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LA BEFANA VIEN DI NOTTE



Marco 50&50

"Chi può bussare a quest'ora di sera, sarà uno scherzo un amico e chi lo sa"

Ah già, dovrebbe essere il corriere, altrimenti dovrò rimandare ad altra data le mie innocenti evasioni, sto aspettando un paio di consegne, sono rimasto senza bollicine francesi e legna per il camino...

Spengo le luci rosse, abbasso il volume e mi preparo a firmare la bolla per la bolla, ma non è Bartolini, è una vecchia Befana al tramonto, il tempo cambia le prospettive e diminuisce le aspettative e poi nemmeno io sono più di primo pelo, la faccio entrare anche perché la calza a rete promette bene e dovesse andarmi male, il carbone vegetale ultimamente sembra vada per la maggiore...maggiore esperienza, minor probabilità di commettere errori, lei scende dalla scopa, solleva la sottana e si toglie lentamente la calza, dalla gerla prende il mio regalo del sei gennaio e ce lo infila

L'etichetta recita: Champagne Marguet, Ambonnay, Blanc de noirs, Premiere Cru, 100% Pinot Noir

Benoît Marguet, sostenitore di una viticoltura il più possibile naturale, da sempre alla ricerca del miglior equilibrio e della miglior maturazione direttamente in pianta, rappresenta la quinta generazione di produttori, possiede dieci ettari di vigne, due dei quali riservati a Krug, gli altri otto, dal 2009 al 2014 sono stati convertiti in bio e si fregiano della certificazione internazionale Demeter, per una produzione di circa settantamila bottiglie, la mia dovrebbe essere ottima come aperitivo e non avendo a disposizione un plateau di ostriche, vado a rileggere il capitolo istruttivo di un libro del finanziere in acronimo sicuro di trovare un'escamotage...

Sottilissimo perlage, l'eleganza delle grandi occasioni, giallo paglierino con riflessi dorati che appaiono screziati di giada, naso aquilino elegante ed antico, il profilo olfattivo sembra complesso, forse più una band, poi i piccoli frutti rossi, i lieviti, la paglia e la piccola pasticceria lasciano spazio sul palco al front man che è pronto a prendersi la scena, si presenta mezzo nudo la pelle lucida, la sua e quella dei pantaloni zafferano e albicocca.
L'intenso profumo d'incenso e di pepe dal palco ci raggiunge per portarci in viaggio, un viaggio esotico ed erotico, persistenti anche al palato, ma solo inizialmente, le spezie, per un sorso lunghissimo, a suo modo equilibrato, che vira verso note  più minerali e saline, quasi iodate.
Ad un passo dal salmastro arriva deciso a chiudere il caffè boliviano in grani.

Dei bei modi se ne fotte
Usa i tacchi a mezzanotte
La Befana è in calze a rete
Ci guardiamo e abbiamo sete
Vieni di notte la Befana
E l'idea non è malsana
Per non essere scortese
Stapperò la mia francese


(per gentile concessione del web)

M 50&50

AAA Apprendista lavapiatti cercasi


del Guardiano del Faro


Anche stavolta, volendo cercare qualche forma di occupazione nell'ambito della ristorazione di medio o alto livello, la strada che dovrò percorrere sarà lunga e il punto d'arrivo piuttosto distante dal faro, così come dalla Riviera; dalla Riviera Ligure tutta, dove gli operatori del settore sanno già tutto loro sull'argomento specifico, e i fatti sembrano dargli ragione.

Infatti la regione Liguria è l'unica in controtendenza in Italia sul tema, e il progetto comunemente condiviso tra gli operatori ligustici,  destinato ad azzerare progressivamente questo fastidioso settore economico è in via di perfezionamento, in modalità continua.

E' proprio questo il motivo che mi spinge a rispondere a questo curioso annuncio e in seguito partire per un colloquio, nelle Langhe, al GrecAle di Novello, piccolo ma grazioso borgo panoramico, a due passi da tutto ma abbastanza marginale al flusso turistico che alimenta con continuità l'economia della zona. Qui qualche cosa si può fare per sviluppare invece di annientare.

Un punto d'appoggio per passare qualche notte -e così vivendo pienamente il luogo e  la collettività- lo colgo nel grazioso Barbabuc, Relais del Silenzio piemontese in salsa provenzale che porta il nome dialettale di quell'erba acida e amara, che se la chiami in piemontese luvartin ti risponde in italiano con il termine agretto o barba dei frati.

Non i frati ma bensì il parroco rischia però di compromettere il silenzio nel Relais così come la quiete negli altri piccoli luoghi dedicati all'ospitalità. Scopro che anche qui qualche problema di accoglienza quindi esiste e, leggendo qualche delazione specifica su TripAdvisor, mi rendo pure conto di quanto incide questo Parroco mancato Dj sulle valutazioni dei commentatori.

I maligni fanno invece circolare la voce (lo scopro frequentando assiduamente i due bar del paese), dicevo, fanno circolare la voce che in realtà sarebbe il Sacrestano seguace di Mike Oldfield ad accanirsi sulla programmazione "campanilistica", che si apre alle 7 del mattino e prosegue durante il giorno in maniera continuativa fino a notte. Ecco, anche qui i problemi non mancano, e le soluzioni andrebbero cercate ben più in alto che in un Ufficio del Turismo.


Image may be NSFW.
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Fatti una pera ... gnocchi di patate farciti di pere e formaggio, by Alessandro Neri
Nulla è come sembra; anche l'annuncio non corrisponde alla sua esteriorità. Non è un Barbabuc ma un Barbatruc. Una maniera sotterranea per farmi salire fin qui dal mare, anche per osservare e gustare la pecora che guarda il mare.

Sia di immagini che di contenuti, AAA Cercasi Lavapiatti è un dessert, che completa una lunga serie di piatti ludici, gustosi, colorati e divertenti: pensati e messi in scena da uno dei cuochi più brillanti di Langa, Alessandro Neri.

Al GrecAle, Alessandro, ora coadiuvato anche dalla giovane e carinissima Elisa -e dalla consolidata piccola brigata- si sta prodigando nel progetto evolutivo del locale, già ben assestato nei taccuini dei gourmet locali, e finalmente -nel giro di due anni-  rintracciabile non più solo sull'elenco del telefono della provincia Cuneo ma anche ben individuabile tra le pagine di quasi tutte le Guide nazionali.

E' venuto il momento di salire oltre la sommità di Novello e del suo bel castello, è il momento di ambire, alla caccia non solo di lavoro e di successo economico, ma anche di altre soddisfazioni che vadano oltre il cucinare, servire i piatti e poi lavarli, cercando un lavapiatti fuori quota.


Novello: il Castello

AAA Cercasi Lavapiatti, in corso di preparazione. Simona, mi raccomando, non scatenare putiferi mediatici con quella spugna

... pronto al pass ...

... e servito al tavolo con spruzzatore ...

Da Novello, verso il Monviso

... e verso le Langhe, Monforte e dintorni


La luminosa sala

Da tutti i tavoli ci si gode la vista sulle colline, notevole

Ben fatto Ale, anche qui le capesante americane avranno vita difficile

Elisa Migliassi, 23 anni, new entry al GrecAle
Conforterà il pubblico da subito, con salviette bollenti d'inverno e ben fredde d'estate.

Tutti i pani, focacce e grissini vengono prodotti giornalmente.
Alessandro su questo tema non si discute

"E fatti una pera ... "
Involucro esterno più o meno come quello degli gnocchi, farcito di dadini di pere e formaggio. Chiodo di garofano infilato nel ... della pera, a rendere l'idea fino in fondo;  poi il tutto viene passato in padella con brodo vegetale e un poco di burro perchè le pere siano belle lucide ed invitanti al morso o alla presa.

Fusion esotico-mediterranea ben presente: per esempio in questa tartare di tonno marinato e leggermente affumicato servito con un colorato guacamole ...

... che può far parte del trio di antipasti di mare, insieme al fritto ed al waffle di polpo ...

... in dettaglio, il waffle di polpo, patate, taggiasche e salsa di pomodori secchi.

La focaccia del GrecAle. 
In realta, una delle pizze più buone che potrete assaggiare

Plin al pass caldo... sotto le lampade,  farciti con Castelmagno e conditi con miele e nocciole tostate

Battuta di Fassona affumicata al pass, servita con crema di patate viola e uovo poché

Maccheroncini, ceci, baccalà e chorizo

Alessio con le golose costolette d'agnello farcite di toma, panate e fritte.
 Cavoli rossi confit e spinacini

Le delicate mani di Eleonora Voglino per la rifinitura delle sfoglie di orata, paccheri con melanzane bruciate e stracciatella pugliese

Quelle di Simona Baravalle per "La pecora che guarda il mare" ...

... raviolini triangolari farciti di robiola di pecora, crudo di gamberi e chutney Bretone

Qui c'è un concentrato di Alessandro Neri, abruzzese di origine, amante dei grandi viaggi. Segno ariete, quindi questo è il suo anno. Un ricordo di pastorizia appenninica, il mare, sognando un viaggio, forse mai fatto, fino a Cancale. La ricetta di quel chutney non c'è sul web, ma al Faro Bretone si. Esecuzione impeccabile di un piatto che potrebbe diventare un signature dish di Alessandro, fusion mediterranea dall'accento orientale, sulla rotta delle Compagnie delle Indie, approdando per comodità a St.Malo, non così distante dal Faro di Ar-Men.

Eccellente piatto vegano, dove tutte le verdure cotte al punto giusto si fondono in una straordinaria salsa di latte di cocco e curry verde. Tortillas di mais a inseguire. La salsa reggerebbe anche crostacei di un certo peso. Da provare

Il carrello dei formaggi

Anche qui l'originalità non manca ...

... come nel dessert "vizi e capricci", o nel "Palermo-Novello coast to coast" o ancora, nell'Uovo che si è montato la testa.

Lui invece no, piedi ben piazzati e terra, lasciando correre l'immaginazione, che si risolva nella costruzione di golosi piatti Pop Art
http://www.ilgrecale.com/

gdf

il video è dedicato al Sacrestano

Dopo Napoli, secondo estratto


Marco 50&50

Prima l’Antica Pizzeria da Michele a Napoli, seconda La Notizia.
Dov’è la notizia ?
A Napoli.
Si, ma dov’è la notizia ?

Che nella stessa classifica delle quindici migliori pizzerie italiane, redatta qualche tempo fa dal Daily Mail, all’undicesimo posto, subito dopo Sorbillo, figura, quindi senza sfigurare nemmeno molto, la pizzeria Fra’ Diavolo di Diano Marina, seconda assoluta fuori dal territorio campano.



In tutta onestà, dopo averla provata, non posso affermare che in base alla vicinanza in classifica ci sia corrispondenza nel risultato finale, d’altro canto anche i chilometri per raggiungere il capoluogo partenopeo non sono gli stessi, ma se la bandierina di partenza è collocata a nord, anche senza la bussola alla mano, Diano è un buon punto di arrivo per una pizza sopra media.

Sono gentili, veloci ma non sbrigativi, la pizza arriva bollente, il pomodoro non è acido, la mozzarella fila, la margherita mi è piaciuta, le verdure sia cotte che crude nella vegetariana con rucola e pomodorini sono di livello, quindi il passaggio diventa obbligato, con calma, dopo il treno che ferma comodamente a Diano.
Prezzi nella media, digeribilità assicurata, così come la coda, per evitarla evitate di fare quel che ho fatto io, quindi c’è concorrenza di colpa per l’unico aspetto col punto interrogativo.



Ero in piedi da tre ore con un solo caffè, a dir la verità l’avevo macchiato con una tonica senza gin ed un pezzetto di focaccia, ligure, (lo specifico perché a Milano, sarà l’aria, sarà la nebbia, ma la focaccia è diversa) la passeggiata da San Bartolomeo a mare e lungomare fino a Diano e per Diano non mi aveva provato ma mi aveva provato, ce ne fosse bisogno, che come sempre, qualunque cena mi aspetti la sera, fosse anche un cenone di Capodanno, appunto, saltare il pranzo non è propedeutico ma dannoso, si rischia il mal di testa ed un giramento di palle.
Comunque alle dodici, ecco l’errore, avevo già fame, il locale era appena aperto e forse il forno non aveva ancora raggiunto la temperatura ottimale, per cui ok la cottura degli ingredienti, forse un po’ meno ok quella dell’impasto che, pur essendo ben lievitato, elastico e digeribile, non si scioglieva propriamente in bocca, dettagli.



Tornerò a cena a Ponente, Rollino, Sarri, Donalisio (avessi voglia di fare un ventina di miglia in più) poco importa, quel che è certo, un pasto solo mi sembrerà nudo e avendo io un passo diverso da quelli che sono riusciti a farsi due stellati a pranzo e qualcos’altro la sera, opterò per qualcosa che difficilmente mi ritroverò nel piatto a cena; wurstel (magari un brat), senape e crauti rossi potrebbe essere un’idea se non fosse che in Liguria la senape, come i pinoli va a ruba, andrà benissimo una pizza a Diano Marina, lascerò ai cuochi pentole e coperchi, sarà sufficiente un buon forno, caldo, quello del Fra’ Diavolo.



M 50&50

Abbattuto e Ricondizionato

gdf + AAA

Chef ! Si ricorda che cosa faceva una persona normale quando decideva di andare a mangiare in un ristorante sconosciuto? Dico, prima dell'avvento del web ... quando ci si vedeva al bar per l'aperitivo, con la Guida nella mano sinistra, il bicchiere di Krug tra e dita della destra, e tanti bla bla bla in bocca.

Li, a confrontare pareri, a far girare la voce a vuoto, alla ricerca della dritta giusta, o tranciando giudizi definitivi: esaltando o giustiziando alcuni ristoratori sulla base di illazioni. Una delle più gettonate era questa : "non ci andare ... là ti daranno solo roba congelata o surgelata, e poi ripassata in padella o in forno, insomma, andresti a mangiare piatti riscaldati."

Se il senso del concetto si fosse arrestato a lasagne e spezzatino, beh, tutto sommato, un buon surgelatore, di quelli che portano il prodotto a completo surgelamento al cuore in poche ore ... poche ore, troppi danni non avrebbe potuto causarli al gusto del piatto, ma se si trattava di pesce? Credo l'unico che ci possa guadagnare sia il polpo e la sua famiglia ristretta di cefalopodi dalla fibra tosta, che ne escono -dal processo- ammorbiditi nella coscienza e nella consistenza. Ma tutto il resto? E il pesce crudo poi? No, sarebbe stato inacettabile.

Noooooooo, uscire a cena e spendere 100.000 lire -ed in seguito 100 euro- per del pesce surgelato proprio no, ed invece oggi si, per forza di cose. Ma non si chiama pesce surgelato e poi scongelato, ma bensì abbattuto e ricondizionato, pratica che ormai in cucina è diventata d'obbligo e alibi nello stesso tempo, per quasi ogni cosa che arriverà nel piatto.

gdf



La normativa europea del decreto 853 del 2004 prevede la congelazione del pesce da mangiare crudo. In Italia col solito ritardo un decreto del Ministero della salute del 17 luglio 2013 obbliga le pescherie ad esporre un cartello, che suggerisce di congelare il pesce da consumare crudo.

La ragione più evidente di tali pressanti “inviti” è dovuto alla sempre più crescente diffusione dell'anisakis, subdolo animaletto presente da tempo anche nel Mediterraneo, che partendo dalle feci dei mammiferi marini contaminano la catena alimentare dei pesci sino ad arrivare all'uomo, come ultimo consumatore.

Senza la morte certa del parassita mediante la surgelazione, la congelazione o la cottura, negli umani sono possibili numerose reazioni allergiche fino al più pericoloso choc anafilattico. Queste disposizioni sono obbligatorie per il canale ristorativo alla luce del rispetto delle norme HACCP, oltre a evitare rischi e cause di rivalsa per aver offerto pesce crudo senza averlo abbattuto, nell'eventualità di malessere dei clienti.

Il vero problema per ristoratori e clienti riguarda la credibilità del pescato fresco, successivamente abbattuto e ricondizionato prima di offrirlo crudo. È un dilemma di non poco conto alla luce delle molte furberie che affliggono il comparto alimentare.

Appare evidente la possibilità dell'acquisto diretto di pesce surgelato, bypassando tout-court la fase dell'abbattimento, che un ristoratore coscienzioso dovrebbe eseguire con un abbattitore regolarmente denunciato all'Asl competente. Tecnicamente la surgelazione industriale che impiega azoto liquido è la migliore in assoluto, il congelamento fatto con l'abbattitore prevede un ulteriore ricovero a – 20° almeno per 24 ore.

Obiettivamente tra il surgelato e l'abbattuto ai fini della degustazione del crudo non si hanno differenze sensibili. In entrambi i casi la fibra del pesce viene fiaccata e perde la sua originaria compattezza o rigidità da rigor mortis, ed il freddo è un modo improprio di cottura, mentre quella vera e propria col calore ridà nuova plasticità all'alimento.

Caratteristica del crudo abbattuto è una sorta di mollezza, che un ottimista può definire tenerezza, e la si può riscontrare nella masticazione. Per avere un riscontro obiettivo basta marinare filetti di alici abbattute e fare il confronto con quelli non crio trattati. 

Col tonno ed il pesce spada la differenza è meno evidente anche per la maggior plasticità e compattezza delle loro carni. Personalmente sono d'accordo col gastrosofo ed antropologo alimentare Sergio G. Grasso, il quale in un suo trattato sull'argomento ammise di preferire un viaggio sulle coste pugliesi, per degustare il crudo secondo la tradizione con tutta la prudenza del caso.

Per finire una curiosità sui giapponesi grandi consumatori di tonno. Il Sole 24 ORE il 6 gennaio 2012 ha dato notizia di un tonno rosso di kg 269, battuto all'asta a Tokyo alla cifra stratosferica di 2100 euro al kg, ovviamente surgelato per le motivazioni anisakis su esposte.

Angelo Antonio Angiulli



In attesa della riapertura dei Balzi Rossi




Non siamo in Maremma. I cavalli che passeggiano tranquillamente sulla spiaggia sassosa lo stanno facendo lungo il litorale di Ventimiglia, con lo sguardo rivolto verso la Costa Azzurra. Lo fanno con indolenza ed eleganza, inconsciamente superiori a ciò che li circonda. Chi li asseconda non incide neppure troppo, limitando i propri gesti al minimo indispensabile per godersi la giornata, senza sudare o far sudare i i cavalli.

E' una tiepida domenica d'inverno, come tante altre e, anche i cavalli, sembrano adeguarsi con facilità al clima. Procedono come tanti da queste parti, ad un passo sufficientemente lento per far trascorrere tutta la breve giornata senza danni.


Sembra la stessa inquadratura, mentre invece ci siamo spostati di qualche chilometro più in là, verso la Francia, alla frontiera di Ponte San Ludovico, dove i cavalli di razza non sono mai mancati, ne' a questa frontiera ne' a quella di sopra, quella di Ponte San Luigi, quella presidiata da Mauro Colagreco.


Quaggiù c'è il mitico Balzi Rossi, di nuovo chiuso. Mi avvicino con immutata emozione all'edificio avvinghiato alle rocce. Più di trent'anni di storia gloriosa precedono l'ingresso dei Balzi Rossi, storia sempre legata alla stessa famiglia, con al comando la dama di ferro bistellata, l'inossidabile e inattaccabile Giuseppina Beglia. Neppure la salsedine ce la può fare contro Giuseppina, neppure tutti gli alti e bassi che possono segnare nel bene e nel male una vita dedicata alla cucina, una cucina sana e buona, una cucina da mangiare. Quella che sa fare lei, quella che può insegnare, quella prima esaltata e poi rinnegata dalla critica. La medesima.

Si può riferire l'età di una Signora? Quando diventa titolo di onore credo di si. Mi carico della responsabilità, ne vale la pena, perché è da non crederci quanta energia trascinante è in grado di trasmettere Pina Beglia a 78 anni, tirandosi dietro un bel pezzo di famiglia entusiasta.

Sono seduto sul muretto che continua a dividere inesorabilmente non solo gastronomicamente Italia e Francia. Ci sono alcuni militari a difendere non sanno forse neppure loro che cosa.

Non abbiamo un appuntamento, però arriva lo stesso. Arriva, scende dall'auto, è distante. Mi pare -ma non ne sono sicuro- dicevo, mi pare si stia accendendo una sigaretta mentre si avvicina -come ha sempre fatto per buona parte della sua vita- alla sua creatura. Intuisco che qualche cosa è di nuovo cambiato qui, dopo la cessione dell'immobile - e di conseguenza del ristorante- ad investitori russi.

I Balzi, dopo la cessione, rimase chiuso a lungo l'anno scorso, riaprendo solo tra la fine di primavera e l'inizio dell'estate, sotto la guida del bravo chef campano Raffaele D'Addio, che aveva già nel cognome una premonizione.

I Balzi Russi, come vennero subito ribattezzati, si espressero da subito con accento campano, anche grazie all'ottimo maitre Pasquale Marzano, ma evidentemente la rivoluzione russa in salsa campana non è stata ben intesa dalla clientela storica di questa istituzione nazionale.

L'arredamento era già stato ripulito prima, quando la figlia di Pina, Rita (che è anche artista) e la nipote Valentina, diedero una svecchiata all'ambiente, però mantenendo lo stile di cucina vincente, estremamente diretto e materico, e senza passaggi in sotto vuoto o a bassa temperatura. Qui non c'è mai stata una bassa temperatura, neanche in pieno inverno. E neppure il freddo arredamento laccato bianco e ghiacciato da vetro e poco altro ha sfondato, facendo rimpiangere la cascata di Murano che dava un tocco vintage a tutto l'ambiente, quello originale, quello che conobbi nel 1988.


C'è un avviso esposto sulla porta d'ingresso. Dice che i Balzi Russi torneranno Rossi (almeno nella gestione, che tornerà Beglia) dal prossimo mese di Marzo, dopo importanti lavori di ristrutturazione. Lavori molto importanti stavolta, come mi conferma Franco, compagno di vita di Rita, motivatissimo nel riportare in alto la fama del locale. Al rango che gli appartiene, ma non cambiando idea sui temi di cucina.

Novità importanti, a partire dal parcheggio (oggi un cantiere aperto), alla trasformazione della sala (accentuandone la "vista-mare"), della terrazza (da rendere un tantino più spaziosa) e volendo anche ricavare una sala-cantina a livello del mare, dove fa un certo effetto immaginare di accomodarsi per un aperitivo condito dal frangersi delle onde; un po' come stare dentro un faro mentre l'oceano ti prende a schiaffi.

Basteranno due mesi? Ce ne vorranno tre? Beh, non importa, tanta è la voglia di fare di tutti, investitori russi compresi, che a Mosca hanno già un Balzi Rossi che funziona al meglio, e quindi perché non dovrebbe tornare a funzionare anche qui, a casa madre? L'equipe? Beh, troppe anticipazioni potrebbero non essere gradite, ma le intenzioni, anche in quella direzione, sono precise.

Bene, e anche oggi è arrivata l'ora di pranzo. Qui per ora non si può pranzare, perché anche la cucina è da rifare, e allora, vista l'ora e il giorno (domenica), un'altra visita al Giardino del Gusto di Ventimiglia si impone, dove un cavallo di razza sta cambiando passo, in attesa che la rinascita dell'alta gastronomia di questo spicchio di costa trovi più interpreti a sostenerla.


Era meno di due anni fa ... con Lorenza Vitali
Pina, Valentina e Rita Beglia rientreranno ai Balzi Rossi
A bientot ...

Torniamo in centro a Ventimiglia

La carta di fine 2015 e di inizio 2016 del Giardino del Gusto



Straordinario rapporto qualità prezzo per questo metodo classico sloveno a base di ribolla gialla millesimato 2010

Salmone gravad lax maison farcito di caprino e caviale servito sui classici blinis



Più contemporaneo lo sgombro appena marinato e rilevato finemente da cipollotto, mela verde, limone salato e aneto. 

Tecnico e gustoso uovo a 65° immerso in crema di topinambour e acciughe, fondo bruno di totanetti e crumble di grissini. Cede alla prova del cucchiaio e supera la prova del chaud froid, morbido e croccante.


Lussuosi spaghetti al caviale, ostriche e riduzione di Martini dry

Forse un po' troppo ancien régime la Charlotte Creole, farcita di gelato fiordilatte e ricoperta da cioccolato caldo ... e frutti esotici di xxmiglia. Anche qui funziona il chaud froid

Perfetto soufflè al Grand Marnier con gelato all'olio e spiedino di frutti rossi

... perfetto, insisto


Mentre per chi volesse conoscere in dettaglio la storia di quel magico luogo che si chiama Balzi Rossi, il sito consigliato è questo : http://www.balzi-rossi.com/

gdf

Siculamente


Nella forbice (ma in punta di forchetta è meglio) tra quaranta e cinquanta euro, stazionano, nell’attesa di un si da tutto il tavolo, un paio di menù degustazione di pesce dessert incluso, oppure sarà possibile scegliere da una carta snella a prevalenza ittica, una quindicina di piatti, undici dei quali di pesce, equamente distribuiti tra antipasti, primi e secondi, la carta dei vini e quella dei dolci con diverse proposte d’abbinamento al calice, completano l’offerta del Ritrovo di Carate Brianza. Invece degli antipasti  veri e propri, chi predilige fisico magro e portafoglio grasso potrà ordinare un paio di piccoli assaggi ad un piccolo prezzo.
L'offerta di un calice di bollicine porta a continuare in tal senso, dalla carta e dalla Franciacorta sceglierò un brut di Biondelli da Agricoltura biologica, 100% di uve Chardonnay, di grande freschezza, se non ho percepito il profumo della gelatina di albicocche me ne farò una ragione, posso però assicurare circa l'ottima beva.



L’inizio dell’intrattenimento prevede pane, grissini, crostini, focaccia e pizza al pomodoro, di ottima fattura, l'assaggio di due oli siciliani (uno biologico e non filtrato, l'altro DOP ed estratto freddo) e l’ottimo benvenuto della batteria di cucina (crema di patate, tartare di salmone affumicato, uova di scampi e mandorle tostate) che Roberto Pirelli conduce con sicurezza, in sala, al controcanto, la garbata e preparata Paola Tosi compagna di Roberto anche nella vita.



Polpo alla pizzaiola, in carta c’erano anche le polpette d’agnello ma mi tentavano di più i tentacoli, così ho detto a Paola che avrei optato per il pesce, per l’agnello manca comunque poco, quest’anno la Pasqua arriva presto…



Insalatina di arance, bottarga di tonno e gambero "Rosso di Mazara", quando hai la materia prima perché andare a ripetizione dagli illusionisti



Cannolo al nero di seppia (in realtà una leggerissima crepe) gamberi rossi, pesce spada, crema di latte e bisque di crostacei, accattivante, sapido, inaspettatamente leggero, un unico appunto, l’avrei visto meglio in versione rombo (non il pesce proprio dal punto di vista geometrico)





Spaghetti alle sarde, oggi, in versione tradizionale, meno fresca di quella in verde (che tornerà) ma ugualmente gustosa



Ricciola, lenticchie di Ustica e salsa all'aglio dolce di Nubia, la bilancia pende a favore del cliente, una porzione Cremona Provincia e Regione.



Merluzzo fresco panato alla "palermitana" servito con un’insalata di agrumi, finocchi, capperi di Salina e cipolla in agrodolce, chi non l’ha mai assaggiato, così o nella versione spada, perde qualcosa di apparentemente semplice che risulta inspiegabilmente inarrivabile, il piatto.



Una coppetta di frutti rossi nature, l’imperdibile cannolo siciliano con un calice di moscato rosa di Elena Walch del 2006 che non dimostra i suoi anni, poi, in una bella tazzina, un buon caffè ben accompagnato, nel naso gli inconsueti profumi dello zucchero di palma cambogiano, negli occhi, tornando a casa, avrò “siculamente” un luccichio di approvazione, dopo i titoli di coda riavvolgo il nastro, ritrovo il Ritrovo e sorrido.



Brianzoli, milanesi e lombardi, un po’ depressi e un po’ bauscia, le menti annebbiate che non aiutano, come Bandini aspettano la primavera per uscire dal guscio e dalla regione, mentre il Pirellone si allontana si avvicina la stagione delle cene all’aperto, della riapertura delle case chiuse (mogli permettendo) ma soprattutto di quelle prese in affitto o acquistate da liguri col senso degli affari e con quello della frase  “Belin, si vede che venite dal Turchino”, che arriva contemporaneamente alla focaccia unta d’olio buono (per il burro c’è tempo e ci sono altre regioni) che riflette i primi raggi e fa riflettere i lombardi sul significato di una vita all’ombra nemmeno vivessero perennemente in un carrugio.
Il Ritrovo che non ha tavoli all’aperto e non ha il mare se non nei piatti, da Maggio a Settembre apre la succursale siciliana nel centro storico di Noto all’ombra, si fa per dire, della Cattedrale.
Roberto&Paola hanno voglia di lavorare e per farlo hanno bisogno, nei mesi estivi, di una realtà diversa da quella di Carate, più adatta a cene a lume di candela mentre la collezione autunno-inverno veste la brianza di umidità permanente e avvilente.
Così è nato e continuerà a crescere il Ristorante ViDi (dalle iniziali dei figli Diego e Vittoria) che pur impegnando a fondo  l’affiatata coppia di ristoratori, sembra aver dato loro maggiore energia, spingendoli a far meglio.



“Venghino signori venghino” c’è tempo fino ad aprile per gustare una cucina di pesce d’impronta siciliana di alto livello senza dover prendere un volo low cost per Catania, per poterla ritrovare nella sabbia,  altrimenti per mangiare del buon pesce in brianza dovrete aspettare la fine di Ottobre, ve lo do per certo, “siculamente”.







M 50&50

Pol Roger Champagne Brut Vintage 2000


Il nome della Maison, rimanda, di botto, per gli appassionati, al Sir Winston, dimenticando, spesso, e forse un po’ colpevolmente, che esistono anche i “semplici” millesimati, dal prezzo decisamente più praticabile e già di alta qualità, troppe volte sottovalutati, se non snobbati, dai fighetti della bollicina.

Leggi il millesimo e pensi all’annata calda e a tante altre conneries. Niente di tutto ciò. Questo flacone è l’ennesima conferma – repetita iuvant - di quello che si (sotto)scrive abitualmente, ossia grandi flaconi, non necessariamente grandi millesimi.

Il nostro è 60 Pinot Noir e 40 Chardonnay, provenienti da vigneti Gc e Pc della Côte des Blancs e della Montagna di Reims; vinificazioni separate, prima fermentazione in acciaio, malò svolta, remuage à la main, nove anni - n o v e - sui lieviti.
La mia sconta un dégorgement di oltre 5 anni.

Il bicchiere, di sottilissimo perlage e di freschezza agghiacciante, mi porta dritto filato dal pasticcere, mentre si prepara colazione con nocciole, burro spalmato sul pane grigliato, brioche e crema pasticceria a canna.
Si tratta bene, monsieur lepâtissier,e non si cura delle calorie.
Giusto à côté, c’è il negozio della frutta appena candita - arancia e albicocca – con decorazioni di fiori bianchi e di rosa, miele e lieve speziatura. La gessosità, inizialmente schiva, regalerà emozioni dal secondo calice.

Una bocca all’attacco, di acidità svettante, ancora incredibilmente vinosa e dalla bollicina finissima, riprende specularmente e bellamente la tessitura olfattiva. Il sorso si sviluppa cremoso e complesso, con volume in crescendo, mantenendo barra dritta su spiccate note grigliate e burrose, frutta gialla confit (anche il dattero) e grassa gessosità.

Bevuta tesa, sontuosa e di rara eleganza, da un flacone che sembra sboccato ieri e già di espressione superlativa. Termina (ahimè) lungo e di persistenza esagerata, su deliziosi tocchi di spezie e gesso, colpendo al cuore, anche a calice vuoto, con geranio, violetta e tabacco.


Anolini in brodo e i suoni deep di 2 fratelli spagnoli, Luis e Javier Garayalde, aka Kyodai.

Oggi cucino io : il salmone marinato a secco


gdf marinato


Sotto le feste di fine anno ne ho -ahimè- messi sotto ai denti più degli orsi dell'Alaska. Pare essere irrinunciabile il salmone, anche ora che non è più un prodotto esclusivo, o forse proprio per questo motivo, perché democratizzato e  banalizzato in qualunque maniera possibile. Come fare sesso con l'aspirapolvere. Provato?

E' quasi tutto d'allevamento, più o meno buono, più o meno grasso, più o meno puzzolente alla cottura. Allora, tanto vale, se proprio vogliamo mangiare una cosa buona, mariniamolo a secco. Mariniamo? ... è da tempo che non lo facciamo. Se no c'è il Balik, e basta.

Costa una sciocchezza il salmone fresco, e il pescivendolo sarà in grado di venderlo già sfilettato e senza una sola spina.

Siccome, a cuocerlo ributterà fuori comunque sentori non proprio eleganti;  grassi alterati e dalla difficoltosissima digeribilità, allora tanto vale fare i fighi e marinarlo, anche senza affumicarlo, solo marinarlo, a freddo e a secco.

Un filetto centrale di salmone (con la pelle) ho deciso di metterlo sotto una marinatura mediterranea, e poi dargli un tocco orientale al piatto.  Mezzo chilo di filetto di salmone diliscato e privato di ogni spina, coperto da una miscela di mezzo chilo di sale rettificato (70% sale marino grezzo e 30% zucchero, anche di canna se volete dargli una nota esotica in più), miscela, a sua volta, arricchita da buccia di limone, timo e semi di finocchietto.

Si chiude il tutto in pellicola film (o in sottovuoto) e si lascia in frigorifero per 24/36 ore, a seconda dello spessore del filetto di salmone. Può sopportare il taglio Balik, che non è poco, e fondersi in bocca soavemente. Wasabi, zenzero, semi di papavero, tanto per ... ma è il salmone che vi racconterà cose diverse da quelle che escono dalle buste di plastica, baffe intere o pre affettate. Insieme ci starà bene un bicchierino di Hendricks, o un Monkey 47. Nel secondo caso, un goccino nella marinatura gdf non guasterà.

N.B. il colore del pesce in immagine è naturale. Si accentua e si concentra con il protrarsi della marinatura. Arriva anche a toni mattonati scuri insistendo, ma perché farlo?

gdf

La gastronomia da …... fino ad oggi.



AAA

Vale la pena richiamare l'origine ed il significato della parola gastronomia, che ci viene dall'unione di due parole greche ” gastròs “ che si traduce alla lettera, dello stomaco, e “ nomìa” che come secondo elemento in molte parole, ne completa il significato come ad esempio agronomia, autonomia, economia, che deriva dalla coniugazione del verbo “ nemo “ , regolare, amministrare. Nel nostro caso il senso si traduce nel complesso delle regole e delle usanze relative alla preparazione dei cibi o arte della cucina, e come concetto accessorio, assortimento di specialità culinarie. Volendo essere ortodossi la gastronomia nasce con l'esigenza dell'uomo di cibarsi per sopravvivere. L'evoluzione nei secoli è stata lenta ma inesorabile, ed ha avuto una svolta con la scoperta dell'uso del fuoco per cucinare tutto ciò che antecedentemente si consumava crudo. Col tempo l'uomo ha sviluppato un complesso di conoscenze e di tecniche sulle tematiche del cibo, che vista la storia nell'arco dei millenni, pur avendo raggiunto apici impensabili ancora qualche decennio addietro, non credo abbia esaurito sia la spinta dottrinale che il relativo complesso tecnologico a corredo. Se guardiamo l'insieme delle tecnologie a disposizione attualmente ed impensabili alla metà del secolo scorso, se ancora riflettiamo sui fermenti attuali dell'universo eno – gastronomico, non possiamo esimerci dal pensare che la gastronomia ha ancora margini di evoluzione. Basti pensare al sistema produttivo ed al consumo di cibo e vino al tempo dei romani. In poco più di duemila anni l'evoluzione delle tecniche è stata rivoluzionaria, ed ovviamente anche il gusto ha adeguato le sue funzioni mentali e corporali nel consumo della conseguente gastronomia.



Bisogna anche tenere conto che sovente il genere umano ama rifare il verso al suo passato per ritrovare antichi sapori da reinterpretare e mixare col bagaglio delle conoscenze acquisite. E' attuale l'abbattimento delle barriere tra il dolce ed il salato, mentre circa cinque secoli fa ne veniva codificata la separazione assoluta. La cucina attuale non è solo un complesso di conoscenze che portano alla trasformazione chimico-fisica del cibo, ma è un nuovo linguaggio che come la poesia, la pittura, la scultura, ed ogni altra espressione artistica, esprime una sua filosofia sui concetti di armonia, creatività, buongusto, bellezza, etcc..., in altre parole cultura dell'edonismo, che si riallaccia ai concetti filosofici dei primi pensatori greci della corrente epicurea, massima teoria del soddisfacimento dei bisogni e del piacere dell'uomo.



Innovazione della tradizione è un concetto che incrocia il cammino della gastronomia moderna dagli anni 70/80 per merito della scuola francese, che dopo essersi scossa da un torpore ottocentesco, ha sentito l'esigenza di un alleggerimento concettuale e sostanziale. Nasce di conseguenza la “nouvelle cuisine” che marcherà in maniera significativa quasi un ventennio di storia culinaria, e che trova in Paul Boucuse il suo mentore per eccellenza. Caposcuola in Italia è Gualtiero Marchesi, che” fattosi le ossa” a Lione dai fratelli Troisgros, ha importato in Italia i nuovi teoremi culinari, creando tuttavia nuovi discepoli che abbracciavano tout-court la nuova filosofia, bypassando i concetti basilari della cucina tradizionale. Si sono avuti in tal modo cuochi imbevuti della nuova novella ma incapaci di cuocere piatti tradizionali come l'arrosto ed il brasato. Tuttavia anche in Italia la nouvelle couisine ha prodotto un mutamento di stile sia nella cottura che nella presentazione dei piatti, con punte parossistiche che hanno portato a giudizi molto ironici sulla quantità microscopìca delle portate, inversamente proporzionata alla grandezza dei piatti nei quali venivano servite. Come ogni corrente di pensiero la nuova cucina ha avuto i suoi mistificatori, che ignari dei veri principi sulle cotture leggere e veloci tipiche del nuovo stile culinario, si sono dedicati più agli aspetti coreografici che alla sostanza intrinseca delle preparazioni. Ovviamente malgrado queste storture crescevano anche cuochi di indubbia bravura che traevano ispirazione e metodo per mettere a punto un proprio percorso professionale di alto livello, che avrebbero generato a loro volta una folta schiera di seguaci virtuosi. Crescevano nel contempo due settori intimamente collegati fra loro, una nuova generazione di critici enogastronomici, ed una editoria ad essi collegata, originaria di un'abnorme proliferazione di guide di ristoranti con voti e giudizi molto personali e sovente in netta contraddizione fra loro, a dimostrazione che il gusto è essenzialmente un fattore culturale oltre che di papille gustative.



Mentre scemava l'appeal della nouvelle couisine e tutti predicavano o invocavano il ritorno alla tradizione, ecco avanzarsi negli anni novanta la figura di Ferran Adrià, cuoco spagnolo portatore di nuove teorie rivoluzionarie sulla cucina nel solco della “molecolare”, e famoso almeno inizialmente non tanto per la sua “destrutturazione”, quanto per l'uso del sifone e delle spume da esso prodotto. Non era facile resistere al nuovo credo, sposato di buon grado dalla ristorazione internazionale, e riassunto più tardi nel 2006 nel “Manifesto de El Bullì”, sintesi della filosofia culinaria di Adrià. L'arte o più prolissamente il mestiere di cucinare diventa un linguaggio col quale esprimere armonia creatività e cultura. Per Adrià è anche magia, bellezza, provocazione, poesia. Il suo credo culinario è molto complesso e difficile da riprodurre con fedeltà, ciononostante ha trovato molti proseliti nel bene e talvolta nel male, a riprova che cucinare secondo le proprie possibilità culturali e professionali, vale più delle pallide imitazioni. Ce ne fosse stato bisogno, Adrià è un convinto assertore dell'abbattimento della barriera fra dolce e salato, concetto sposato da molti proseliti fino al parossismo, tale da includere in alcune preparazioni anche il piccante e l'acido in opposizione fra loro e nella convinzione di raggiungere il perfetto equilibrio dei sapori. Se non si ha nel proprio bagaglio culturale la perfetta padronanza e conoscenza delle materie prime, non sempre questa alchimia viene raggiunta per dare piacevolezza alle papille gustative.


In realtà il vero teorico della cucina molecolare, come metodo scientifico rapportato all'arte culinaria, è stato il chimico francese Hervé This, che ha pubblicato numerosi libri sull'argomento. Il primo raduno sulla gastronomia molecolare si tenne in Sicilia ad Erice nel 1992, nel quale fu protagonista il premio Nobel per la fisica Pierre Gilles de Gennes, con lo scopo di coinvolgere cuochi e pasticceri nei fenomeni chimici e fisici che avvengono negli alimenti, dalla cottura al raffreddamento. Tale sistema non da origine a ricette codificate, ma a conoscenze scientifiche sulla trasformazione degli alimenti a caldo e a freddo. Hervé This, qualche volta definito erroneamente chef, in realtà è un cultore della buona cucina riveduta e corretta in alcuni passaggi chiave alla luce delle sue conoscenze chimiche e fisiche.



E poi vennero i vari Masterchef, a parere personale, protagonisti della spettacolarizzazione più accesa della cucina televisiva foriera di illusioni, di mirabolanti promozioni a chef dopo qualche mesetto di contesa “inter pares”, con candidati veloci a praticare presunzione e supponenza, a dimostrazione che in Italia la virtù più diffusa è l'illusione. Le eliminatorie per formare il numero dei concorrenti dimostrano già le scarse capacità dei più, incapaci addirittura dei tagli basilari delle verdure, tipo patata o cipolla. Il credo maggiormente praticato è l'uso sproporzionato di elementi concorrenti ad una ricetta, nella quale sovente una miriade di spezie con corredo di lime, agrumi in genere e lo zenzero onnipresente, sembra essere la panacea assoluta della bontà culinaria. La fantasia, malgrado le scarse cognizioni di base degli aspiranti, è l'esortazione più abusata dei giudici che, credo, hanno la sicumera di trasformare i concorrenti da patate in pregiati tartufi, tanto per usare una simbologia pertinente. Trovo appropriata come chiusa a questo ultimo fenomeno pseudo culturale un noto sapiente proverbio napoletano: “Ha da passa''a nuttata” . 
(da Eco di Biella)

By Angiulli Angelo Antonio

Dietro le quinte | Come lavora lo chef ?



gdf

E' tra i parametri di valutazione (tra i più importanti) di un concorso -il Bocuse d'Or- che vale ll podio delle Olimpiadi della Cucina. Un aspetto -che vale per tutte le selezioni nazionali e poi per le finali- che pochi sono in grado di valutare, ma soprattutto di poter vedere. E' quello che accade in cucina prima e durante un servizio. La definizione corrisponde a Organizzazione e lavoro in cucina, e precede temporalmente le valutazioni relative alla presentazione e alla degustazione del piatto.

Il concorso inizierà e finirà in due giorni, mentre il ristorante di successo andrà avanti tutti i giorni dell'anno, con scarso riposo delle gambe e delle braccia degli interpreti della recitazione. La testa dello chef? Quella continuerà a lavorare, giorno e notte, alla ricerca dell'incompiuto, sia rappresentato da quel che ci sarà da fare da qui alla riapertura, o da quella là, quella stronza imprevedibile dai capelli rossi, mai conquistata.

Far linea, metter via, abbattitore, sottovuoto ... e poi partire, tirare le salse (eufemismo), per quando arriveranno le prime comande, quando la fiamma pilota lascerà spazio al grande fuoco che arde nel cuore della cucina, o alla gelida ma folgorante induzione.

Pulizia, maniera, stile, velocità, taglio, spreco, finiture al pass, eccessi di grasso in tegame, gestione dei rifiuti ... vedeste quanto cibo buono viene buttato ...



Quest'anno preferisco Hell's Kitchen a Master Chef. E non è la storia della volpe e l'uva, perché il risultato del questionario verbale era stato da 20 ventesimi, e il piatto era abbastanza originale. Quest'anno probabilmente cercavano più personaggi utili a far emergere i giudici invece del contrario. Legittimo, ma meno interessante sul lato tecnico.

Più vero (imho) Hell's Kitchen, nei limiti della quota percentuale di fiction. Quello che succede in cucina lo possono vedere in pochi, mentre così, senza eccessi e con moderato cinismo, qualche cosa in più è a disposizione di chi al ristorante vede solo il piatto finito, quando giunge al proprio tavolo

Prenotare una "table du chef" ? Si, si può fare ma in realtà anche questa opzione nasconderà qualche magagna al cliente pagante. Meglio andare là dietro con loro, a combattere in 5 contro 50 per capire che anche uno sproporzionato Martini Montgomery buttato giù in un colpo secco non potrebbe bastare per uscirne con la testa da "la plonge".

E se quelli che continuano a dare i numeri avessero accesso al back stage? Al cliente normale non interessa, basta che stia bene, che mangi bene, beva in maniera congrua e paghi un conto accettabile. Diverso è il ruolo di chi si è attaccato al collo il pass di critico o di food blogger con diritto di voto, proprio quelli che sono stati "valutati" recentemente da un centinaio di giovani chef, su un noto blog gastronomico, dove la classifica romano centrica ha lasciato fuori due tra i dodici nominati, due che in maniera diversa fanno veramente critica più che divulgazione, e questo, essendo la classifica frutto della votazione di cuochi fa capire abbastanza chiaramente che cosa gradiscono - i cuochi - da parte dei giornalisti. Ben venga la comunicazione e la divulgazione delle loro eroiche gesta, ma occhio a criticare, solo per aver mangiato qualche piatto.

Vedessero "quei critici" come lavorano in cucina alcuni dei loro idoli ... ah, quanti ventesimi andrebbero a infrangersi contro gli scogli.




gdf : 18.01.2016 - H.07.30 - La Corsica con nave di passaggio sotto il faro

"Ma va a Bagg a sonà l'orghen..."


Marco 50&50



Ieri per la Giornata mondiale della cucina italiana 2016, la cotoletta alla milanese era la protagonista assoluta, mille chef, in tutto il mondo si sono cimentati con questa specialità meneghina, e tu…

Purtroppo e per fortuna avevo appuntamento con una reliquia e sono andato in un paese della Brianza per la festa di S.Antonio Abate, patrono, tra l’altro, dei macellai, gli dico.

Tieni presente l’Australia come alternativa, mi informa, lì i macellai hanno vita facile.
Ma va a Bagg a sonà l’orghen pitturaa in sul mur, gli rispondo.

Nel 1865 si decise di ampliare la chiesetta di Baggio, di dimensioni troppo ridotte per accogliere la popolazione in aumento, furono raccolti i soldi necessari all’ampliamento e all’acquisto di un organo che avrebbe dovuto essere vanto e ricompensa per i generosi parrocchiani, purtroppo però, verso la fine dei lavori, l’inaugurazione ormai imminente, ci si accorse che i soldi erano già stati tutti spesi e l’organo non era ancora stato acquistato.

Per non deludere i donatori si ricorse ad un trucco passato alla storia, venne chiamato un pittore e gli si fece dipingere una serie di canne d’organo sulla parete di fondo, da qui il detto “ma vai a Baggio a suonare l’organo” che viene rivolto a qualcuno che “la spara grossa”, invitarlo quindi a fare qualcosa d’impossibile, suonare un organo dipinto sul muro.

Invece non stava scherzando segnalandomi che nel menù della vecchia fattoria, targato Barossa Valley, si dividevano la scena il pollo, il maiale, l’agnello, il manzo e il cervo.

Per scusarmi gli faccio una segnalazione, di quelle che non ti aspetti e che poi si rivelano carte vincenti, per la verità la mia esperienza non è stata serale con menù alla carta, ma un viaggio con papà a Baggio, nella periferia milanese, vicino alla chiesa parrocchiale che esisteva già nel 1070, un pranzo “al volo” in un’osteria che mi avevano segnalato e che ha lasciato il segno, pur essendo quello meno definito di un semplice pranzo di lavoro a prezzo e menù fisso, dove come dice Enzo Iacchetti, non ti prendono per il collo e si mangia Alla Grande, confermo, il ricordo delle “adeguate” temperature di servizio e del “mio” pollo alla birra con patate arrosto NON riscaldate, resiste da un paio di mesi anche senza il supporto fotografico, aspettavo solo l’occasione per segnalarlo.



La cotoletta dell’Osteria alla Grande, qui in una foto presa dal web, è sempre disponibile a cena e recentemente è stata inserita tra quelle degne di nota in una classifica dove figurano locali come La Trattoria del Nuovo Macello, L’Osteria del Brunello e il Liberty.



Andrò una sera a ritrovare l’oste, davvero molto particolare, quello nella foto in fondo al post con la sigaretta di “fine servizio”, nel fine settimana una chitarra accompagna le canzoni milanesi che allietano, assieme ai piatti della tradizione, la cena dei numerosi avventori che, alla luce dei risultati di “avvisami se c’è trippa” collocano l’Osteria alla Grande, con le loro recensioni pilotate e non, all’ottantacinquesimo posto su 6382, stic…



M 50&50

La lepre travolta dall'Intercity - Prima parte


del Guardiano del Faro



Premessa : anche se gli affari vi vanno male, come a me per citare un esempio, rispettate il vostro corpo. Non buttatevi sotto l'Intercity, intanto perchè l'attesa potrebbe essere estenuante, e poi perché chi dei vostri affini sopravviverà alla sciagura, dovrà sopportare conseguenze peggiori, per esempio vedersi costretto a pagare a Thello e Qhuello i danni per il disservizio.

Thello avevo già detto, e poi, dai, non è un bel modo per andarsene, sia pure in ritardo, neppure per la lepre, quella che confidava sul treno in orario, e non su un cuoco asincrono.

Non c'è pace tra gli ulivi. L'ennesima conduttrice di programma food tv porn in fascia non protetta esclama che non aveva mai usato l'extra vergine prima di sposarsi. Roba che farebbe sorridere quell'altra rimasta vergine di palato dopo aver fatto tre figli.

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Il giorno in cui ci siamo conosciuti con Davide Cannavino ...  ma aveva i capelli ? e rossi?
Noi si va su mondi paralleli, verso il barbaro rito pagano che si ripeterà con ogni probabilità anche quest'anno, con un po' di ritardo sul calendario consueto, ma c'è da dire che anche il freddo ci ha messo del suo, giungendo dalle parti del Turchino con più ritardo dell'Intercity, che proprio a causa del rallentamento della sua marcia, avrebbe -si dice- travolto la lepre di Voltri 2016; quella poi finita nelle mani di Davide Cannavino.

La linea passa qui dietro. Finire "in linea", è un attimo.

La sua Voglia Matta? Esibirsi nel classico che sdogani un cuoco dalla normalità, la sua, all'olimpo dell'alta cucina, compito che lo ha tenuto impegnato per un'intera settimana: con la testa a pensare, il coltellaccio a tranciare, ma soprattutto con le dita a pigiare sulla tastiera del p.c, scatenando un macello di i-like e commenti sul tema.

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Una rara immagine (protetta) del coniglio sgozzato di Davide Cannavino - da Armadillo bar extreme -
Eccolo che ci riprova, non pago del "coniglio sgozzato", e neppure soddisfatto per aver ridotto "in cassetta gourmand" le frattaglie di ogni pesce azzurro ... o come quando se la prende con frattaglie di animali di media taglia travolti dai bus al Capolinea di Genova Voltri, dove finisce la dura e amara città e comincia la tenera, dolce e sonnolenta Riviera.

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Testa di pesci in cassetta a La Voglia Matta
La lepre 0016 farà seguito alle edizioni precedenti dell'evento, che con più o meno precisa continuità, sta per raggiungere il decennale. Il nucleo forte del gruppo dei partecipanti è rimasto più o meno il medesimo, con inserimenti e ricambi naturali. Qui sotto le due ultime, che divorammo insieme con Franck The Big One nel novembre 2011 a Cucuron, dans le trou du cul de Provence.

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La Senateur Couteaux a La Petit Maison

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La Royale di lepre di Eric Sapet, a Cucuron


All'origine della specie ci fu la 007 di un giovanissimo Enrico Bartolini, che tanto clamore creò nel pubblico accorso appositamente a suo tempo sulle colline dell'Oltrepo', a Montescano. Toccò anche a Fabio Barbaglini provocare il classico, e diverse volte allo specialista vercellese Gianni Sarzano, instancabile maratoneta lungo i sentieri che lo porteranno un giorno alla lepre royale perfetta. Non ho dubbi.


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Un'ottima -tra le tante-  Royale di lepre al Bivio di Quinto Vercellese, da Gianni Sarzano
Quindi quasi sempre in terra di Lombardia e di Piemonte, ed una perfino - e clamorosa- consumata all'ombra della cattedrale di Vezaley, perché, confuso tra i confusi, io stesso confusi il giorno di prenotazione da Marc Meneau e quindi ci infilammo last minute -per ripiego si dice in italiano- nella prima osteria del paese con un tavolo libero, che nel mese di novembre 2010, ci presentò una sontuosa Royale sur l'assiette.

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C'era anche Teddy al tavolo di Gianni Sarzano con Francone 
E' targata 2007 anche quella clamorosa da Ducasse, ma quella non vale perché quel giorno ero solo contro tutti, contro la brigata di sala e di cucina, perché era la festa del Paese. Contro il maitre del Louis Xv, che alla mia richiesta di "assaggiare" le tre preparazioni di lepre in carta, ma in porzioni ridotte, mi rispose che non era possibile, perché il risultato gustativo non sarebbe stato lo stesso, e pure il conto pensai io. Un bravo Maitre deve pensare anche a sistemare la giornata grigia se gli arriva un grigio disposto ad andare con il conto il rosso.

L'unica possibilità fu di ordinare tutti e tre i piatti alla carta: la sella arrosto, la coscia in civet, ed infine il medaglione di lepre alla royale migliore del mondo. Ci vollero due bottiglie di Pommard Vignots 1999 del Domaine Leroy per buttar giù tutte quelle tossine animali, e anche per dimenticare velocemente l'addition au coup de canon.


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La versione The Cook 0013
Poi venne il tempo delle lepri al mare. A Fontanegli, all'Osteria Villa Pietro di Fontanegli, nel fresco delle alture genovesi. A Nervi, at The Cook, nel mese di ottobre 2013 con Ivano Ricchebono alle prese con due o tre quadrupedi messigli a disposizione la sera prima, con tutti i limiti del caso. Infine quella ottima e originale di Matteo Badaracco, al Giardino degli Indoratori di Genova, del novembre 2014.


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Ce la ricordiamo bene quella di Matteo Badaracco
Matteo Badaracco, new entry nel nuovo e bellissimo ristorante genovese Capo Santa Chiara, al fianco di Luca Collami, ma per un giorno, mi auguro, commensale, insieme a sommelier mono o bistellati, professionisti della forchetta, virtuosi del calice, senatori del "cuillere à sauce" e crapuloni assortiti.

A bientot les amis, permettendomi un ricordo per Francone, lui che manca sempre, come una Royale, fosse pure fuori stagione.

gdf





In questa mite primavera novembrina una voce impetuosa si sparge nelle valli e nelle 
pianure. Allarme!! Il nostro amato Re Baldo Vino si sta riempiendo di piaghe rosse "Par Bleu, cosa succederà mai?


Dopo vari consulti ecco la diagnosi: Crisi di astinenza da lepre alla Royale!
Pofferbacco qui ci vuole l'A-Team!

Convocateli subito disse il Gran Cià n' Bel Ano.
Puntati i fari con l'immagine del fiasco verso il cielo (Batman ci fa una pippa) e l'allarme era lanciato.

Missione elementare, si tratta solo di fare mille chilometri per sgranocchiare un leprotto sperando che almeno sia buono. Il locale si chiama Petite Maison e si trova a Cuccuron, paesino del Luberon, che giustifica il pensiero" ma come fa la gente ad arrivare qui?"
E' una semplice ed antica piccola casa su vari piani arredata con semplicità ed eleganza.
Si possono scegliere due menù da 40 a 65 euro, uno per gente a dieta e uno per persone serie. Il serio comprendeva una cagatiella di benvenuto, come dicono alla Sorbona: composta di cavolo ripiena di gamberi e salmone con cremine varie, una sogliola cotta in un modo lungo due righe, una triglia cotta, speziata che il Buon Massimo (non il leader Maximo *** n.d.r.) direbbe " faceva il giro del Mediterraneo e ritorno" , e poi finalmente la lepre cotta in due modi, alla royale e una sfilacciata alla... bho, andate a leggervi il menù prima che lo cambino.

Ora io dico!
Con tutto quello che c'è nel Luberon!
Selvaggina, animali da cortile!

Dovevano proprio proprio rompersi il pisello a inserire le triglie
 e le sogliole, le orate in tartare?

Mistero della fede!

Non essendo un recensore professionista oggi sono inca^^ato come una bestia causa tasse e perciò critico tutto.

Riassumendo, il locale è molto carino, caldo e accogliente, la cucina è curata, il servizio senza fronzoli inutili e soprattutto la lepre spaziale e da sola vale il viaggio.
Un piatto forse pesante per i nostri stomachini marittimi ma molto ben eseguita e seguendo le ricette ufficiali, SENZA DESTRUTTURARLA, senza Azoto o cotture a bassa temperatura.

Pure un buon rapporto qualità prezzo per la clientela normale, per chi vuole sbevazzare un po', meglio rafforzare la carta di credito. Un particolare che ho fatto notare ai miei Pards e che vorrei usare come cappello a questa riga di sciocchezzuole è: che se ci avessero bendato e portato in questo posto e dopo aver pranzato ci avessero chiesto : DOVE siete adesso secondo voi?

In Francia, nella Campagna rispondiamo tutti in coro!!!

Sembra elementare ma provate a farlo dopo pranzo dai vostri grandi Geni Culinari: siete a Tokio, a Parigi o a Pettemburgo? Rispondete !

Se ce la fate

AUGH!!! Ho detto!!!

Franco Solari :  Novembre 2011

gdf

Bocuse d'Or Italia 2016 - I protagonisti



"I 12 concorrenti stanno mettendo ormai a punto gli ultimi dettagli. Ricordiamoli, sono: Marco Acquaroli, Lorenzo Alessio, Riccardo Bassetti, Debora Fantini, Francesco Gotti, Andrea Alfieri, Daniele Lippi, Giovanni Lorusso, Michelangelo Mammoliti, Leonardo Marongiu, Stefano Paganini, Giuseppe Raciti, e ricordiamo anche che il vincitore dovrà affrontare altri venti vincitori delle varie selezioni nazionali d’Europa a Budapest il 10 e l’11 maggio 2016 e che solo i migliori saranno ammessi alla finale mondiale di Lione di fine gennaio 2017.

A giudicare le loro due ricette, una di pesce e una di carne, saranno dei giurati d’eccezione:
Matteo Baronetto, Enrico Bartolini, Andrea Berton, Francesco Bracali, Riccardo Camanini, Filippo Chiappini, Giovanni Ciresa, Enrico Derflingher, Nino Di Costanzo, Gennaro Esposito, Anthony Genovese, Oliver Glowig, Antonio Guida, Giuseppe Mancino, Valentino Marcattilii, Riccardo Monco, Alessandro Negrini, Martin Obermarzoner, Davide Oldani, Piergiorgio Parini, Valeria Piccini, Marco Sacco, Claudio Sadler, Emanuele Scarello, Maurizio Serva, Massimo Spigaroli, Luisa Valazza, Gianfranco Vissani, Gian Piero Vivalda.

Ed inoltre: Presidente del Concorso è Giancarlo Perbellini, presidente di Giuria Enrico Crippa, giuria backstage Fabio Tacchella, assistenti giuria Paolo Lopriore e Luciano Tona. Ospite d’onore: Orjan Johannessen ultimo vincitore del Bocuse d’Or.

L’evento avrà luogo nella splendida cornice della città di Alba, presso il Teatro Sociale “G. Busca”, sito in  Piazza Vittorio Veneto 3, 12051 Alba (CN), in collaborazione con la Città di Alba, la Regione Piemonte e l’ Ente Turismo Alba Bra Langhe e Roero, nelle giornate della domenica 31 gennaio 2016 dalle ore 10:00 alle ore 20:00 e del lunedì 1 febbraio 2016 dalle ore 10:00 alle ore 17:00.

Club dei SupporterBragard, Calvisius Caviar, Caraiba Luxury, Ceretto, Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe Dogliani e Consorzio Tutela Roero,  Food Design Advisor & Management, Lavazza, Mepra, Metro Italia Cash and Carry, Olio Roi, Pastificio dei Campi, Pentole Agnelli, San Pellegrino, Tartuflanghe, Valrhona, Villeroy & Boch. L’ingresso in platea è libero."

Il venerdì del Dj | R&L Legras Champagne Saint-Vincent 2000


L’eleganza è una qualità oggettiva e inoppugnabile, che si incontra, d’habitude, nello Chardonnay in purezza, a maggiore ragione se proveniente dal villaggio di Chouilly.
Se poi si tratta della Cuvèe de Prestige di questa maison, quella qualità trova completa e persuasiva espressione.

Saint-Vincent, creata in onore del Santo Patrono dei vignerons, (ogni 22 gennaio, giusto oggi), vide luce la prima volta nel 1964 e, ad oggi, sono state solamente 11 le annate ritenute meritevoli di essere millesimate. Questa è l’ultima in commercio.

Sembrerebbe sboccata ieri, vista l’energica freschezza che comunica, viceversa sconta ben 5 anni. Quella stessa freschezza che favorisce la pulizia di profumi che, via via, emergono e stazionano a lungo nelle narici: crosta di pane e biscotto, scorza di agrumi, nocciola e gelsomino, con una dinamica, quanto solida, struttura salmastro-iodata, la quale richiama, te ne fossi dimenticato, la craie inimitabile della Costa dei Bianchi.

Il primo sorso è filo di rasoio, affilatissimo e tagliente, di bollicina impertinente e per nulla accondiscendente. Giusto il tempo della tara – pochi minuti - e la sfacciata effervescenza si trasforma, rinasce infilando l’abito delle grandi occasioni e si presenta come Signora di gran classe.

Tutto il resto viene per conseguenza. L’acidità si mantiene davvero sferzante ed esplosiva, con pregevoli spunti agrumati e speziati, mentre il sorso si arricchisce, cammin facendo, tanto in larghezza, quanto in profondità. Nell’ultima parte di boccia, il carattere minerale-iodato deflagra, lasciando una bocca saldamente sapida e di rocciosità marina, mista a ostriche. Finale lungo, di persistenza vibrante, tutto scogli marini e nuances di amaretto e tabacco.Calici di precisione e rigore stilistico da grande maison.

Questi 2000, all’uscita, troppo frettolosamente sbertucciati e/o castrati, stanno dimostrando tutta la loro stoffa, regalando concreto appagamento.

Marescialla e investi qualche deca.

Il tavolo dell'amicizia


AAA

Tutto iniziò nel 1978 al secondo anno di gestione dopo il totale rifacimento della trattoria Al Ceppo in quel di Biella. Il nuovo look diede maggiore impulso alla frequenza. 

L'ambiente gradevole dalla vaga atmosfera di baita di montagna, con il caminetto in centro sala predisposto anche per la griglia a vista dei clienti, fu molto gradito, ed il passaparola come unico sistema pubblicitario funzionò magnificamente.

Non ci volle molto tempo ad avere problemi con l'occupazione dei tavoli, conseguente all'accresciuta frequenza. Un mezzogiorno caso volle che due avventori, amici da tempo ed arrivati separatamente in trattoria, si riunirono lasciando libero un tavolo. Fu per me l'illuminazione che avrei potuto provocare ad arte quello che era stato un evento fortuito.

Dovevo semplicemente sfruttare le mie pregresse relazioni e da buon anfitrione promuovere conoscenza e familiarità fra persone che ritenevo compatibili fra loro. Ben presto mi accorsi che non pochi “solitari” accettavano di buon grado la situazione, entrando in reciproca confidenza e simpatia.

Riservai allo scopo un lato della sala in cui erano allineati quattro tavoli in successione, da poter unire all'occorrenza. In breve tempo l'iniziale numero di 3/4 commensali aumentò fino a dodici, la massima occupazione dei quattro tavoli. I più assidui erano tre padroncini/autisti di Galliate, che consegnavano nel Biellese articoli casalinghi di una nota ditta del settore.

Molto estroversi e spiritosi, fui aiutato da loro nel mio progetto, che non tardò a riunire allo stesso tavolo persone dalla cultura molto diversa, ma animati dallo stesso spirito goliardico e dalla stessa allegra compagnia conviviale.

Progressivamente si aggiunsero rappresentanti, operai, un commerciante di cascami, un pellicciaio, un avvocato e per finire un giovane investigatore privato, tutti indifferenti alle rispettive attività professionali.

Fu singolare in diversi giorni quando il tavolo dell'amicizia era al completo, il dover creare una dependance sul lato opposto con soddisfazione degli ultimi arrivati, che facevano comunella coi dirimpettai a dispetto dello spazio di separazione.

Furono alcuni anni di contatti umani molto soddisfacenti che rimpiango ancora. Sovente a fine servizio non esitavo ad offrire e bere in amicizia un bicchierino di rosolio di mia produzione (abitudine che conservo tuttora).

Quando allargai i miei orizzonti cognitivi, riscontrai che un noto ristoratore lombardo stellato aveva avuto la mia stessa idea. Diversi anni dopo a Brissago in compagnia di un paio di amici/clienti mangiai all'Osteria Agorà del grande Conti Rossini (pure lui Angelo n.d.r.), ed anche da lui troneggiava un grande tavolo di comune convivialità. Il che mi confermò che a distanza di chilometri, senza il bisogno di alcun plagio si poteva avere qualche punto di vista simile sia in sala che in cucina. Dio, che nostalgia!

Angelo Antonio Angiulli

Chiosa veloce by gdf, tanto ormai il tripla AAA ci è abituato:  l'immagine di apertura, ci porta sul sublime tavolone conviviale di Franco Colombani, al Sole di Maleo, dove presi confidenza anch'io con il tavolo dell'amicizia. Nuova fiamma ... La foto è tratta da un post di Passione Gourmet. Franco Colombani usava in quel tempo concludere la serata, chiedendo a tutti  i clienti che avessero avuto la pazienza di aspettare la fine del servizio, di alzarsi in piedi in attesa di essere messi in comunione, nel senso che li avrebbe "imboccati" di una ciliegia marinata in un antico aceto balsamico messo via nella sua acetaia. Il video qui di seguito non è messo li a caso, perché in una di quelle magiche sere, al tavolo conviviale del Sole di Maleo, c'era un riccioluto rosso, che ama molto l'Italia, il suo vino ed il suo cibo. Si chiama Mick Ucknell. Sono bei modi per conoscere la gente.



Prima Visione


Marco 50&50

Un indovino mi disse…e predisse di stare attento, perché nell’anno ics (determinare il tempo con esattezza non credo conti) avrei rischiato di morire, in quell’anno, mi esortò, non volare mai.

Terzani, giornalista e scrittore, forte di una collaborazione pluridecennale dall’Asia con Der Spiegel, decise di non opporsi alla profezia ma di assecondarla  e col “permesso” del settimanale tedesco provò a vivere in modo inconsueto per un giornalista, muovendosi quindi solo via terra o via mare attraverso Laos, Birmania, Thailandia, Cina, Singapore, Mongolia ecc.…(determinare il dove con esattezza non credo conti) per incontrare indovini, astrologi e stregoni…persone.

Da quell’esperienza è nato il libro in apertura di post, dopo averlo ricevuto in dono e averlo letto mi sono ulteriormente convinto di quanto sia importante stabilire delle priorità, variabili in base alle variabili di stati d’animo tempi e luoghi ma ugualmente imprescindibili, decidere cosa sia davvero essenziale, il tutto senza curarsi di uniformarsi alle mode, alle persone, alla tecnologia, al pensiero degli altri.

Lo scrittore toscano, appena ventenne ricevette un’offerta di lavoro dalla Banca Toscana e pur avendo la famiglia contro, rifiutò, più di trent’anni dopo, invece, colse al volo l’occasione della vita e col pretesto della profezia aggiunse tempo per se stesso semplicemente spostandolo, utilizzandolo diversamente, trovò quindi il tempo di fermarsi, di guardare intorno a se, di riflettere.

Giustificato dal lavoro di ricerca, trovò la scusa per poter consultare astrologi e indovini, così (ri)trovò la magia, la poesia, rilesse l’essenziale facendo a meno di tempi, spazi e luoghi convenzionali.

Lo sviluppo, aggiungendo qualcosa in termini di comfort e soprattutto di velocità, ha tolto l’armonia al “piatto”, un ingrediente in più e l’equilibrio va a farsi fottere, anche quello mentale, non cerchiamo più la felicità, impercettibile, se pur presente e latente, a velocità elevate.

Forse tra un po’ parleremo sempre di più di downshifting, sperando non diventi una moda ma una scelta, altrimenti  “la ricerca” diventerà infruttuosa, incomprensibile ai più, la pecora che segue il gregge senza sapere dove sta andando farebbe bene a guardarsi intorno esternando la sua contrarietà con un belato liberatorio e salutare.
Uniformarsi può sembrare più comodo in un mondo vissuto in pantofole dove non sembra esserci spazio per quei pochi, visti dalla massa di disillusi come pazzi visionari.

Un telefono, una videocamera, una camera d’albergo, una macchina fotografica, una macchina, sono supporto nel quotidiano, non il quotidiano, sicuramente non quello di ieri né quello uscito oggi (in formato cartaceo o digitale poco importa) ma nemmeno credo il quotidiano di domani, per quanto veloci vorremo andare, alcune informazioni, alcuni dettagli, possono essere colti solo ad occhio nudo, alcune sensazioni ed emozioni vanno vissute in prima persona, soprattutto quelle che riguardano il rapporto dell’uomo con la natura ma anche col quotidiano, lo schermo è informazione, sta a noi farcela raccontare, immortalarla o cercare di viverla in prima persona almeno ogni tanto.

Le nostre vite condizionate e non supportate dalla tecnologia diventano vite di massa e non più le nostre, la letteratura per non perdere tensione e poesia sta trovando un modo per poter fare a meno di dispositivi tecnologici, gli smartphone sono antiletterari, poco romantici e poco adatti ai romanzi, la sfida del futuro sembra quella di riuscire a scrivere una trama nella quale il protagonista sia separato dalla tecnologia per tutta la durata del libro, se da una parte le vecchie trame “digiune” d’informazioni e connessioni sembrano obsolete, dall’altra l’essere sempre connessi “spoetizza”.

The Millions, un sito letterario americano, segnala un cambiamento che fa pensare, sempre più romanzi sono ambientati in un “presente nostalgico” e senza tempo, vagamente collocato tra gli anni cinquanta e i novanta, comunque prima della rivoluzione tecnologica, risolti i problemi narrativi i racconti sono più belli, “Un indovino mi disse” lo dimostra, in fondo le storie non chiedono altro di essere raccontate, ascoltate e vissute.

C’era una volta…
…un giovane italiano, alla consolle in un ristorante parigino, tracce rosate ma non sfocate di tre anni prima uscivano dalle casse, mentre Grace Jones, in sottofondo e al centro dell’attenzione, seduta in un tavolo defilato ma con vista mozzafiato su una Parigi notturna ma perfettamente sveglia, mozzava il fiato a tutti e al ragazzo seduto di fronte a lei al quale molto più tardi avrebbe riservato attenzioni particolari e non trascurabili.

La pantera nera accennò promettenti movenze sinuose che fecero sollevare “anche” gli sguardi dei presenti, lei, lentamente, tornò al tavolo e con grazia felina sollevò un calice di bollicine in direzione della consolle nobilitando il gesto del DJ alle prese con un Technics SL120.

Un giovane appassionato gourmet, futuro scrittore e critico enogastronomico, allora ventenne e solo al tavolo, sperando in un ritorno d’immagine, in mancanza della rosa colse l’occasione e immortalò la scena e la cena, ostriche, Krug e crostacei a cascata, poi, al momento del dessert, si abbassarono le luci e la musica, 

l’appassionato gourmet e un po’ gourmand percependo una sorpresa nell’aria si avvicinò per mettere meglio a fuoco la situazione ma la sua ultima foto risultò sfocata ed inservibile, il prescelto dalla pantera si alzò e scelse il suo dolce, rigorosamente senza cucchiaio, cioccolato amaro, i petali, la rosa…

Potendo scegliere avrei voluto  essere quello senza cucchiaio, invece sono solo un mezzo toscano visionario.

M 50&50

La lepre travolta dall'Intercity - Seconda parte


gdf

Prima parte? QUI


La Voglia Matta di lepre è stata soddisfatta. La numero zero dell'adrenalinco Davide Cannavino ha convinto. Con tutti i limiti delle luci del locale di Catia e Davide, e dell'aspetto fotogenico della ricetta, ma la densità della salsa parla chiaro, nascondendo con sicurezza il medaglione spesso il giusto, ben farcito, e dalla consistenza della polpa forse un po' troppo compatta, ma del resto -per usare un eufemismo- il tempo dedicato alla frollatura è stato piuttosto breve ... non scenderei in ulteriori dettagli. Gli stomachini deboli potrebbero dettare al dito dei più di clicckare e chiudere questa pagina. Adesso.

Se non ce la fate, chiudete qui, subito. Domani ci saranno cose più delicate.


No, non è stata assolutamente la peggiore royale di lepre del decennio, anzi, nella mia personale collezione entra tra le prime dieci, ricordandone circa una trentina a memoria di fegato. No, non è assolutamente facile metterla in scena, così veloce, così scontrosa, così paurosa, così come tanti cuochini che nel dubbio del saper eseguire il certo, inventano invece di interpretare ed eseguire. Però non è morta bene, ne sono convinto, me l'ha fatto intuire di contorno.

Certezze ne esistono, perché è vero che una royale di lepre si comincia a prepararla il lunedì per impiattarla nel week end, dopo una sequenza di passaggi e lavorazioni che vanno all'opposto della tendenza della cucina contemporanea, basata su cotture brevi e da assemblaggi di ingredienti, che è uno stile di cucina piuttosto vicino alla concezione di base di Davide, che è un bel soggetto da analizzare, ma che sul soggetto si è veramente impegnato, e non solo per arrivare in fondo alla prova del cuoco ... pardon, alla prova della lepre, che non gli è sfuggita verso la prossima Riviera.


Con l'aperitivo
Lo snack di testa di pesci in cassetta con frutta secca

Tartare di capriolo ai quattro sapori

Molto altro oltre alla lepre, nello stile dello chef sotto il Turchino, a partire dal suo stecco di teste di pesce in cassetta, unico elemento ittico della giornata, interamente dedicata, oltre alla lepre, a molte variabili selvatiche, anche impreviste, come un'andouillette prossima ai confini delle mucose nasali; ad anticipare cinghiale, capriolo, piccione ...


Da bere? Beh, è stato un piacere raro stappare bottiglie (dell'alta Valle del Rodano) non molto conosciute, ma degne di un menù di tale consistenza. Hermitage Gambert de Loche della Cave de Tain 2001, Crozes Hermitage Cote de Grives Domaine de Combier 2010, Cote Rotie 2001 Les Grandes Places Domaine Monteillet 2001. Vini che rilevano le differenze di terroir pur se derivati dal medesimo vitigno : Syrah.


Vini governati al meglio da il primo special guest di giornata, Matteo Pastrello, capo sommelier di Villa Crespi (da sempre), in riposante e amorosa pausa invernale sulle alture di Imperia, in attesa che Tonino Cannavacciuolo esaurisca i suoi impegni da extra e ritorni ad Orta San Giulio con in tasca le chiavi della Villa.


Arriva l'altro special guest, Matteo Badaracco, impegnato a fondo (insieme a Luca Collami detto anche il Baldin) nello sviluppo del Capo Santa Chiara di Genova Boccadasse, ristorante con spettacolare vista mare, frequentatissimo in ogni periodo dell'anno.





Arrivano anche tante altre cose buone, come lo stracotto di cinghiale con fine crema di cavolfiore al rafano, goduriose tagliatelle tagliate al coltello con potente ragù selvaggio, e poi un fantastico piccione di Greppi, talmente dolce e tenero da poterlo mangiare quasi crudo ... infatti ... e poi la "compressione" di terra di Cannavino, autentico signature dish ormai.


Esce fuori dai sentieri battuti anche questo vino dolce naturale (16 gradi) , senza annata ma con mille profumi intriganti, tra il miele di castagno e la frutta candita, utile per accompagnare gli altrettanto originali dessert poco dolci, che seguono coerentemente il pensiero di Davide. Pensiero originale quanto minimale, espresso sia nel bianco mangiare al profumo di liquirizia, sia nella mattonella digestiva al limone di salvia, o nel più confortante tiramisu di una seconda misura tonica, o forse di una terza moderata. Il tutto documentato a beneficio del nostro album di figurine da lepri, così da poterlo ritrovare e aggiornare, anno dopo anno.
A bientot les amis.
gdf




gdf

p.s. il video non c'entra un belino, ma la cucina non è fatta di sola coerenza


Mangiare con le mani | Il mare tra le dita


gdf


Chissà come l'avrebbe presa lui;  il soggettone col panzone, in pensione, con l'hobby della recensione. Lui, che di una ne ha stese tre -di guide- senza però poter dare troppi numeri ai destinatari, ma numerando tutto.

Ne leggiamo tante -di recensioni- di carta e di silicio. Alcune, sintetiche, che sembrano delle contravvenzioni. Altre, più prolisse, che somigliano ad un verbale della Stradale, altre ancora, fuori tempo come i comunicati delle brigate rosse.

Lui, invece è più sullo stile G. di. F. , che sembra uguale ma per via di quella "i" si avvicina molto ad un dossier della e non del. 

Numera tutto: i coperti disponibili, le sedie, il numero degli antipasti, dei primi e dei secondi. I dessert? Solo se gli portano apposita carta. E poi, il prezzo di ogni piatto, quello del vino di minor prezzo, e quello che vorrebbe bere, quello del Maggiore.

Chissà che mestiere faceva prima. Probabilmente è ragioniere come me. Diventare ragioniere è come diventare Alpino: è per tutta la vita, anche se sei in congedo, temporaneo, provvisorio, come tutto.

Sostanzialmente fa un inventario. Non scrive delle persone, fa una fotografia numerica, uno stato dell'arte di un ristorante, in quel giorno. Se vi chiede di verificare da chi andate a far lavare tovaglioli, frangini e tovaglie, non preoccupatevi. Non è pericoloso, ma lui è fatto così. Vuole solo sapere quanti ne avete mandati, non quanti coperti avete fatto.

Mangiare i gamberi con le mani potrebbe voler dire sporcarne tanti. Va nel buon senso e nella buone maniere del cliente gestirsi, in un rito primitivo tornato assai attuale.




Ho davanti un ricordo di viaggio alle origini del vino di Porto. Hotel Boa Vista,  na Foz do Douro. Boa Vista, niente da dire, direttamente con gli occhi sull'orizzonte del'Oceano Atlantico, ma per mangiare ... beh, meglio uscire ed infilarsi in uno dei tanti piccoli locali specializzati in pesce fresco.

Un'abitudine comune di quei locali, quelli più indirizzati sulla cucina marinara, era di portare in tavola -senza neppure dover domandare nulla al cliente- un grande vassoio stracolmo di piccoli gamberetti bolliti, interi, ma così piccoli che quasi tutti i commensali li mangiavano senza neppure levargli la testa o il carapace.

Sport estremo, ma praticabile, perché era in effetti più complicato levare il carapace che mangiarlo, e quindi ... perché no? Rigorosamente con le mani, nel giro di 15 minuti (il tempo di prendere la comanda) che il vassoio era già vuoto, e neppure una testolina o un baffo di gambero era rimasto sul fondo d'acciaio del contenitore.

Di seguito, toccava al baccalà, che -pure questo- veniva servito d'ufficio come pre antipasto, sempre e comunque sotto forma di crocchette fritte, straordinarie, e pure queste da mangiare con le mani. A quel punto il resto della cena poteva prendere strade diverse, ma la soddisfazione era ormai raggiunta, ed il resto non avrebbe potuto cambiare l'umore positivo, mentre di umori negativi, nelle dita, non ne rimanevano, perché la freschezza dei gamberetti bolliti e la precisione nel friggere le crocchette, non lasciava ricordi tra le dita, anzi, era il profumo dell'Oceano quello che dominava, fuori e dentro questi deliziosi ristoranti portoghesi.

Ci ho pensato l'altro giorno mentre mi trovavo "Come a Casa", mentre il buon Piero Bregliano stava mettendo via una cassetta di gamberi rosa fuori orario, di misura varia. Alcuni proprio come quelli là, quelli oceanici portoghesi, altri un pochino più grandi, dove la pulizia andrebbe comunque fatta, ma il fattore comune è stato quel sentore di mare pulito, rimasto tra le dita.

E poi che fa Piero? Arriva a mia insaputa con le crocchette (in tempura) di baccalà ... beh, e allora dillo subito, ci metto un attimo a calarmi con le mani e con la testa in un ricordo di viaggio indelebile, lassù, ai confini estremi dell'Europa occidentale, dove si mangiava quasi tutto con le mani, si sporcavano tanti tovaglioli, ci si  versava litri di vinho verde (di nome e di fatto), e si chiudeva la serata con un vecchio Vintage di Porto e Queijo de Serra da Estrela, quando non compariva magicamente anche un pezzo di Stlton, per tornare un attimo all'accento inglese.

Si, mi sono sentito come a casa, e questa maniera spontanea e ludica di interpretare una cucina senza filtro, sta piacendo molto da queste parti, così che sono molti anche i colleghi di Piero a venire qui a cena, incuriositi da quanto si dice in giro e da quanto si vede (spesso) sul web, senza il rischio di diventare ripetitivi, perché ogni volta gli spunti, le intuizioni, le sottili provocazioni, stimolano la conversazione ed il confronto, come fossimo a casa. 

Nulla di combinato, e quindi sarà compito del Samsung prendere appunti visivi 

Il mare tra le dita 

Ricciola marinata con puntarelle 

 Crocchette di baccalà ...

Molto meglio del vinho verde portoghese 

Gamberi rosa e buccia d'arancio in agnolotti in brodo speziato e pepe Timut , che sa un po' di pompelmo ...

L'ultima trovata di Piero Bregliano: i lunghi spaghetti di patate bolliti in sottovuoto con crema di latte acidificata e caviale fresco ... 

E facciamoci un Gin&Tonic come si deve
gdf

¨Al encuentro de las cocinas ancestrales, su gente y su territorio¨



Proyecto Orígenes


RAE: Orígenes: principio, nacimiento, manantial, raíz y causa de algo.Patria, país donde alguien ha nacido o tuvo principio la familia o de donde algo proviene.Ascendencia. Motivo.

Hace unos meses, en la Argentina, Mauro Colagreco, restaurante Mirazur, Menton, Francia, Virgilio Martínez, restaurante Central, Lima, Perú y Jorge Vallejo, restaurante Quintonil, en el DF, México, tres cocineros latinoamericanos, presentaron este proyecto. En ese momento expresaron un deseo: reconocer, recuperar y conservar saberes. Se propusieron una tarea que, aunque complicada, no fue imposible: reunirse para juntos preservar productos, técnicas y costumbres ancestrales ligadas a los alimentos de nuestro territorio, los que aún sobreviven en pequeñas comunidades, intercambiar conocimientos, aplicarlos en sus cocinas y evitar una palabra fatal: olvido.

Al contar el proyecto al mundo, decían: “Lo hicimos pensando en aquellos pueblos donde, desde hace siglos, ese saber se transmite de generación en generación, generalmente de forma oral. De padres a hijos y de madres a hijas. Se trata de un invalorable legado cultural que no podemos permitir que se pierda”.  Aquí no hay puestos en listas, estrellas ni nombres: son tres cocineros latinoamericanos intentando aprender del pasado, del presente, para mantener el futuro y hacerlo con una postura que implica reconocer en el otro sus saberes y a su vez, dar de sí lo mejor que tienen.

Y fue así que primero viajaron a Mérida, en México, donde los esperaban las tortillas milenarias de la cultura maya; la cocción bajo tierra de los recados (mezcla de especias que se usan en los rellenos) y hubo más. La segunda etapa la vivieron a dos horas de Cusco, Perú, en Sangarará, el pago de los Chahuay, a unos 4.000 msnm, una comunidad que se dedica a la agricultura y ganadería, donde la Pachamama es reina y señora del lugar. “Llegamos, cuentan y nos instalamos como nos lo propusimos: intentando descubrir la geografía,los valores culturales y el universo simbólico y ético que implica para esa población la elección de un producto, el modo de cocinarlo, la manera de comerlo y compartirlo”.

Este 26 de enero los esperan en Madrid Fusión para una nueva presentación más amplia: contarle al mundo lo vivido y lo que vendrá. Para el futuro próximo están armando un viaje a la Argentina y en forma paralela realizan un rastreo de productos y productores que pondrán al alcance de todos sus colegas. Un compromiso de tres cocineros latinoamericanos con la biodiversidad, con el planeta habitable. Una vuelta a los orígenes para que de estos surja el compromiso con la vida.

Este proyecto involucra a todos los que habitan este continente, quienes quieran colaborar, pueden contactarnos escribiendo a prensacolagreco@yahoo.com.ar


Prove di Bocuse d'Or - Prima parte

del Guardiano del Faro


Come già accennato qui e altrove, tra domenica 31 gennaio e lunedì 1° febbraio, al Teatro Busca di Alba si terrà la selezione italiana del Bocuse d'Or. Ecco, cosa c'entra questo piccolo frutto verde con il contesto del concorso? Beh, diciamo che tra le condizioni principali per conseguire un buon punteggio dai giudici c'è il rispetto del regolamento, che -tra le altre cose- richiede o pretende una certa originalità nelle preparazioni.


Quindi, oltre al rispetto dell'elemento principale, poi ci vorrà una pari quota di vegetale, un paio di "contorni", una o più salse, un "crunch" ... esibizioni di tecniche diverse ecc ... insomma, se non hai letto il regolamento, caro il mio partecipante, rischi una figura barbina, come già vedemmo nella selezione precedente che si tenne al Palafiori di Sanremo.

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Emanuele alle prese con il "finger lime" e il nero di seppia ...

Alle selezioni di Alba Emanuele Donalisio del Giardino del Gusto di Ventimiglia non ci sarà, semplicemente perché quando è venuto a saperlo, lo scorso dicembre a Milano nel corso della presentazione della Guida Ristoranti del Touring Club d'Italia, Luigi Cremona aveva già completato l'elenco dei candidati, e quindi che fare? Per esempio cominciare ad allenarsi per la prossima edizione, leggendosi il regolamento e mettendolo in pratica, eseguendo i piatti qui documentati, il primo dei quali ha come tema lo storione e i suoi accompagnamenti, mentre nel secondo sarà il cervo il protagonista.


Un piatto prima si progetta, poi si costruisce, seguendo il proprio istinto, sfruttando le proprie conoscenze ed infine confrontandosi con un coach. Si, ogni chef partecipante ha anche un coach, con il quale consigliarsi, dopo aver inquadrato un primo piatto di prova: questo


Si tratta sostanzialmente di cubi di storione in doppia cottura, prima in sottovuoto e poi ripassato in padella all'unilaterale. La quota "green"è parecchio presente. Ci sono baby carote e bulbi di finocchio confit in brodo vegetale e burro; c'è della clorofilla di prezzemolo, e dei piccoli dadini di pane nero a creare il "crunch" necessario.

I cubi di storione sono stati tartinati da polpa di ricci di mare, acqua di vongole sifonata e da quel limone che abbiamo visto all'inizio, che possiede una polpa formata da  piccole sfere, come il caviale. Con l'aggiunta di nero di seppia si crea un effetto complesso: acido, aromatico e iodato.

E la salsa? Del semplice - e buonissimo - Beurre Blanc. Lui, Emanuele, allievo di Michel Roux vuoi che non sappia fare un Beurre lavorato degno di Georges Blanc? Resterà da sistemare la quota di dadini di pan brioche al nero, ma per il resto ci siamo.


Ancora un'annotazione su quel limone, perché non è un agrume che si trova al discount, però nei mercatini di fruits et legumes di Montecarlo si. Costa 90 euro al chilo, e si presta a diversi scopi. Le signore di Monaco, per esempio, lo tagliano finemente, lo essicano e poi lo sistemano negli armadi per profumare con decisione e carattere gli indumenti.

E' presto, ma tra poco, come al solito all'ora di pranzo, arriveranno comme d'habitude alcuni clienti francesi e monegaschi, che tradizionalmente preferiscono andare a pranzo a Ventimiglia piuttosto che la sera, spazio che si prenderanno più tardi i clienti italiani, più propensi ad accomodarsi quando calerà il sole.

Fuori onda, siccome è arrivato un pescatore con gamberi e gallinelle ... e allora ecco comparire una zuppa di gallinella con vongole e gamberi in brodetto di datterini, con pane croccante al sesamo e "Rouille" al peperone rosso ... gnam gnam ...

E chiudiamo la prima parte con un fresco dessert ai frutti tropicali di Ventimiglia

gdf
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