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Mi sono ammalato di ARFID, ma spero di superarla con un sorpasso

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del Guardiano del Faro

Non sapevo di questa malattia rara, ma a questo punto ne devo prendere atto. Dirlo? Non dirlo? Quando non stai bene prendi decisioni a prescindere.

Prima di salire lungo la tortuosa Statale che conduce al Colle di Tenda in auto scoperta mi sono messo -come faccio ogni mattina- a fare un bel giro intorno agli scogli del web dove si scrive di spaghetti e di tante altre cose meno buone ma mai abbastanza screditate da chi le commenta.

La recensione negativa latita. Quella coinvolgente, precisa, tagliente, sintetica, ironica, colta. Quella che appassiona, avvicina allo schermo e allontana da tavole improbabili. Il famigerato diventa famoso, perfino affamato atavico.

Mi annoio e, se non fosse per l'annuncio della scoperta di una nuova malattia legata al consumo di cibo non saprei a chi dare la colpa per giustificare questa mia indolenza crescente verso la cucina da ristorante, quella che "sa" troppo spesso di eccessiva manipolazione degli alimenti.

Si, mi sono ammalato di ARFID.

Le prime avvisaglie le avvertii in due dei migliori ristoranti del mondo, dove ci possono essere sicuramente dei fenomeni in cucina, ma dove se mangi male e spendi molto, il prurito ti sale subito per una gamba e si va a depositare proprio li, dove tutto pesa.

L'odore. No, non con la vista -mica tutti vedono- prima di tutto si mangia con il naso. E' insopportabile entrare in un ristorante di qualsiasi livello e sentire puzza di mutande sporche, figuriamoci in un top, come fu in quei due casi, tra l'Aubrac e la Catalunya, dove il pesce aveva dato il meglio di se nei giorni antecedenti.

L'infida ARFID probabilmente covava da quel tempo, e si stava evolvendo dentro di me piano piano, evidenziandosi nel tempo attraverso sintomi legati all'evidente disturbo restrittivo-evitante dell'assunzione di cibo, traduzione dall'originale.

Chi finisce ogni piatto gli si pari davanti stia pure sereno, al massimo ingrasserà, ma per me che avanzo sempre nel piatto qualche cosa, il senso di colpa non si compensa più ormai, aumenta e basta. 


Fior di docenti hanno affermato che l'ARFID è probabilmente legata ad un trauma precedente, ma nel mio caso non saprei neppure rintracciare quale, quindi tanto vale prenderne atto e continuare a lasciare nel piatto il grasso del prosciutto, il gambero crudo che sa di abbattitore, lo stoccafisso che sa di autospurgo, la zucchina torbata, il manzo tignoso, il tonno fibroso, la selvaggina che sa di zombie, il piccione che sa di fegato, il fegato che sa di pollaio, l'aglio che sa di antimuffa, il pompelmo che sa di muffa, l'ananas che sa di tappo, il caffè che sa di cimice finito sull'alogena. Spesso al mio tavolo e in quelli intorno mangiano tutto, parlando tanto ma senza annusare nulla: immuni dall'ARFID.

Sorpasso, sorpasso ancora riscendendo, rischio qualcosa ma alla fine tutto bene. Non si è offeso nessuno; credo, o forse si, non lo posso sapere se non me lo dicono. Serenamente torno al faro, da dove nelle belle giornate posso scorgere la Gorgona, dall'Aurelia, dalla vecchia Aurelia, perché ho un appuntamento con la versione restaurata de "Il Sorpasso". Sul tema, Capolavoro difficilmente superabile, se non dalla sua opera restaurata, che mi lascia incollato al parabrezza.

Bellissimo. Incredibile riscoprire che prima del 1962 l'Italia fosse già conciata come nei film degli anni '90 dei Vanzina. Mi sento molto Roberto, alla francese ça va sans dire, come Jean Louis Trintignant, vittima accondiscendente di una personalità forte e devastante come quella di Gassman, con un occhio di riguardo per la Spaak; che, accidenti, non era la Bardot ma spaccava veramente.

Verso le 23 finisco giù dalla rupe, una di quelle che avevo schivato nel pomeriggio, il divano. Vado in bagno vista mare per fumare una sigaretta e per rileggermi la mia recensione preferita. Tengo quell'edizione de L'Espresso 1999 come un vangelo, con quel filo di tessuto giallo interdentale infilato tra le pagine bianche.


Copertina arancione rigida e rilegatura robusta, come uno dei testi di pagina 478. Periodi brevi, chiari, ironici, appuntiti.

"I commensali si contendono i tavoli vicino alle vetrate. Il ristorante, solido come il suo cemento armato, si affaccia sul mare dalla famosa scogliera della vecchia Aurelia dove si conclude tragicamente il film "Il Sorpasso". Nella pellicola Vittorio Gassman si salva, e anche noi siamo sopravvissuti. La cucina livornese no, fa la fine di (Roberto) Jean Louis Trintignant: un volo nello strapiombo.

Sul mare passano le barche da pesca, lontane lontane ... A noi tocca assaggiare gamberi stracotti con fagiolini semicrudi e pesante olio tartufato (!), ravioli di branzino privi di profumo, spaghetti allo scoglio senza entusiasmo, fritto misto senza aggettivi e orata prosciugata in forno.

La carta è precisissima: un asterisco, pesce surgelato; due asterischi, pesce surgelato con pesce fresco. Suggeriamo tre asterischi per i piatti con la panna: maccheroni del Tirreno; e mazzancolle alla Sonnino con timballo di riso.

Proveremmo anche l'astice, ma il cameriere congela anche noi: "NO", sintetico motto per dire che non c'è.

Due o tre vini alternativi, dolci confezionati.

Anche le 75.000 lire spese sono in fondo alla scogliera: però, dall'enorme terrazza all'aperto, l'occhio spazia tra le colline di Montenero, il castello Sonnino, Quercianella e Castiglioncello e, con il bel tempo, fino alla Gorgona."












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