapori che nei sentori e curata nelle presentazioni. Una rarità -in città- preservata da ogni guida gastronomica, sostanzialmente tutte d'accordo su questo tema, persino non più prioritario qui, ma dato per scontato.

LA DISTRIBUZIONE : La Mia Crota importa direttamente alcuni grandi nomi dell'enologia francese, a partire dagli Champagne Henriot, con intrusioni nel bordolese fino a giungere ad uno dei grandi nomi di Borgogna, Bouchard Pere et Fils; e dunque perché riservare questo patrimonio solo all'enoteca e non proporsi anche verso altri colleghi? Questo potrebbe coinvolgere altri appassionati ed aprire nuovi orizzonti.

 Jenny! My Martini Please.




Antonio: Henriot '98 con il tagliere di salumi e formaggi, che va molto oltre la media. Per qualità intendo



Volendo esagerare Antonio non si tira indietro 

Rolls di pollo speziato in pasta fillo ... 

No buffet. Il piattino arriva personalizzato al banco 

Dall'azotatore si possono cogliere perle rare con pochi euro

Scorcio della sala ristorante al piano superiore

Al piano di sopra, dalla carta stagionale.
Salmone arrostito con misticanza e salsa di avocado e aneto


Rolls di ricciola marinata allo zenzero ripieni di panzanella
Il piatto del giorno (IMHO)

Ravioli neri di merluzzo d'Alaska su crema di piselli e paglia di porri fritti

Tagliatelle al ragù d'anatra al Bramaterra e fonduta di Parmigiano

Tagliata di tonno in crosta di pistacchi con radicchio in agrodolce

Agnello: la coscia disossata e farcita di prugne e uova di quaglia. Le costolette panate alle mandorle. Buona Pasqua

L'originale scelta di formaggi, tutti molto buoni e verificati al coltello

Tortino speziato, pera martin sec e crema inglese

Millefoglie di lingue di gatto con crema alla ricotta: vaniglia, limone, cannella, mela ....


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Il numero che non c'era

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Si giocava dall'uno all'undici prima di lui



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Il venerdì del DJ | Bollinger Champagne R.D. 1990 Magnum

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“Chi ciurlò nel manico?”
Furono Mo&Fab che estrassero “lo fenomeno” dal cilindro.
E, parimenti, fu lotta impari, dieci bocche contro uno, seppur magnum, altro che 5 contro 1, vero Chef AAA?

R.D. per Récemment Dégorgé,solo in annate eccezionali, esclusivamente da vigneti di proprietà, surlattesper un tempo prolungato (11 anni), Pinot Nero 69%, Chardonnay 31%, vinificazione in piccoli fusti, di quinto passaggio, vieillissementsous bouchon liège, remuage e dégorgement manuali (quest’ultimo avvenuto il 5 marzo 2000), dosaggio da extra brut. Dopodichè, altri 14 anni passati, quien sabe?, 14 anni, magari vissuti pericolosamente, ma portati benissimo, giacchè all’appuntamento è in forma smagliante.

Raggiante e nobile oro lucente, di vivissimo e finissimo perlage.
Pochi respiri gli bastano per dimostrare, in pieno, il suo ceto di appartenenza: l’élite.
Una dote aromatica regale, qualcuno fa riferimento a vecchi Meursault, altri scorgono rimandi ai Sauternes.

Io, molto più modestamente, intercetto, dapprima, polvere di caffè e caramello, camomilla, miele e crema di nocciola, con agrumi canditi al seguito – arancia amara e cedro – e frutta esotica. Una scacchiera olfattiva priva di indugi e in continua progressione, che cresce e si intensifica, senza soluzione di continuità; una tavolozza che scopre un coté di tartufo e fungo, di sottobosco e spezie orientali, perfezionandosi con massicce proiezioni saline, di ostrica e gesso.

La specularità gustolfattiva è dirompente.
In bocca è stupefacente – batte il naso, comunque, due a zero – e, al liquido, vanno ascritte tutte quelle peculiarità, le quali mi costringono a digitare: Grandissimo Vino.
Con le bolle, ma ciò non sposta, di una virgola, l’assunto.

Fatale e ineludibile, in casi come questo, non servirsi dei lemmi, sì scontati e di rito, che specificano, circostanziando alla perfezione, “la materia”. Tante le “anime” che convivono e si accordano armonicamente: vinosità e stratificazione, freschezza e sbuffi ossidativi, tensione e grassezza, struttura e intensità, complessità e profondità …
Mai spesi, tutte insieme, queste voci; mai mi capitò di bere cotanto liquido.
Persistenza deflagrante, in deca, quanto a minutaggio, su incisive sottolineature di salinità salmastra e iodio, con intensi ritorni di ostrica, zenzero e tostature pregiate.

Non ti ingannino le iperbole, ma pesale per difetto. Solo bevendolo potrai comprendere, altrimenti mai sarà consono, proporzionato e bastante il pixel.

Il plus, al boccione, lo ha trasmesso la Cumpa, prestigiosa e autorevole. Nondimeno, questo non è carpaccio benevolentiae, come, illo tempore, mi riferì, convintamente, imbrodandosi, un illuminato latinista.

Qualora qualcuno avesse qualcosa da aggiungere...


Grazie Mo&Fab, grazie a tutti.

Connessioni

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Marco 50&50


Me l’aveva detto che stavo superando i limiti ma non l’ho voluta ascoltare, ora non mi rivolge più la parola, non sopporta gli sgarri che le ho fatto, adesso è un paio di giorni che cerco silenziosamente, mantenendo un profilo basso (che a luci spente non sembra nemmeno largo) di rimettermi in carreggiata, domattina, appena sveglio, la costringerò ad un incontro ravvicinato, non proprio un faccia a faccia ma quasi, voglio proprio vedere se saprà resistermi o, come penso, mi manderà un segnale di pace attraverso il display.


La bilancia può dire ciò che vuole, ma come si può essere equilibrati, saper rinunciare, quando ci si trova di fronte ad un Bivio che non offre, a differenza del nome che porta,  alternative, diventa naturale assaggiare tutto e, per essere certi di aver capito bene, lasciare che i calici si riempiano di nuovo e non lasciare nulla nei piatti che devono tornare in cucina con un messaggio che “il Gianni” ormai conosce bene, ma che è giusto ripetere : si, ci è piaciuto, molto, anche stavolta, perché in casi come questo, non è un tocco di zenzero che fa la differenza.


 Da Aosta e dalla sua Valle, per il ControMeeting, hanno scelto di mandare in campo gli undici delle seconde linee e mentre gli Armadilli titolari sono ancora alle prese col disgelo, a Quinto Vercellese sembra già primavera, in realtà quest’anno è bisestile e l’equinozio primaverile che fa cinquanta e cinquanta tra giorno e notte cade proprio domenica venti in un punto tra le risaie che diventa per un giorno il nostro centro del mondo, così mentre altrove con un accenno di superbia alcuni decantano un tagliere di salumi per nulla superbo, qui, con garbo, “il Gianni” si presenta, le mani di Anna e di Silvia offrono certezze, si abbassano le voci a sfiorare il silenzio, non siamo intimiditi ma rispettosi e pronti alla resa, infatti, se i salumi sono banditi, ci siamo arresi tutti.


 A volte, oggi è una di queste, capita di assaggiare vini (senti il ringraziamento ad oltranza) e piatti (ultimo e non ultimo quello che ti ho riportato personalmente sulla soglia della cucina che non ho voluto violare) che singolarmente meriterebbero un post tecnico, di spessore, mirato, ma quando assaggio l’armonia e ad un Brunello preferisco due parole con Brunella, mi parte la tastiera e prende la direzione che preferisce, quella di una vecchia trattoria milanese dove ho letto queste parole che meriterebbero un post a parte, le “sacrifico” volentieri è il minimo che posso fare per ringraziare chi già conoscevo e chi ho conosciuto sapendo in fondo già di conoscere…

Deliziosi plin ...


Gh’emm mingh el WI-FI, parlii tra vi alter (non abbiamo connessioni, parlate tra di voi)

Pollo ficatum e asparagi ...

Ed è quello che abbiamo fatto, non ho sentito un telefonino, né una vibrazione, né una notifica, sono rimasto connesso con le persone e non ho avuto bisogno d’altro, perché in fondo altro non serve,  “un giorno mi dirai” se avevo ragione… allo Stadio altri avranno finito di correre, con che risultato…non vedo perché dovrei connettermi per disconnettermi dalle persone, con che risultato…

Sembrano uguali, invece ...

 Nel giorno dell’equinozio primaverile, che fa cinquanta&cinquanta tra il giorno e la notte, ci siamo “ritrovati”  al Bivio prima di mezzogiorno e volando a bassa quota tra le risaie, ma volando, siamo arrivati ad un passo da un altro cinquanta&cinquanta…
Gianni, puoi farci un gin tonic…
Quanti ne faccio…
Come il Piccione, quanti ne vuoi
Quando li faccio…
Quando vuoi…
Baccalà piselli e polvere di olive taggiasche

Piccione farcito di olive taggiasche e cime di rapa







F.N.- DJ Il Duca- Marco 50&50- gdf - AAA


Una Credenza e tante novità

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La tavola dello chef è solo una delle novità inserite in un progetto più vasto. Si, perché alle spalle dell'Aeroporto di Torino Caselle, dove finisce la caotica Torino ed inizia il rilassato Canavese non si dorme. Nuovi tavoli, apparecchiature, vasellame, vetrata sul giardino zen e piccoli dettagli aggiuntivi fanno ulteriormente la differenza, ma un gruppo di 15 addetti può anche dedicarsi a ben altro, e così oltre a collaborazioni esterne e servizi di vario genere proposti a clientela esterna al vero e proprio ristorante, ecco profilarsi un progetto assai ambizioso.

Un albergo modernissimo sta per essere completato dalle parti di Orbassano-Stupinigi. Un albergo eco compatibile che disporrà oltre che di qualche camera, anche di un paio di spazi ristorativi di diverso taglio ed un grande orto biologico di 1600 metri quadri. Work in progress, passeremo a vedere la nuova opera di design applicato all'ospitalità non appena sarà inaugurato.

Intanto la cucina, questa cucina, quella di Igor Macchia, Giovanni Grasso e Chiara Patracchini. Tre teste che si vede che lavorano in sincronia e non in antagonismo, e quando gli incastri riescono così bene si può immaginare solo un futuro radioso per questo raffinato ristorante torinese. Bravi tutti e arrivederci al nuovo albergo.


Maturato in alta montagna.
Ovviamente molto fresco e beverino. 
Originale e  piacevole

 "Vallée d’Aoste D.O.C. Blanc de Morgex et de La Salle Metodo Classico

VITIGNO E VINIFICAZIONE
100% Prié Blanc biotipo Blanc de Morgex.
Il vino base svolge la prima fermentazione secondo il Protocollo Estremi.Tradizionale rifermentazione in bottiglia. Dégorgement non prima di 17 mesi.


Insalata russa 

Pomodoro e mozzarella (caldi) con rametti di pesto 

Il cestino del pane con aggiunta di una tipologia aniciosa by Eugenio Pol

Il classico signature dish de La Credenza
Gamberi in pasta kataifi, patata schiacciata e gocce di peperoni 

Insalata di mare ed alghe con fagioli di Pigna 

Cotechino e polenta, lenticchie al wasabi e ricciolo di sedano 

Uovo di Parisi su fonduta di formaggio di capra , topinambour, senape selvatica ...

La crema di mais con fegatini di piccione, olive taggiasche e origano 

Fish and chips, piatto che per costruzione, complessità, presentazione e gusto, strizza l'occhio ad una seconda stella Michelin

Fusilli di farro, coda di bue brasata, zenzero e rucola 

Foglie  invernali di pasta fresca al cacao con lumache, castagne, caffè, olio di nocciole e crumble salato ... 

Anatra, maionese di nocciole, cipolle brasate, riduzione di vino rosso e gruè di cacao 

Meringata con sorbetto di yogurt, limone e verbena. Salsa di pesche tardive di Volpedo  

Dopo la bollicine valdostana e un vecchio merlot (2003) di Bressan, qualche vizio dall'accento inglese 

Notevole anche la mousse al cioccolato dulcey con nocciole sabbiate, gelato alle fave di Tonka, biscotto morbido e cioccolata colante 

 Per il buon viaggio e per ricordarsi che i dettagli sono quelli che fanno la differenza tra un ottimo ristorante ed uno eccellente, ormai sottovalutato rispetto a quel che vale



Igor Macchia e Giovanni Grasso


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Tenuta Carretta e il nuovo ristorante 21.9 di Flavio Costa - prima parte -

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del Guardiano del Faro


Benvenuti alla Tenuta Carretta della famiglia Miroglio. Decine di ettari di terreno e di vigneti circondano la cantina, la villa, l'albergo e il nuovissimo ristorante 21.9 di Flavio Costa. Ritrovo Flavio qui. Roerizzato o langhizzato, oltre i limiti lessicali e ai margini geografici. Un ligure piemontesizzato insieme ad un piemontese ligurizzato.

Una piacevole collisione, come è sempre stato tra noi, mai ruffiani : non ce la potremmo mai fare a mentire o mentirci. C'è meno scazzo del solito nel suo sguardo, così come la prima volta che lo osservai entrando all'Arco Antico, -approssimativamente il 14 marzo 2004- quando mi portò con disinvoltura un anomalo "amuse bouche" stellato di primavera : fave e salame. Fave e salame a Savona, messi dentro un toast croccante. Arrivavo da una cosa così in Bourgogne, a Fleury, dove Madame Chantal osava un toast de saucisson che valeva 2 stelle Michelin, insieme al resto, quindi perché stupirsi.

Mi dissi. Questo lo vorrebbe essere ma alla fine non è ligure di testa, anche se la testa in cassetta è tra le sue idee fisse. Beh, in effetti, un prosciutto al coltello trionfa in sala anche qui, come dire: ti fermi li? Ma di cucina parleremo più avanti, sperando di prenderci: io in foto -vittima dei faretti e dei piatti fondi- e in didascalia, mentre lui nelle esecuzioni, garantisco, non ha sbagliato un colpo, solo mezzo.


La fotografa insiste a riprendermi dalla parte stempiata, ma andiamo oltre i dettagli tricologici dettati dal tempo, perché il luogo, più dell'autore -si noterà- non manca di fascino. Spazi aperti, brezza primaverile, impatto ambientale discreto, almeno all'interno della tenuta, mentre all'esterno si sta costruendo parecchio, in questo piccolo villaggio di 1300 abitanti, collocato strategicamente tra Alba e Canale, tra Langhe e Roero, di cui Piobesi fa parte per delimitazione geografica.

Piobesi d'Alba, nota ai gourmet per circa un anno e mezzo grazie alla presenza sfuggente di Carlo Cracco, dove divorai il meglio della sua cucina a Le Clivie, che non ho più ritrovato e non ritrovo.  E poi proprio qui, dove anche il Siccardi si conquistò una stella, dentro questi muri.

Da queste parti -Roero Langhe- non mancano ne' grandi cantine ne' ottimi alberghi, ma è soprattutto la gastronomia ad attirare -insieme ai prodotti della terra- turisti da ogni parte del mondo, in un distretto eno-gastronomico senza paragoni in Italia.

Del luccicante ristorante e della cucina che Flavio Costa propone ne parlerò nella seconda parte, perché prima di tutto va valutato il contesto, così distante da ogni concetto di ristorazione ligure. Flavio, gestore dei due ristoranti e dell'albergo, disporrà qui di un bacino di utenza che crescerà in maniera esponenziale, e questo dettaglio non è un dettaglio, perché cambia di molto il panorama, anche senza vista mare : l'ingrata e insipida vista mare.

I primi clienti, da subito, vogliono vedere nel piatto il pesce e annusare il sentore del mare senza il caos del lungomare. Otto su dieci qui domandano pesce. Scopriranno prima o poi quale talento della cucina del territorio si cela dietro le spesse porte vetrate di questa cucina.

Ma intanto i vini della tenuta, che si possono veder nascere in cantina, che si possono acquistare o assaggiare nel wine shop, cominciando a prendere confidenza con l'accento locale, cominciando ad assaggiare un Arneis, un Roero, un Barbaresco, un Barolo, con un inaspettato sconfinamento in Bulgaria, dove una quota di famiglia Miroglio produce vini ricavati da qualche cosa come 1200 ettari di vigne. 

Me ne parla Igor Vendemia, già incrociato dalle parti di Cervere e perfino nei paraggi di Paraggi, nella fugace apparizione al Carillon, uno dei ristoranti di alta gastronomia più rapidi della recente storia italiana. Con il Barba pensavo di aver battuto un record a Volpedo, ma anche il Giuse e Igor a Portofino non si sono voluti fare mancare l'emozione forte del touch end go. L'end non è un refuso.

Ma adesso andiamo da Gaia, la terra.

Nei vigneti con vista su Piobesi, ma sullo sfondo spunta dai colli il Monviso 

La fascinosa villa che domina la tenuta 

L'ingresso del complesso che contiene la cantina, lo shop, gli uffici, l'albergo e i due ristoranti. 

Una mappa aiuta a non perdersi 

Sulla sinistra la cantina. A destra, al piano terreno ci sono le ampie cucine, le due sale ristorante, la zona colazioni, il british bar il ricevimento. Al piano le 10 camere e junior suite


Uno sguardo al wine shop 


Dicevo, andiamo da Gaia,
la gentilissima e sorridente Gaia, che è di Barbaresco solo per caso ... a stappare una prima bottiglia di Arneis Cayega, cavallo di battaglia dell'azienda. Tanto per rompere il ghiaccio in una giornata tiepida di inizio primavera


 Gaia di Barbaresco e le immagini storiche della Tenuta 

L'Arneis premiato da Decanter 

Banco degustazione 


In via ultimazione la grande sala che sarà dedicata unicamente ad eventi e cerimonie, che potrà contenere agevolmente una ventina di tavoli tondi da 10 coperti l'uno, con margine. Erano già decine le giornate vendute, ma da quando è arrivato Flavio, le richieste -ovviamente- si sono moltiplicate.

Salotto e bar, ricevimento e ingresso al ristorante gastronomico, accuratamente separato dallo spazio eventi. 

La sala colazioni 

Una camera standard 

Junior suite

Ogni camera ha un nome proprio di vigneto 

Junior suite 

Ed adesso caro Flavio andiamo a tavola ...

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fine prima parte

Tenuta Carretta : il nuovo ristorante 21.9 di Flavio Costa -seconda parte -

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del Guardiano del Faro


Dalla terrazza del nuovo ristorante di Flavio Costa stavolta nessuna visione periferica come a Lavagnola, e neppure palmizi da lungomare come ad Albisola. La visione sul piccolo comune di Piobesi non è che sia straordinaria, ma in compenso ci sono le estensioni di vigneti a dare un senso compiuto alla connotazione territoriale con un plus da scorgere laggiù in fondo, dove finiscono i colli e spunta altissima la punta del Monviso.

Vista vasta, complessa e profonda. Da qui la cucina di Flavio Costa può guardare più lontano che in passato. Le condizioni ci sono, perché le cucine sono grandi e ben attrezzate, e soprattutto perché la brigata di cucina conta già da subito almeno cinque assistenti.

In queste condizioni ogni piatto può essere progettato o concepito in maniera più profonda e complessa pur non diventando complicato da intendere. Fondi tirati alla perfezione, abbinamenti di più elementi che si sostengono o si contrastano a seconda delle necessità, e poi l'utilizzo raffinatissimo -e studiato nel minimo dettaglio -di fiori, germogli e foglioline ed erbe aromatiche che rimpiazzano gli storici "alberelli" di Lavagnola. Alcune erbe sono coltivate qui ... non è certo lo spazio a mancare.

Sapori netti, decisi, identificabili a occhi chiusi. Costruzione del piatto convinto e convincente, senza cadere nelle banalità, pur dovendo far i conti con il territorio, che qui marca la cucina tradizionale come un terroir si imporrebbe su un vitigno.

Un menù di tradizione a 50 euro non può mancare, seguito da altri a crescere, a seconda dell'impiego della materie prima o della quantità di piatti inseribili, a discrezione del cliente, che comunque può pescare anche singolarmente ogni pietanza anche dalla vasta carta.

Ma a meno di due mesi dall'apertura, Flavio in cucina e il suo abilissimo maitre sommelier Igor Vendemia devono già rilevare una tendenza chiara, perché alla fine è il pubblico che decide che cosa mangiare, e siccome Flavio arriva dalla Riviera è abbastanza normale che un'alta percentuale di clientela si rivolga ai piatti di pesce, ma non era immaginabile che la percentuale si attesti da subito all'80 per cento della richiesta. 

Ma per Flavio, che sia pesce o carne fa poca differenza, anche se personalmente ho sempre preferito approfondire la sua capacità, la sua sensibilità istintiva di interpretare i prodotti del territorio piuttosto che il mare. Sicuramente con il tempo le cose si assesteranno, e così anche la clientela -straniera o indigena- si renderà conto che anche e soprattutto i piatti di terra sono quelli che hanno un senso gastronomico superiore, degno della fama di Flavio, anche se quel baccalà al contrario ...

La carta dei vini è improntata su quella già esistente ad Albissola, qui integrata con molti altri vini piemontesi, oltre -ovviamente- a quelli della Tenuta che ospita il ristorante. In via di ultimazione anche la modernissima sala per eventi e cerimonie che potrà ospitare una ventina di tavoli tondi da dieci coperti, tutti con vista sui vigneti e le colline circostanti. Sala accuratamente separata dal corpo del ristorante, da cui si accede dal ricevimento, che si apre ad un elegante salotto con british bar e accesso alla decine di camere collocate al piano superiore.

Flavio infatti desidera che tutto proceda al meglio, fluido ma in maniera disgiunta. Eventi da una parte e servizio alla carta nel ristorante gastronomico che vada oltre, e che non debba subire influenze negative dovute al traffico. L'ampia terrazza consentirà a breve di godersi le belle giornate pranzando all'aperto, o cenandovi nelle fresche serate estive. Di giorno, all'aperto, tornerò non solo per fare foto decenti, ma anche perché una volta non basta quando ti è piaciuto, e la doppietta, quando ce la fai ...


In sala : Claudio Fontana e Igor Vendemia, a cui si aggiunge Federico Nisi


Continetta refrigerata

Bollicina bulgara niente male

Molti gli accompagnamenti all'aperitivo ... di ricotta e bottarga, di baccalà mantecato, di foie gras, di trota, di salmone ...


... e infine questo delizioso cono friabile farcito di verdure in bagna caoda

Burro Occelli lavorato con erbe e sale grosso

Un buon bianco "intruso" dal Veneto

Deliziose piccole ostriche tiepide con zabaione di porri di Cervere ... adoro le cose piccole

Gran colpo di classe con il midollo al cucchiaio, cannella e caviale

Ottimo anche il merluzzo fresco con asparagi di Santena cotti e crudi, riduzione di mandarini selvatici

Suadenti gamberi con purè di piselli e salsa di nocciola tonda gentile ...

Pane appena sfornato, in due versioni -anche al pesto - grissini e focaccia

Il Roero di Tenuta Carretta e un Merlot sorprendente dalla Bulgaria

Raffinatissima versione del "baccalà al contrario" con barbabuc e brodo di scorze di parmigiano ...

Intermezzo di classe, con gli asparagi di Santena in riduzione alla liquirizia

San Pietro con broccolo fiolaro e salsa Champagne

Si sale ancora con la pancetta di maiale brasata con mela cotogna e sedano rapa, e fondo di cottura first class ... fiori ed erbe per nulla posticci

Top class, tra uova e tartufo ci si perde e si affonda il cucchiaio, a lungo.


Con questo c'era una scaloppina di foie gras allo zabaione amaro ... di Cynar se ricordo bene, ma la nikon ha detto no, mentre io pensavo nì.

Ravioli allungati di coniglio, di forma e contenuto, con erbe amare ed ennesimo fondo rimarcabile


Foto inguardabile, ma questo piccione con tre diversi tuberi in bianco me lo volevo ricordare

Sorbetto di pera e frutti canditi ... questo me lo sarei ricordato anche con una foto peggiore

Carote cioccolato e chinotti : signature dish


gdf mannaggia ai faretti

Pitti Cibo

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Marco 50&50

Vorrei vendere pesce azzurro da una chiatta galleggiante ormeggiata davanti alla Grotta Azzurra.
Come non posso…

Allora avrei pensato di aprire un ristorantino a metà strada tra la chiesa russa e il Casinò a Sanremo, per poter ordinare bisogna fare qualche tiro alla roulette russa, solo allora si avrà diritto alla polenta da passeggio in versione calippo.


Libera concorrenza, la tendenza europea è questa, ma io non sono d’accordo, qualche regola ci vuole, è buona norma in certi casi soprattutto se il contesto merita rispetto, quindi vado Controcorrente, contagiato per vent'anni dai corsivi talmente incisivi da far impallidire un castoro di Mastro Indro da Fucecchio.

Palazzo Vecchio, norma nuova, a Firenze la guerra del cibo invece di far pensare, scatena commenti ostili, dopo l’uomo del monte è sceso in campo anche l’uomo che approva la patata (capitasse a me un lavoro così usurante) perché, dice, non saprebbe come fare con il pesce…ma dico io, deciditi, prendi posizione, tanto che sia "facile stupire" con una patata lo sapevamo già.

Per aprire un ristorante nel centro storico la percentuale di cibo toscano non dovrà essere inferiore al settanta e sarà necessaria l’approvazione di una commissione di controllo composta da cinque saggi (tre dipendenti comunali, la direttrice dello sviluppo economico, la dirigente di settore, il responsabile dello sviluppo centro storico, inoltre un esperto di ristorazione ed un esperto di scienze dell’alimentazione) che supervisionerà e si occuperà anche delle deroghe all’ordinanza sulla filiera corta dalla c aspirata.

Oltre al giudice che dalla sala da bagno allunga lo sguardo intenso e “piacione”  in sala pranzo, molti altri hanno consumato parole e tastiera sull’argomento Pitti cibo, probabilmente senza aver letto l’ordinanza, senza competenza giuridica o civica, ma ci sta e proprio per questo anch'io, che per lo meno sono mezzo toscano, posso dire la mia e in questo capitolo dal titolo “Centro alla finocchiona” penso di poter metter voce, magari sottovoce, tanto per sfogarmi un po'.

Quasi tutti, hanno avuto con l’argomento un approccio di pancia, lo farò anch’io ma prima qualche considerazione: il contesto europeo invita alla libera concorrenza ma questo non significa arrendersi all’assalto dei fast food, se tuteliamo il patrimonio architettonico perché non dovremmo tutelare quello gastronomico, salvaguardando il luogo e il cibo che lì esiste da sempre…inoltre, Firenze centro storico, è sito protetto, art.52 Testo unico beni culturali e quel che è sotto la tutela dell'Unesco va preservato con maggiore cura, evitando, o quanto meno limitando ogni trasgressione.

Sarà dunque vietato aprire nel centro storico di Firenze un ristorante cinese o giapponese o messicano.
Bene.

Altro che "fiorentini vi siamo vicini" come ha scritto qualcuno.

Sarà dunque possibile vendere solo prodotti tipici del territorio che siano a filiera corta, ossia prodotti che arrivino al consumatore attraverso non più di due intermediari commerciali,

Bene.

Altro che "le città sono belle quando c'è tutto" come ha scritto qualcuno che paventa la possibilità che si ritorni a chiamare mescite i bar.

Magari.

Non vedo perché debba essere consentito aprire in un centro storico patrimonio dell'Unesco "la qualsiasi", forse per alcuni decoro è una brutta parola, ma evitare un'omologazione di esercizi dalla tipologia lontana dalla tradizione non deve necessariamente significare di trasformare il centro storico in un'unica trattoria Toscana di basso livello, non significa scoraggiare chi cerca di fare ristorazione di qualità, perchè è proprio la tutela della qualità uno degli intenti.

Forse non sarò stato fino a N.Y. per assaggiarne uno come si deve eppure anche a me piace l'hamburger, ma se camminando per Firenze invece di un fast food fuori contesto, trovo un Trippaio che mi fa un panino col lampredotto è più in là invece di un ristorante cinese mi offrono un vassoio di crostini neri non soffro.
Anzi.

Siena, Piazza del Campo, cammino colpito dai raggi obliqui del sole, al tramonto della civiltà, perché le virgole contano, trentatré, mi appare una Fata Turchina, sarà una contradaiola dell'Onda,  si avvicina e mi porge una bacchetta, hai sentito, mi dice, a Firenze...
Puf
Adesso ci siamo, le rispondo e mi sento addosso settecento anni di meno.

M 50&50

Il numero zero di King George a Villa della Pergola

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del Guardiano del Faro



Forse è proprio questo il posto giusto. Quello più adeguato alla rappresentazione.
Per mettere in scena quel menù dall'accento inglese inghiottito dall'ultima pagina di quel libro che predicava il baratto piuttosto che l'interesse per il denaro in cambio di piacere. Nobile intenzione -nel mio piccolo- non paragonabile però al mecenatismo di Antonio Ricci e della Signora Silvia; ma a noi crapuloni non basta mai, sempre pronti ad alzare il tiro quando si tratta di Grouse, Famous o non Famous, Bowmore, Ardbeg, Islay Porto Wood o Sherry Wood. Vintage, Madeira, sulla rotta delle spezie, mescolando tutto. Non è Cancale, è Alassio, mi sto perdendo, o trovandomi affine alla casa, come King Georges, come soprannominato prima del tempo, ma non fuori tempo.



Per la Grande Abbuffata ne avevo trovati di luoghi adeguati, ma alla fine i commensali si sono tirati indietro tutti, una volta ricordato il finale. Qui un menù dall'accento inglese che finisca da dove tutto iniziò, in Scozia, credo sia possibile, e perfino plausibile. Non alcolisti astenersi. Tutto dovrebbe andare dai 20 gradi in su, come detta il clima.



L'esaustivo articolo serioso, correlato e condiviso lo trovate altrove ...  è qui, mentre l'Armadillo affamato si concentra di più sul food, e moderatamente anche sul wine, tenendo pure conto che questo è il pranzo numero zero alla Villa. 

Il food era entrato tre giorni prima in cucina, e Giorgio Servetto ha fatto miracoli per partire con il suo ristorante gastronomico sotto Pasqua. La carta dei vini non era ancora stata completata; così come, quel giorno, si stava ancora meditando sulla costruzione di uno o più menù degustazione "attrattivi" e utili a portare in Villa una clientela diversa da quella dei "residenti" puntando così anche su un pubblico giovane da motivare, alla scoperta dell'eccellenza dell'ospitalità. Questa la nobile e democratica intenzione della Signora Silvia Ricci, che vorrebbe che questo straordinario "albergo" sia vissuto appieno dal pubblico, abbassando l'età media dei clienti, quelli che rappresenteranno il futuro di Villa della Pergola.


Un numero zero, e quindi sovvertibile anche nella sequenza dei fattori, tanto il risultato non può cambiare. Chissà perché le recensioni seguono sempre la stessa sequenza. In fondo, quel che resta più in mente sono le ultime cose assaggiate, andando a ritroso verso le prime.

Piccola pasticceria e Ardbeg 10 anni per cominciare, per onorare quei visionari scozzesi che posero le prime pietre su questi terreni addossati  a quello che all'epoca (1880) doveva essere un piccolo e grazioso borgo di pescatori.


Giorgio Servetto qui esige ancor più pulizia nei sapori ed eleganza nelle presentazioni, e il giovane pasticcere Davide Ottonello pare essersi adeguato senza sforzi. Molto bello e un tantino più dolce del prevedibile il suo assoluto di cioccolato. Mouse.


Molto diverso questo, dove il morbido e cremoso (tiepido) di caffè, sostiene un sorbetto ai frutti della passione acido senza compromessi. Bel colpo di acido amaro, di morbido e croccante e di caldo freddo...

Buonissimo anche questo pre dessert, che consiste in due "semplici" sorbetti, uno realizzato con i limoni  più dolci del parco, e l'altro costruito intorno ad un insieme di spezie che rappresentano un viaggio a bordo di un vascello della Compagnia delle Indie

La sala vista mare

Tostissimi questi spaghetti selezione Mancini, aglio, peperoncino, cime di rapa e pane croccante; da "cremosizzare" un po' di più con la delicata bufala

La carta del ristorante

Tortelli di borragine farciti di "preboggiun" su crema di noci di pekan e sale nero . Impeccabile, con o senza aggiunta di tartufo nero.

Cerebrale e ben riuscito il gioco cromatico tra l'involucro di bietola (che nasconde polpa di branzino) e il fiore di borragine. A chiudere dei piccoli rossetti lessati e brodo di branzino a pioggia.


Questo è il piatto più economico in carta: 16 euro, ed anche tra i più riusciti. Crema di carciofi di Albenga, carciofi arrostiti e terra di nocciole.

Buona la prima chef!

Si mangia con gli occhi il "brandacujun" haute couture. Forme e colori di prezzemolo, panissetta di ceci, stoccafisso mantecato, salsa di prezzemolo e croccante di patata viola. Chapeau

Rivedendo al contrario il menù ci si rende conto che spesso i primi piatti -gli antipasti intendo- restano immotivatamente sottovalutati ...

Guarda che roba ... salmone marinato all'aneto e poi leggermente affumicato in Villa, taglio Balik, carciofi crudi, maionese di mandarino del giardino e croccante d'aneto. Più in là con la stagione i carciofi potrebbero essere rimpiazzati dagli asparagi con uguale o superiore successo.

Il cremoso di cipollotto farcito di glassa balsamica, cavolo rosso all'agro, broccoletti crudi e croccante allo zafferano. Questo è il complesso amuse bouche che manda messaggi chiari su ciò che arriverà in seguito, e che avete già visto. A breve la carta cambierà già, in funzione della stagione e anche nobili ceramiche di Limoges e Schoenhuber contribuiranno ad esaltare ulteriormente il lavoro della cucina.

La Granaccia degli amici di Bio Vio, veramente ben riuscita

Un tipo di pane bianco, una focaccia calda e dei grissini fragranti. Di più non serve

Acido, fresco e tagliente; e dal rapporto qualità prezzo rinfrancante

Il tavolo che ha onorato il numero zero. Grazie a Giorgio e alla famiglia Ricci

Villa della Pergola


La cucina sotto vetro. Zona pasticceria, dove opera Davide Ottonello

Maitre e sommelier Mattia Trentani tiene d'occhio tutto e tutti

Bel colpo King George

gdf
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