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Channel: armadillo bar | vino-cibo e musica
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Prove di Bocuse d'Or | Seconda parte

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La prima parte è nel post precedente, quella dedicata al piatto di pesce, cercando di seguire minuziosamente il regolamento del concorso, che prevede penalità in caso di errori, per esempio (oltre a ciò già evidenziato nella prima parte), guai a mettere elementi non abitualmente o agevolmente mangiabili, come le ossa di una carne o l'intero carapace di un crostaceo, ma fosse pure un rametto di rosmarino ... scatterebbe una penalità

Questo piatto ha un residuo di prodotto difficilmente masticabile, anzi, probabilmente da lasciare ( la codina del gambero...), ma, ricordo, stiamo facendo delle prove di Bocuse d'Or, non siamo già al concorso. Adesso che con Emanuele abbiamo finito di "giocare", aspettiamo di vedere i 24 piatti dei 12 aspiranti a rappresentare l'Italia alla rassegna Europea;  così da confrontare, almeno visivamente, le idee e le esecuzioni.

Anche qui l'originalità non manca, perché al tema fisso, la carne di cervo, è stato associato ai gamberi di fiume, arrivati freschi freschi e ovviamente ancora vivi, solo poco prima di realizzare la ricetta, che prevede tre code di gambero d'acqua dolce sbollentate e la bisque classica, ricavata dalle teste, che vedete tracciata ad ali di gabbiano.

Un gambero è nascosto dentro il raviolo, dove c'è anche un ripieno liquido, rappresentato da una Bordolese di cervo, che tagliando il raviolo, andrà a nappare la carne dei due blocchi di carrè disossato del cervo, panato con farina di nocciole e arrostito in padella su tutti i lati, mantenendo tuttavia una cottura impeccabile al centro.

Quota di "green" data dalle tre sfere ricavate da una radice bianca simile alla pastinaca, ma più aromatica, cotta in brodo vegetale e burro, arricchita da una cucchiaiata di "mousseline". Voilà, il piatto è finito. Se vi piace l'idea credo lo troverete in carta al Giardino del Gusto di Ventimiglia, prossimamente.

Il cervo va al fiume ...


Nell'attesa ... patate castagna e lardo

Anche questo potrebbe entrare in carta : si chiama
gamberi & gamberi - uova & uova
Gambero di fiume e gambero di Sanremo tuorlo d'uovo a 70 gradi, caviale e  uova di astice.
Un filo d'olio, sale al sedano e speziatura cajun
Qui manca la finitura al piatto, per esempio una salsa "Hollandaise"

Molto piacevole la consistenza che mantiene il tuorlo, spalmabile



C'è il tempo per una lezione di soufflé








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Alba | 15 scatti dalla prima giornata del Bocuse d'Or

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Bellissimo ed intimo Teatro, qualche decina di posti a sedere in platea, palchi riservati agli sponsor ed ai loro ospiti. Piccionaia dedicata a chi non soffre di vertigini. Grandi personaggi, sia in giuria che in giro per Alba, organizzazione di buon impatto, con tempistiche e uscite degne di uno spettacolo ben gestito.



Giuria di cinque grandi chef a giudicare i piatti di pesce, altri cinque per quelli di carne, a rotazione, ed in mezzo un trio d'eccezione, a gustare e decifrare tutto quello che i dodici cuochi saranno in grado di mettere sotto le cloche in questi due giorni al Teatro Sociale Busca di Alba. I nomi dei personaggi sono noti, inutile  insistere sulle didascalie oggi.  Dietro le quinte non so, ma quel che si vede dalla parte del pubblico, è apprezzabile: Chapeau.












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Fuori Teatro

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Durante la prima giornata del Bocuse d'Or albese, per le gelide vie deserte del centro si incontrano solo chef di rilevanza nazionale, gourmet assortiti ed addetti ai lavori in cerca di una calda pausa pranzo. I punti di incontro, alla fine si sono risolti in un paio di locali aperti, in mezzo ad una desolazione di ristoranti e trattorie chiuse. Perfino La Piola, che è vero che ha come giorno di chiusura proprio la domenica, ma che in caso di apertura straordinaria, avrebbe incassato non meno di 100 coperti di grande peso specifico, che si sono invece rifugiati in parte nel classico Caffè Calissano e in questa Osteria, l'Osteria Era Nuova, proprio a due passi dal Teatro Sociale Busca.

L'ambiente è caldo, ospitale, informale e dimostrativo di quanto già ben sappiamo, e cioè che da queste parti è veramente difficile cascare male. Nei limiti della proposta che possa soddisfare habituè e decine e decine di avventori inaspettati.  Si spendono mediamente 25 euro, mangiando più o meno una tradizione ... diciamo alleggerita, o meglio, diluita, ma insomma, la simpatia e la disponibilità del servizio ed il prezzo condivisibile non ha lasciato l'amaro in bocca, anzi.

Verso le 13 qualche coperto era rimasto. Poi, fin verso le 14.30 si è scatenato un tourbillon frenetico 

Onesto chardonnay territoriale. Fresco e lineare. Per 14 euro al tavolo che vuoi di più? 

Pane, focaccia e grissini: ok 

Peperoni arrostiti, zucchine alla menta, sarde in agrodolce, acciughe con le verze e tomino al verde : 8 euro 

Sformatino di verdure e parmigiano: 7 euro 

Gnocchetti maison con pomodoro e maggiorana: 8 euro 

Tagliatelle verdi con ragù di salsiccia: 8 euro 

Buonissime robiola di Roccaverano e bleu di capra con miele d'acacia e nocciole Piemonte. Equilibrismo riuscito 

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Anteprima Villa Favorita 2016

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by Hazel


Squillino le trombe!
Ritorna a Genova l'appuntamento con l'anteprima di Villa Favorita 2016.
Circa 70 vignaioli ,aderenti all'associazione Vinnatur, provenienti da tutta Italia, con qualche incursione in Francia e Slovenia.
Luogo dell'evento, lo storico palazzo della Borsa della centralissima Piazza De Ferrari nelle giornate di domenica 7 e lunedì 8 Febbraio.
Nella serata di sabato,  eventi collaterali in diversi locali della città.
Per dettagli consultare il sito :
http://www.vinnatur.org/events/vinnatur-genova-2016/

Nota a margine:
Se si è fortunati,l'acqua sgorghera' rigogliosa dalla fontana.
Nel caso peggiore ci penserà Giove pluvio.
Belin semmu a Zena!


hazel

Oui, je suis l'inspectrice

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Comment êtes-vous devenue inspectrice ?
Comme la plupart des inspecteurs, je suis issue du milieu de l’hôtellerie et de la restauration. Mon parcours est tout à fait classique : après une formation en école hôtelière, j’ai travaillé dans de nombreuses maisons, à la fois en salle et en cuisine. J’ai aussi vécu quelques années à l’étranger, où j’ai collaboré avec plusieurs établissements prestigieux. Dans le même temps, ma passion pour la gastronomie n’a cessé de grandir. Pendant mes jours de repos, mes vacances, mon passe-temps favori, c’était toujours et encore les restaurants ! Je pouvais faire des centaines de kilomètres pour découvrir la cuisine d’un chef. Évidemment, le guide MICHELIN était pour moi LA référence. D’où ce déclic : « Mais pourquoi n’écrirais-je pas au guide MICHELIN, il doit bien être fait par de vrais gens ! » Et ça a marché…

Comment s’est passé le recrutement ?
Le recrutement se fait en deux temps : d’abord une série d’entretiens, où l’on nous sensibilise aux responsabilités du métier. Tous les inspecteurs sont salariés de Michelin et sont embauchés en CDI. Par nature, il faut être incorruptible !
Puis vient le plus important : on m’a invitée dans plusieurs restaurants (bistrots, étoilés, etc.) pour tester mon « goût ». Quelle épreuve ! Finalement, le rédacteur en chef m’a dit que j’avais « un palais très sûr ». Un superbe compliment pour moi… et une nouvelle vie à la clé.

Vos premiers pas en tant qu’inspectrice ?
Intenses ! Pour tous les nouveaux, c’est le même processus : on partage la route avec plusieurs inspecteurs expérimentés pendant six mois, avant de partir seul(e). Six mois d’échanges avec ces professionnels chevronnés, qui ont une connaissance incroyable de l’hôtellerie et de la restauration… et qui ont tant d’histoires savoureuses à raconter.
J’ai encore beaucoup appris pendant cette formation. Car le métier est avant tout fondé sur l’expérience : de repas en repas, on se forge une échelle de valeurs de plus en plus précise, avec, pour repères, une véritable bibliothèque de souvenirs gustatifs. Il n’y a pas de place pour l’improvisation et les jugements impulsifs…

On imagine que vous mangez chaque jour dans les plus grands restaurants… Fantasme ?
En moyenne, chaque année, un inspecteur fait 30 000 km, dort 160 nuits à l’hôtel et mange 250 fois au restaurant. Le métier n’est pas de tout repos ! Il arrive aussi que l’on mange mal, car pour conseiller de bons restaurants, il faut aussi savoir en tester de mauvais…
Quant à imaginer que l’on ne mange que dans des étoilés… ces derniers représentent moins de 10 % des établissements sélectionnés par le guide, qui, contrairement à ce que beaucoup croient, recommande aussi des bistrots, des petites auberges, etc. Nous n’évoluons pas dans un univers de luxe, au contraire : nous sommes confrontés à la réalité de la restauration, sous toutes ses formes. Et c’est justement ce qui fait la richesse du métier.

Quel est votre quotidien ? Quelle est la journée type d’un inspecteur ?
C’est d’abord un travail de mise à jour et de recherche. Chaque inspecteur hérite d’un territoire différent chaque année. Nouveautés, suppressions, réévaluations, etc. : nous passons tout au crible. Temps forts de la journée : midi et soir, nous faisons un « essai de table » ; en langage normal, nous testons un restaurant. Le reste de la journée, nous faisons des visites « surprises » dans les établissements – notamment les hôtels, car le guide MICHELIN, c’est aussi une sélection de bons hôtels.

Le métier n’est pas trop solitaire ?
Certes, nous mangeons souvent seul (sauf dans les plus grands établissements, que nous testons souvent à plusieurs, pour brouiller les pistes et confronter nos avis…), mais nos journées sont surtout faites de rencontres. En Europe, l’hôtellerie et la restauration sont encore très familiales. On me raconte les mariages, les enfants qui reprennent la suite… Les difficultés du métier aussi, mais surtout les réussites, les projets. Car nous rencontrons des gens passionnés, qui ne cessent d’aller de l’avant. Et il faut le dire, l’aura du guide MICHELIN est telle auprès des professionnels que notre visite est pour eux une reconnaissance, une motivation. Ils sont très fiers de nous montrer leurs installations, leurs nouveautés… Ces échanges sont très gratifiants, pour tous.

Vous vous présentez donc aux professionnels. Sans risquer de vous faire influencer ?
Attention, nous avons une sacro-sainte règle : nous testons les tables toujours de manière anonyme et nous payons toutes nos additions ! D’ailleurs, nous avons une sorte de rituel pour bien montrer que nous sommes incorruptibles : nous nous présentons souvent juste après avoir payé, quand on nous rend notre carte bancaire. Et ce moment-là suscite toujours des réactions très marquées, enthousiastes ou plus inquiètes…
Pourtant, nous ne sommes jamais des inquisiteurs : si nous nous présentons, c’est justement pour parfaire notre opinion, la nuancer aussi, car un repas ne peut pas toujours suffire à se forger une idée juste de tout un établissement. Nous faisons donc le tour des installations, jugeons le fonctionnement, rencontrons l’équipe (est-elle stable ?), le chef (quel est son parcours ? où s’approvisionne-t-il ?) et, fait crucial, nous visitons les cuisines !

Vous visitez toujours les cuisines ?
Quand nous nous présentons, très souvent. Nous jugeons les produits (frais ou congelés ?), les préparations, etc. Si, dès le milieu de l’après-midi, toute une équipe est déjà au travail pour le service du soir, c’est plus que bon signe ! Cette visite est un acte très fort, dans l’intérêt des consommateurs.

Et que dites-vous aux chefs ? Les guidez-vous ?
Depuis l’origine, la mission du guide MICHELIN est d’indiquer aux lecteurs les meilleures adresses dans chaque ville ou région, dans tous les genres. Nous ne sommes pas là pour donner des conseils. À chaque chef de trouver son propre style, qu’il soit très traditionnel ou hyper créatif : c’est toujours ce que nous répondons à chacun. Il faut laisser les talents s’épanouir ! 

Dans une « tournée », vous faites-vous parfois repérer ?
Si on demandait à n’importe qui de tracer un portrait robot d’un inspecteur, voilà ce qu’il décrirait : c’est forcément un homme, d’une cinquantaine d’années, bedonnant, en costume-cravate. Tout faux ! Les inspecteurs sont tous différents, de tous les âges, chacun avec leur style… et pas forcément plus gros que la moyenne des Français ! Tous les restaurateurs le disent : il est très difficile de soupçonner notre présence. Et s’il arrivait que ce soit le cas, le chef ne pourrait pas révolutionner sa manière de cuisiner en un instant !

Prenez-vous des notes pendant les repas ?
D’abord, je mange ! Parfois, je dévore ; d’autres fois je déguste avec un immense plaisir ; quelquefois mon coup de fourchette est plus mesuré… Le plaisir pris au repas : voilà l’essentiel.
Évidemment, j’analyse mon ressenti (fraîcheur des produits, cuisson, assaisonnement, finesse et équilibre des saveurs, etc.), mais sans jamais prendre de notes : avec l’expérience, nous développons une mémoire visuelle et gustative très aiguisée ! Plus tard, donc, je rédige un rapport détaillé, où j’évalue tout le repas, des mises en bouche aux mignardises, sur une échelle qui va du niveau « standard » au niveau « trois étoiles ». Comme pour un film, il faut parfois laisser passer un peu de temps pour mesurer le souvenir réel laissé par un repas… Ce recul est essentiel pour arriver à des jugements sereins et appropriés.

Comment sont décernées les étoiles ?
Grande responsabilité… et grand honneur ! Mais attention, une étoile n’est jamais un jugement individuel ; c’est un choix collectif, fruit d’un long processus. Nous suivons tout le parcours d’un chef et la décision finale est toujours le résultat de plusieurs repas pris par des inspecteurs différents. Tout se décide avant la sortie du nouveau millésime, à l’occasion des « séances étoiles » qui réunissent le directeur du guide et tous les inspecteurs – et exclusivement eux. Certains débats peuvent être vifs, mais c’est alors mauvais signe : l’établissement doit emporter une forme d’assentiment. Une étoile, c’est avant tout une décision collégiale !

Pourtant, juger d’une cuisine, c’est très subjectif…
Évidemment, et c’est surtout une affaire de plaisir. Fort heureusement, les règles du plaisir sont assez bien partagées ! Mais attention : en tant qu’inspecteur, notre but n’est pas de mettre en avant nos propres goûts, mais de distinguer ce qui est bien fait ou pas, en nous mettant à la place de tous les clients. Les critères d’une étoile ont toujours été les mêmes : 1. la qualité des produits ; 2. la maîtrise des cuissons et des saveurs ; 3. la personnalité du chef dans ses plats ; 4. le rapport qualité-prix ; 5. la constance de la prestation dans le temps. À travers ces critères rigoureux et les regards croisés d’inspecteurs différents, on parvient à une forme d’objectivité. Preuve en est : les étoiles sont devenues une référence incontournable.

Que préférez-vous dans votre métier ?
Tant de choses… L’émotion de la découverte, le plaisir de partager ; le voyage également, car je connaîtrai bientôt la France dans ses moindres recoins et je travaille de plus en plus dans les autres pays d’Europe. Je découvre chaque jour de nouveaux paysages, de nouvelles saveurs et des chefs qui font preuve d’une immense générosité. La passion de la gastronomie est inépuisable !

da ... restaurant.michelin.fr



Oggi guido io

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di Angelo Antonio Angiulli



Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento.......


Roberto, Gianni ed io siamo lontani anni luce dal carisma del trio del dolce stil novo, né come loro in fuga dalla realtà, bensì alla ricerca del piacere sulle tracce dell'Oca Ciuca in quel di Vigevano, ed oggi il nostro incantamento è essenzialmente culinario.


Non la zingarata tipo “Amici miei”, ma la riscoperta dell'oca gastronomica in tutte le sue sfaccettature da Fulvia, titolare e cuoca appassionata con le idee chiare, che aspira ad avere accanto al suo esercizio un “pret à porter” di pesce incluso l'asporto, con specialità che comprendono anche ciò che comunemente viene eliminato, da chi non intravede un valore gastronomico negli “scarti”. 

Il viaggio verso la meta fra frizzi e lazzi vicendevoli è abbastanza piacevole, anche se è la nostra prima volta come terzetto in uscita. Arrivati e parcheggiata l'auto qualcuno sente già il bisogno di rinfrescare l'ugola, ma ne viene dissuaso mentre ci avviamo a piedi verso la meta.

Il gioco dell'Oca

Vigevano è città d'arte e la celebre Piazza Ducale, una delle più grandi d'Europa per estensione, ideata dal Bramante e definita da Toscanini “sinfonia su quattro lati”, non manca di stupire me che l'ammiro per la prima volta.

L'Oca Ciuca cucina e mescita di vini, non è molto distante. Roberto, il nostro odierno capo ciurma, ci presenta a Fulvia che ci viene incontro appena entrati. Espletate le formalità ed i convenevoli di rito ci accomodiamo, ed a richiesta ci viene prontamente servita una bottiglia di bollicine (nome e origine in immagine), che provvede prima di iniziare il pasto a inumidire qualche gola secca. 


Il ristorante è anche Bistrot, per cui il menu che ci viene presentato comprende anche un'offerta di “Panini Gourmet” e “La cucina ignorante” solo per il pranzo. Quest'ultima singolare definizione presuppone un piatto della tradizione italiana, preparato con “l'offerta del mercato e l'estro degli chef”. (degli chef?) 

Baccalà, crema di finocchio, olive taggiasche capperi e arancio ...

Noi ci facciamo consigliare includendo un paio di desideri per le Pappardelle al ragù bianco d'oca, ed i Ravioli d'oca al burro e riduzione di nocciole tostate. Questa la successione delle portate, in seguito le mie considerazioni: tagliere di salumi pregiati d'oca con crostino di paté - Baccalà all'arancia, finocchio e polvere di capperi – le già citate Pappardelle ed a seguire i Ravioli d'oca – Petto d'oca con crema di zucca e polenta rosolata – Frolla al cioccolato, pera al vin brulé e cremoso di cioccolato Caraibe – Semifreddo e vini in successione.


Subito mi preme sottolineare la completa digeribilità di tutto il pasto, come considerazione del giorno seguente spesso scarsamente considerata. Ottimi i salumi, il prosciutto crudo d'oca classico insieme al leggermente affumicato, il salume crudo d'oca più buono di quello cotto. 

I salumi pregiati d'oca, cotti e crudi, naturali o affumicati ... e il patè maison

Buono anche il crostino di paté, anche se non condivido la pressoché totale assenza della naturale amaritudine del fegato. Interessante il Baccalà che mi ha stupito per la discrezione del profumo della crema di finocchi.

Pappardelle al ragù bianco d'oca mantecato

Buone le pappardelle, molto “acchiappose” per la generosità del condimento, mentre ho qualche riserva sui ravioli dalla sfoglia troppo morbida ed il ripieno, dopo il ragù+condimento imperioso delle pappardelle, diciamo....un po' carente di struttura. L'idea della pennellata al piatto della riduzione di nocciole tostate, dal profumo che ho trovato “zuccheroso”, non mi ha entusiasmato. 

Ravioli d'oca con pennellata di nocciole

Data la diversa intensità gustativa, io avrei invertito il servizio dei due primi. Buono il petto d'oca giustamente al rosa, che per il mio gusto “antico” avrei visto meglio con salsa bordolese d'oca. Solo per il sottoscritto, la frolla al cioccolato con pera al vin brulé debordante di gusto. “Est modus in rebus”.

Petto d'oca su crema di zucca e polenta rosolata

Ottimo Tris di capra

Cioccolato, pera e  cannella in un tortino

Semifreddo al torroncino e cioccolato

Per il resto, buono il cestino dei pani con grissini/sfoglia ben conditi e croccanti, atmosfera rilassante malgrado l'afflusso notevole di clienti, stuzzicanti scambi di opinione con la Fulvia, radi e discreti i contatti con la figlia ed il fidanzato, suoi collaboratori in sala.

Per concludere, vale ritornare senza badare più di tanto alle mie gastro paturnie su alcuni piatti. Sul viaggio di rientro con la spasmodica ricerca dell'Oca Ducale ed i suoi salumi, almeno per me il momento più spassoso della giornata.

AAA

Risotto-Scrizione

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di Fabrizio Nobili

Per arrivare la prima volta a Vercelli in cerca dell'hotel Cinzia si è aiutati anche in una giornata uggiosa dai suoi colori sgargianti. L'aiuto continua, appena varcata la soglia del ristorante cristian&manuel, non da altri colori sgargianti ma dall'accecante sorriso stampato sulle labbra dell'effervescente quanto abile maitre Elisa, che con la sua vulcanica personalità saluta il ns guardiano del faro e ci accompagna al tavolo della sobria sala ristorante e prende in pugno la situazione sia per la scelta dei vini che per la spiegazione semplificata del menù, che per gli avventori risulterebbe fuorviante.

Forse però non potrebbe essere diversamente da così. Sì, perche i Costardi, con le loro folte barbe a metà tra quelle hipster e quelle degli affiliati ISIS, sprigionano non solo nelle loro creazioni una forte personalità. Hanno in mente l'obiettivo -stellare- da raggiungere e ci mettono grande impegno per arrivarci, esprimendo e spremendo al massimo le potenzialità nei singoli piatti.

Partire con una crema di patate, baccalà mantecato e noce moscata mi ha trasmesso un messaggio del tipo: "mettiti comodo che ti coccoliamo noi!" 
OK! vaaa beeeene così, ci sto.

Poi non fai in tempo a rilassarti che ti arrivano un paio di portate alla" Vegan top model" quali l'orto e la carota viola dove per qualche minuto ho sognato di essere Tom Brady a pranzo con la moglie. Peccato che appena ho rialzato gli occhi dal piatto ho visto il Mostini e non la Bundchen. Pazienza, c'est la vie!

In seguito ho pensato al ns. caro Marco 50&50 sì perchè il suo amore sviscerato per i risotti gli offrirebbe una carica ironica amplificata. Lo vedrei bene vestito da braccio di ferro che strizza uno dei barattoli pieni di risotto e sferrare di seguito un pugno al Bluto di turno.

Negli assaggi dei risotti è incredibile la concentrazione dei profumi e dei sapori che i Costardi riescono a metterci, sembra impossibile.

Le Chapeau bas però va' insindacabilmente alla pernice, un piatto di una maestria nella preparazione rara. Livelli così elevati possono essere raggiunti solo con tutti gli ingredienti all'apice. In questi casi: il piatto vale il viaggio.

Sono un'amante dei dolci ma se mi vengono presentati dei dessert che col dolce hanno poco a che fare resto affascinato e il: cioccolato bianco e vaniglia in centrifugato di mele, sedano e finocchio riesce a soddisfare la parte golosa con la freschezza e la complessità.

Grandi vini in accompagnamento: il pas dosè di Philiponnat a prevalenza pinot noir tagliente, pulito e strutturato. L'Ambonnay rouge 2012 di Ouriet in annata giusta che non solo è riuscito a profumare la sala al completo ma ha tenuto anche al palato, cosa che tra i rossi fermi di Champagne raramente capita.

Le immagini:

Mise en place con l'originale illuminazione al tavolo 


 Decisamente pas dosè

Elisa, tra le migliori "maitre sommelier" italiane 

Caldo freddo di baccalà mantecato, crema di patate e polvere di noce moscata 

Il panino come una volta a Pizzarrosto ... con lingua, salsa verde e cipolla all'agrodolce 

 L'orto in città, senza sale, senza olio, ma con diversi elementi sapidi e cremosi a compensare la neutralità delle verdure
 La carota viola aromatizzata al lime ...

Il primo dei risotti personalizzati: pomodoro e basilico 

Con calamari arrosto, al nero, e pesto 


Quando ci prende, questo lascia poco spazio alla concorrenza.
Ancora una volta si conferma miglior pinot noir fuori dalla Borgogna 



Il più gettonato dai clienti ...

Golosissimo ... 

E infine il saturante Taglio Sartoriale 27 mesi con Grana Padano, riduzione di birra e caffè: Boom!


Sopra la media la coturnice marinata in olio e arrostita, crema di foie gras e pak choi 

Finezza di cioccolato bianco, sedano .... mela, finocchio
Il dolce non dolce: Pak choi, foie gras, vaniglia, granita di lampone e aceto 

Arredamento da salotto all'Hotel Cinzia 

F.N.

G.H. Mumm Champagne Cuvée R. Lalou 1998

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Persona illuminata e lungimirante, monsieur Lalou, presidente della Maison dal 1939 al 1973, con la vendemmia 1966 creò, con lo chef de cave dell’epoca, J.Barrot, questo assemblaggio - 50 Pinot Noir e 50 Chardonnay - che costituisce la Cuvée de Prestige della casa, che ha sede a Reims. Prodotta solamente in annate ritenute eccezionali, passa otto anni sur lattes.

La tipaè nella mia in cantina, fin dall’uscita (2007) e il tempo, sempre galantuomo, me la consegna topa assai. E’ maggiorenne, il penale è scongiurato, si può fare, scarto la coiffe e penetro.

I profumi, all’inizio composti, ma già titillanti - ah, il Titilla privè - corrono lungo una traiettoria che contempla un riuscito mix di giovinezza ed evoluzione, se preferisci, fascino conferitole dalla maturità, ma nulla a che fare con (dis)attitudini attempate, piuttosto che sfiorite. Frutta secca e gialla – pesca e albicocca –  cioccolato bianco e scorza di cedro confit, gocce di miele e nocciola tostata. Tanta roba, “accesa” da un costante e crescente spaccato gessoso, che impenna…il naso.

In (di?) bocca ci sa fare, de put@ madre, grazie a effervescenza sottilissima e cremosità conturbante. Lo Chardonnay garantisce alti livelli di freschezza, qui maggiormente premiata, rispetto al profilo, leggermente più evoluto, del naso. Proprio il determinante contrappeso dell’acidità, disegna un palato compatto, stratificato e “in movimento”.
Resta integra, fino alla fine, la rispondenza gustolfattiva, con un’ascendente trama gessosa, trafitta da persistenti nuances fungine e tostature di pregio.

I cugini la chiamano maîtrise - padronanza, maestria – classe, per estensione, aggiungo io, da una tipa giovane, ma già esperta, con quella esuberante freschezza, in piena progressione, che ce la consegnerà, tra qualche anno, più scaltra e maîtressedel terzo peccato capitale.


Immantinente, ricorro al “rendimi casto, ma non subito” di Sant'Agostino.

Ivrea prima della battaglia delle arance

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Curiosa esperienza -quella del giorno prima- per chi non conosce le abitudini degli indigeni. Eporediesi si chiamano, ed amano prendersi ad arance in faccia, alla faccia del Carnevale. Il giorno prima il set è così, pronto per la rissa, La battaglia deve ancora cominciare, si rischia poco oggi, mentre i proprietari degli edifici lungo il percorso della sfilata battagliera, hanno pensato bene di proteggere il lavoro dei decoratori con enormi reti, dove non è raro trovare incagliato qualche passante, finito nella nassa.

Chiese, palazzi, abitazioni, negozi, vetrine, parcheggi ... tutto quanto protetto da altissime reti, a limitare i danni da spremuta violenta da arancia meccanica. Ma oggi si rischia poco, salvo farsi tentare dagli improvvisati -ma nello stesso tempo organizzatissimi- spacciatori di hamburger e  panini con la porchetta ... e no, non ci avrete, perché ad Ivrea c'è sempre il Blu Pum degli Scabin, con novità.







Reti altissime per limitare i danni ...


Dietro la rete di protezione, non facile da evitare per non fare la fine delle triglie, c'è il Blu Pum rinnovato, non tanto nell'aspetto o nell'arredamento, ma nella struttura della gestione, ora in mano solo agli Scabin, senza i vecchi soci, e rinnovato nella proposta di mezzogiorno, più agile e servita nella parte alta del locale, mentre la carta più ampia della "trattoria", a parte il sabato, è riservata al servizio serale. Certo, impossibile non fare riferimento a ciò che Davide e Barbara hanno subito di contraccolpo dopo l'uscita dell'ultima Michelin. Un solo commento trapela " Così hanno aperto la gabbia al leone". 


A pranzo va orgogliosamente in scena la gustosa e vivace cucina ignorante




Profumato, certo, ma anche molto secco e dalla freschezza acida prorompente

La buonissima zuppa di cipolle e salame di patate

Esemplare insalata greca

Saturanti costine di maiale al sugo di pomodoro e peperoni su polenta arrostita

Intensa anche la zuppa di cotenne, testina e legumi ...

Tre pezzetti, solo tre, ma tutti ottimi, con toma delle Valli di Lanzo in evidenza

Finezze con il caffè

Qui le mosche non sono ancora sparite

30 euro a testa ... ci sta ...

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Ufficio oggetti smarriti

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del Guardiano del Faro




A pensarci bene non ce ne sono molti di oggetti che si possono dimenticare facilmente al ristorante. Le chiavi della macchina no, se no come te ne vai. Quelle di casa neppure, perché le lascio in macchina. L'auto neanche, se ti ricordi dove l'avevi parcheggiata. L'ombrello si, ma solo se durante il pranzo ha smesso di piovere. La giacca neppure, perché se no dove lo infili il portafogli dopo aver sistemato il conto. Il telefono? Beh, quello si, ma appena te ne accorgi sai dov'è, e quindi ritorni a recuperarlo. Le Signore rischiano molto di più, perché andando in bagno a lavarsi le mani, alcune hanno l'abitudine di posare sul lavandino anelli ed orologio ... ahi ahi ahi ...

Elena, proprietaria della Trattoria Guallina
Tra le mie disattenzioni, la più fastidiosa fu targata Pinerolo, dal Maurilio Garola della Ciau del Tornavento, dove dimenticai una valigetta 24 ore piena di documenti. Vabbè, poco male; ci tornai 24 ore dopo a mangiare un altro paio di piatti, proprio per non girare a vanvera 48 ore. Volendo individuare l'oggetto più dimenticato non ci sono comunque dubbi: sono le sciarpe le più smarrite.

Alla presentazione dell'ultima Guida Touring a Milano, vengo avvicinato da una gentile signora che esordisce così: scusi, lei è il Guardiano del Faro?Anche ... mi dica... Sono Elena della Trattoria Guallina di Mortara... sette-otto anni fa ha dimenticato nel mio ristorante uno spolverino. Ah, e posso tornare a riprenderlo?Non so, dipende se lo ritrovo ...Apperò, proprio sfigato quello spolverino, abbandonato e nuovamente smarrito.


L'ampia scelta alla carta, con in evidenza i prodotti dei Presidi Slow Food

Smarrita è rimasta anche quella recensione, scritta a suo tempo sul forum del Gambero Rosso, ma finita dentro lo sciacquone della memoria digitale di quel sito. E' quindi venuta l'ora di chiudere il cerchio: tornare nella campagna pavese, in Lomellina, poco fuori Mortara, alla Trattoria Guallina, alla ricerca dello spolverino smarrito nel 2008, ma soprattutto per ricominciare un altro gioco dell'oca.



La sala principale

Notevole la carta dei vini, per numero di etichette e per profondità di annate.
Molta Italia, con particolare attenzione ai territori circostanti, ed uno sguardo alla Francia con focus sulla zona di produzione del Sauternes, vino d'elezione per l'abbinamento con il foie gras, ma se per esempio, volete farvi servire una verticalina di Masseto ... Beh, questo potrebbe essere il posto giusto

Un profumato e coloratissimo Cruasè dall'OltrePo

Culatello di Zibello strepitoso

Vitovska di una decina di anni di maturazione.
Orange wine da tutto pasto

Delicata crema di ceci, gamberi scottati ed erbette

L'intenso patè d'oca maison

Le sarde in saor, piatto che sta -giustamente- tornando "di moda" in molte trattorie del nord Otalia

Appagante rognone di vitello al Marsala con porri stufati

Sfiziose scaloppine di foie gras caramellizzate all'Armagnac

Il robusto raviolone di erbette e ricotta, tartufato e condito con burro noisette ...

... con sorpresa di tuorlo d'uovo

Quattro formaggi di grande personalità ...

... da abbinare con un ottimo Marsala

Mousse al cioccolato, giustamente poco dolce e molto soffice

Piccola pasticceria maison




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La Guida Vini che vorrei

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Mi è successo alcune volte di essere stato il primo ad entrare in un nuovo ristorante, quindi senza essermi avvalso di una Guida per arrivarci; ma non mi da neppure fastidio arrivare dopo, se ne vale la pena, anche quando il tovagliolo non è più immacolato.

Quando entro in un ristorante -tra i convenevoli d'abitudine- ho l'abitudine di buttare un occhio in giro per verificare se esiste un angolo libreria, oppure una postazione web.

Un'altra cosa che faccio come un tic, se questo è a vista, è sbirciare il librone delle prenotazioni -quasi sempre sponsorizzato da Ca' del Bosco-  per sapere se ci sarà compagnia in sala, e anche per intuire come andranno realmente le cose nei giorni successivi o se c'è stato movimento nei giorni precedenti, al di là dei buoni propositi del proprietario.

E' importante sapere se il ristorante lavora veramente o fa solamente 80.000 click dove è stato spinto allo sfinimento, inutilmente, e magari a pagamento.

Normalmente, l'angolo libreria, è scarsamente fornito di libri di cucina, e quando ci sono, sono quasi tutti di famosi chef francesi. E' pure evidente la quota importante di edizioni di diverse guide, sulle quali domina -quando il ristorante vi è recensito- la Guida Michelin. Sono quasi sempre almeno cinque le edizioni esposte, quando non di più.

Entrando in una piccola cantina, o in un'azienda vitivinicola di medie dimensioni, non essendovi libroni Ca del Bosco ... per le prenotazioni, ma solo -quando c'è- una lista privata degli appuntamenti del giorno, ho ancora più tempo, tra un bicchiere e l'altro, di osservare quale siano le letture preferite dei proprietari o di chi ci lavora per loro.

Le letture più gettonate qui sono abbastanza diverse, nel senso che sono i giornali e le riviste di vino a dominare la scena; con, in evidenza, le testate che hanno parlato in epoche più o meno recenti dell'azienda in questione. In seconda battuta ecco splendide opere editoriali, questa volta non francesi ma prioritariamente in lingua inglese. E le Guide.? Beh, non è che se ne vedono molte. Normalmente non più di tre, che possono essere quella del Gambero Rosso, quella de L'Espresso e quella del Touring, nell'ordine di presenza quantitativa per quanto concerne la mia privata statistica.

Cosa vorrà significare ciò? Bha, forse che i produttori preferiscono leggere dei bei racconti di persone che fanno il vino? Il tutto corredato da belle foto, e dove la noiosa parte tecnica rimanga assai marginale.


Per l'utente il punto di vista è ancora diverso, perché, se è vero che esistono ancora bevitori che vogliono essere rassicurati, credo che la maggior parte voglia scoprire vini che parlino di persone e di terroir, non importa con quale classificazione numerica. Prioritario oggi è il prezzo e una storia da raccontare, con un minimo di scansione tecnica, per i neofiti, necessaria.

A me, sui temi della tavola, l'editore chiede cose nuove e democratiche, mettendo in un angolo privilegiato i top, che nella ristorazione sono quasi sempre proporzionati alla qualità complessiva espressa nel piatto e del prezzo esibito in conto.

Per il vino è diverso. In casa ci portiamo un flacone ben confezionato, con dentro un liquido idroalcolico da cui aspettarsi una qualità conforme al prezzo, da versare nel tuo bicchiere, senza margini di allure dato da ambiente o servizio. Spesso non è così. Una bottiglia da 200 euro o più può deludere ben più di una cena di pari prezzo al ristorante.

Un Aston Martin usata ti interessa ancora?


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Sono sparite le mosche

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Se andate a Parigi, non potete trascurare una gita fluviale sulla Senna a bordo di un “bateau-mouche”. È forse l'accostamento più nobile per la fastidiosa mosca, frequentatrice di deiezioni pregne di coliformi fecali, famosa per aver provocato l'antica proverbiale pazienza di Giobbe con l'incessante posarsi sul suo naso. Essa è anche protagonista di un film del 1986, La mosca di David Cronenberg, che vinse l'Oscar al miglior trucco nel 1987. 

E giocare a mosca cieca? Oppure ai similari acchiappino o nascondino? Per puro caso è anche il nome della capitale della Russia, ma Mosca era in origine un villaggio che prese la denominazione dal fiume che anticamente la lambiva, la Moskvà.

Non contenta degli immeritati risultati ottenuti, la mosca (simbolica), certamente non per merito suo ma grazie a qualche umano disinvolto o addirittura incosciente, è sbarcata nell'Olimpo delle bevande tuffandosi nella Sambuca, un liquore sciropposo a base di anice stellato e distillato di fiori di sambuco. 

La solita leggenda risale agli anni della “Dolce vita” in un bar di Via Veneto a Roma, ove un buontempone gettò qualche chicco di caffè nella Sambuca del vicino, gridando alla mosca nel bicchiere. Prendiamo nota che ormai è un rito amato da molti estimatori di questo liquore, riscontrando che sono altrettanti coloro che correggono il caffè con la Sambuca in un simbiotico matrimonio.



Ma in agguato vi sono i venditori di cialde pronte, da usare con macchine appositamente prodotte, che inibiscono l'utilizzo tradizionale del macinino che frantuma ad hoc i chicchi profumati, che amerebbero fare, a richiesta, anche le mosche in un bicchierino di Sambuca.

È una moda che sta prendendo piede velocemente, lasciando delusi e costernati i richiedenti della Sambuca con mosca. Ma c'è un vantaggio. Se nei locali sprovvisti di macinino da caffè, notate nella minestra un esserino scuro, siete certi che è una mosca vera o qualcosa di similare. Ma purtroppo piove sul bagnato, in quanto anche per gli amanti del caffè corretto Sambuca, c'è per loro la novità sconvolgente di cialde al caffè aromatizzato sambuca (esse minuscola, sic), ma consolatevi, è all'aroma naturale. Sicuro?
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Castelbufalo vince al Festival

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Franco Moris con il suo fantastico Castelbufalo

Tra le tante bufale che si aggirano nei dintorni dell'Ariston questa è decisamente la migliore. Molte quelle che sono scese da Cuneo, ma quelle di Franco Moris non le batte nessuno. Ne avevo già parlato qui, ma di mozzarelle di bufala buone, in Italia ce ne sono diverse, e non necessariamente campane, anzi, quelle di Caraglio non sono seconde a nessuno, e perfino tipicamente prealpine.

La filiera, al caseificio Moris, consente di fare ogni cosa con bufale e bufali, anche tentare un esercizio virtuoso come questo, e cioè "inventare" il Castelmagno di bufala. Diversi gli esperimenti, diversi i tentativi andati a vuoto, e poi finalmente questo, da latte di bufala di Caraglio lavorato in loco e poi portato a stagionare lassù, in alta valle, a Castelmagno, per 19 mesi

Il risultato ricorda le migliori edizioni del festival del Castelmagno, quelle degli anni '80 e '90. quando la stagionatura paziente consentiva al formaggio di prendere almeno cinque sfumature di colore e di sapore, e soprattutto non diventare gessoso come siamo, ahinoi, abituati alla contemporaneità di questo grande formaggio piemontese, mediamente molto sceso di qualità negli anni 2000.


Cari amici cuochi e ristoratori piemontesi e liguri. Fatevi due passi a Caraglio,  e andate a provare questi formaggi. Il Castelbufalo vale il viaggio, finché ne resterà, di quelle poche forme prodotte, e che il gentile Franco Moris mi ha consentito di assaggiare nel suo punto vendita Sanremese, a 20 metri dall'Ariston: scelta vincente. Nulla è come sembra, neanche Dolcenera il giorno dopo, invece questo è proprio tale e quale.

Stavolta voglio spaziare tra robiola e scamorza ... 

... il mio abbinamento trasversale, che sa di pastorizia, e di carta ig

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Mouzon Leroux & Fils Champagne Grande Réserve Extra Brut s.a.

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Quando non conosco una maison– ahimè, sono tantissime – mi aggrappo all’etichetta. Raramente, una truce, custodisce un buon nettare; più verosimilmente, quella essenziale, mai pacchiana, riserva belle sorprese. Non è una regola, forse è culo ma, fatte salve le eccezioni, spesso funziona.

Prima ho bevuto, assai bene – è il loro base – appuntando 4 note in croce, poi ho cercato il sito - bello e sintetico, senza orpelli, interessante da sfogliare - che ti suggerisco di sbirciare.
Vignerons de père en fils depuis 1776, questo l’esordio sul web. L’azienda – in conversione biodinamica dal 2008 - ha sede a Verzy, comune Grand Cru, dove coltiva, divisi su 100 parcelle, 8 dei 10 ettari di proprietà – i restanti sono in altri tre villaggi vicini – nei quali figurano, oltre ai vitigni classici, anche ceppi delle vecchie varietà champenoise: Arbanne, Pinot Blanc, Petit Meslier e Pinot Gris.

Questo è 30 Chardonnay e 70 Pinot Noir, vendange 2008 al 65%, 35% vini di riserva degli anni che vanno dal 2005 al 2007, quattro anni sui lieviti, dosaggio a 2,5 gr./lt., dégorgement aprile 2013.

Tanto il naso, quanto il palato, non sono irrobustiti, nè appesantiti dalla bacca nera che, pur essendo maggioritaria, non picchia come un fabbro ferraio, giacchè il suolo di Verzy offre più garbo che muscoli. Dunque, tanta eleganza, unita alla freschezza, ai fiori bianchi, alle sensazioni agrumate, alle note della fragolina, del lampone e del ribes.


Signorilità e generosità, che ritrovo all’assaggio, con l’innesto della texture minerale, che conferisce ulteriore seduzione ad un sorso, la cui complessità e profondità superano, di gran lunga, un aperitivo disimpegnato.

Speciale Cannavacciuolo in 20.000 battute

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Premessa: Voi che leggete (eufemismo) un blog col telefono, siete esonerati dal compito.


Dice: ma sei impazzito? Un post di 20.000 battute? Ma non hai proprio un cz da fare?

Ecco, appunto, no, si, non lo so. In realtà a gratis non faccio più nulla. Si, ma, su questo special di sei articoli ci lavorai abbastanza, almeno due ore, ma l'avevo fatto su commissione, non per passione, su ordinazione, fattami, poi a pezzi, da un editore che in seguito non si è più fatto vivo.  Le virgole sono gratis.

Missing, lui e la pubblicazione dell'articolo. Non è il primo, non sarà l'ultimo. Sai com'è, loro sono Tecnici, non etici. Neppure "etnici", termine che farebbe anagrammare le lettere, fossero pure mescolate, anche se mai bonificate.

"Mi prepari uno special su Cannavacciuolo? ..." Pronti!" Lo avrei fatto su Marchesi, o tutti e due, ma Tonino sembrava tirasse di più lo scorso autunno; invece pure l'altro non ci ha fatto mancare qualche pensiero degno di rilievo l'altro giorno.

E allora? Che fare? Buttare tutto nel cesso? No, mi riprendo le bozze e mi metto in scia alla straordinaria performance Sanremese del Tonino nazionale.

In mezzo a uova troppo sode o barzotte ed a evaporazioni saline anche a me sono evaporati tanti concetti fuori onda.

Meglio -comunque- lui, piuttosto di una necessità di Pronto Soccorso senza fiori, pieno di persone che sotto i diluvi di questi giorni - che non avete visto in tv - hanno preso scivoloni peggiori, e passando mezza giornata in Ospedale a sanremo -in minuscolo- in attesa di un responso.




Appoggio tutti i contenuti qui, così che non vadano a disperdersi sulla scogliera. 

Green Peace, se mi becca, mi fa un pippa. Ne ho una scogliera piena di bottiglie rotte e scoglionate.

N.B. Il tutto era stato scritto -per un sito generalista- alla fine di ottobre 2015, quasi quattro mesi fa, quindi qualche variazione e qualche aggiornamento andrebbe fatto nei confronti dei contenuti dell'originale, che è questo, questo bozzone senza unghie a farlo esplodere e, neppure corretto, come chi prende in giro gli autori e chi ha bisogno di soccorso. E smettiamo di chiamarlo "Pronto".

Non c'è mai pace tra gli ulivi.




Lo special di ottobre 2015 mai pubblicato, quindi, inedito
Foto, invece, di repertorio.



PROFILO DI CHEF : ANTONINO CANNAVACCIUOLO

Come si forma un vero chef di cucina

Chef! Termine tra i più usati e più abusati dai media e da chiunque apra un dialogo sui temi di cucina, ma in realtà chi è e cosa fa un vero chef ?

ORTA SAN GIULIO - Si sa presto a dire chef, termine che arriva dritto in mente, essenziale, diretto, evocativo. Si, ma: chi è e cosa fa un vero chef di cucina? Tanto per cominciare un vero "capo cucina" non è neppure sempre quello che cucina, ma bensì quello che comanda le operazioni, che dirige, che coordina. In una sola quanto efficace forma lessicale, quella utilizzata con maggior costanza dal Maestro Gualtiero Marchesi, uno chef di cucina è un direttore d'orchestra. E quindi per essere uno chef, così come un direttore d'orchestra bisogna potersi permettere di disporre di parecchi orchestrali, di una vera brigata di cucina, se no stiamo parlando di un cuoco, di un cuciniere, e non di uno chef. Ma come si diventa un bravo, o eccellente direttore d'orchestra?

LA SCUOLA - Senza studi e di conseguenza senza cultura è assai più difficile crescere intellettualmente, anche se nel mondo dell'alta gastronomia i casi di grandi chef di cucina arrivati al top partendo da autodidatti non sono affatto rari, ma andando a scavare nelle storia di questi talenti puri scopriremo che anche loro hanno avuto incontri, esperienze e studi proprio che ne hanno marcato indelebilmente la carriera, mentre nel caso di Cannavacciuolo il percorso a tappe è stato quello più classico, quello che gli ha consentito di crescere gradualmente, raggiungendo ormai il vertice, partendo proprio da una scuola alberghiera, quella di Vico Equense, dove Antonino nacque il 16 aprile 1975.

LE ESPERIENZE FORMATIVE - Lo studio è una cosa, ma la pratica è ben altro, e nel caso dello chef campano si è trattato di una pratica ad altissimo livello, all'interno di due istituzioni della cucina francese, una classica ed una più contemporanea. Stiamo parlando del mitico Auberge de L'Ill della famiglia Haeberlin, ristorante sperduto nella campagna alsaziana che vanta le fatidiche 3 stelle Michelin, quindi il massimo riconoscimento in campo culinario, addirittura dal 1967. L'altra esperienza formativa di altissimo livello, Cannavacciuolo l'ha affrontata sempre in Alsazia, ma stavolta in città, a Strasburgo, nel bellissimo padiglione vetrato che conteneva il raffinatissimo Buerehiesel di Antoine Westermann, innovatore della cucina tradizionale alsaziana già dalla metà degli anni '80. Di ritorno dall'Alsazia, la successiva tappa "educativa" fu una specie di ritorno a casa, su di un'isola tra le più belle del mondo: Capri. Qui, al Grand Hotel Quisisana, nel periodo in cui le cucine erano governate da Gualtiero Marchesi, Cannavacciuolo ritrovò i profumi di casa, e probabilmente cominciò a pensare ad una cucina trasversale, che potesse unire il nord e il sud, avendo fatte proprie le tecniche e il rigore della cucina francese, applicabili con giudizio ai prodotti del Mediterraneo.

TRA IL DIRE E IL FARE - Anni ed anni a coprire ruoli diversi nelle cucine di altri chef, ma poi che succede quando arriva il momento di "comandare" e non di eseguire? Un vero chef di cucina deve avere polso, carattere, fisicità, voce, idee, capacità di comunicazione, ma soprattutto deve dare l'esempio, dimostrandosi autorevole più che autoritario. Così facendo la brigata seguirà il suo capo senza battere ciglio, perché sa di essere in buone mani. Un capo che deve anche essere un poco psicologo, perché badare a dieci, venti o più cuochi, significa conoscerne il carattere, le attitudini e i limiti, sistemando il personale nel ruolo che più gli si confà, così come farebbe un allenatore di calcio impegnato a posizionare i suoi giocatori a seconda delle propensioni naturali. E se in cucina ne arriva uno molto bravo, non temendo la concorrenza, anzi, lasciando correre il cavallino di razza, facendosi per un attimo da parte, limitandosi ad osservare i piatti prima che il cameriere arrivi e se li prenda, per portarli davanti al giudice supremo : il cliente.




Costruzione di un carattere e di uno stile di cucina

Si può essere compositore, interprete o esecutore, sia in musica che in cucina, o tutte le cose in una, non importa, l'importante è il risultato

ORTA SAN GIULIO - La più grande cantante italiana, Mina, pare non abbia mai o quasi mai scritto le parole o la musica delle canzoni che canta o che cantava, diventando ugualmente un mito della canzone italiana. Alla stessa maniera, un grande chef affermato non deve essere per forza anche un creatore di nuove ricette, ma può tranquillamente limitarsi ad interpretare o semplicemente eseguire quanto già esistente sui ricettari, "limitandosi" a cercare l'anima di una preparazione, partendo dalle migliori materie prime, trasformandole utilizzando le tecniche più opportune, arrivando finalmente alla migliore esecuzione di una ricetta classica. Di solito è meglio cominciare così, e con gli anni sperimentare gradatamente nuove tecniche, modificando ricette, cercando di raggiungere la sintesi, la purezza, l'essenza, la bellezza e la bontà assoluta di un piatto.

DUE VOLTE AL GIORNO - La difficoltà di realizzare o codificare un piatto che rasenti la perfezione non è però il principale ostacolo per lo chef abile ed ambizioso; la complicazione primaria è farlo più volte sempre al meglio -uguale è impossibile- diverse volte durante un servizio, e tutto quanto due volte al giorno. Proprio per questo è importante che la presenza dello chef in cucina, o di chi lui ha delegato al ruolo, sia continua ma non assillante. Prima del servizio ci si assicurerà che ogni capo partita abbia preparato la propria "linea", di qualità e quantità congrua, così che quando sarà il momento di mettere in scena lo spettacolo, strumenti e musicisti siano nelle migliori condizioni per cominciare quella che deve essere paragonata ad una rappresentazione teatrale che mai sfoci nel dramma o nella tragedia.

VICO EQUENSE ORTA SAN GIULIO COAST TO COAST - Cost to cost, nei primi anni di carriera, a partire dal 1999, quando Cannavacciuolo prese in mano le redini -insieme alla moglie Cinzia Primatesta- del Villa Crespi di Orta San Giulio, l'influenza del sud era visibilmente marcata nei suoi piatti, ed è naturale che questo accada, specialmente a 24 anni, quando, anche se qualcosa hai già visto al mondo, ma non abbastanza da poterti discostare con sicurezza dai profumi e dai sapori che meglio conosci. Ma uno chef di successo, lo diventerà ancor più facilmente, ed in meno tempo di altri, se avrà il fiuto o la fortuna di incontrare collaboratori di qualità, di personalità e di stile; tutte doti che andranno gestite e non represse, per il bene dello chef e del suo ristorante, che comincerà a crescere di livello, e dove i piatti possano pian piano definirsi e rendersi riconoscibili da quelli che si possono mangiare altrove. E' nata così, nel tempo di tre lustri, una cucina trasversale che non ha paura di gemellare il sud ed il nord, tagliando idealmente l'Appennino, congiungendo prodotti, sapori e profumi che prima appartenevano al Piemonte o alla Campania, mentre ora si sono fusi ed armonizzati in piatti che riuniscono non solo i caratteri di regioni così diverse, ma delineano quello che è uno stile di cucina propria, quella che si definisce "cucina d'autore", quella che si declina attraverso piatti che sono dei "signature dish", i piatti simbolo, quelli che al primo sguardo dell'appassionato non saranno riconducibili a nessun altro se non al suo autore.

UNO STILE PERSONALE - Cannavacciuolo è credibile ora più che in passato, ovviamente per la naturale maturazione di un uomo, ma anche per via di una maniera di porsi naturale, perché oggi per avere successo è indispensabile dimostrare di avere stile, maniera, fisicità, look e altri accessori costruiti ad arte ed utili a diversi scopi, ma il suo successo, anche mediatico, è principalmente dovuto alla sua naturalezza. Insomma, la sensazione è che sia proprio così e non interpreti una parte. Se entrassimo senza preavviso nella cucina del Villa Crespi, probabilmente lo sorprenderemo mentre spiuma piccioni o pulisce una cassetta di calamari, mentre venti cuochi gli girano intorno, a loro volta impegnati in mille compiti diversi. La famosa pacca sulla schiena arriverà come conseguenza all'intrusione, ma accompagnata da un saluto con accento napoletano e con un sorriso accennato, così come siamo abituati a vedergli fare in televisione, ingannevolmente minaccioso. L'apparire burbero ma non esserlo ha fatto si che ogni fascia di età si possa riconoscere nel gigante buono e protettivo, infine amichevole, ma di carattere, così come i suoi piatti, comprensibili perché ricchi di sapore e di carattere.



Un volto ed un fisico per la TV e la pubblicità

Il caffè, il gorgonzola, Cucine da Incubo e Master Chef. Come condividere pubblicità e televisione con il management di almeno tre ristoranti?

MILANO -A metà dicembre andrà in onda la quinta edizione di Master Chef, dove Antonino Cannavacciuolo affiancherà i tre giudici delle precedenti edizioni : Carlo Cracco, Joe Bastianich e Bruno Barbieri. Tutto quanto è già stato registrato la scorsa estate, e nonostante qualche cavillo contrattuale, tutto dovrebbe essere già stato montato e messo a disposizione per l'inserimento nel palinsesto di Sky. Sempre in dicembre, lo chef campano sarà impegnato nelle registrazioni dell'altro programma, quello che lo vede invece protagonista a risanare improbabili gestioni di Cucine, appunto, da Incubo. Come conciliare questi impegni con gli impegni di cucina?

CAFFE' E GORGONZOLA - Intanto sarebbe interessante spiegare come si può arrivare ad ottenere ingaggi ben remunerati nel settore televisivo e in quello legato all'advertising. Un tempo i grandi chef si dedicavano unicamente al loro ristorante, dove sostanzialmente vivevano come reclusi, non occupandosi di altro, a difesa di onori e sopportando gli oneri. Al massimo potevano fare una comparsata -come ospiti- in una trasmissione televisiva, gratis e una tantum, mentre i più famosi potevano fare qualche soldo promuovendo un prodotto sui media. Da quel tempo le cose sono parecchio cambiate, anche grazie alle agenzie di pubbliche relazioni, che sono in grado di creare una rete di contatti che daranno origine ad un tourbillon di comunicazione mirata alla costruzione di un personaggio, definendone i contorni, plasmandone i contenuti, innalzandone la reputazione, mettendolo infine al centro di un progetto, di solito ben pagato. Degli impegni televisivi si è detto, e sono quelli in buona sostanza la causa della chiusura prolungata del Villa Crespi, perché, per quanto difficoltoso da conciliare con i mille impegni, Cannavacciuolo ci tiene molto a garantire la sua presenza nelle cucine della Villa, motivo per il quale la chiusura annuale della Villa viene spesso prolungato oltre i motivi legati al clima invernale sul Lago d'Orta, anche a scapito degli incassi, evidentemente ben compensati dagli introiti alternativi.

LA FACCIA E IL FISICO - Più lo conosci, più ti piace. Slogan perfetto, che identifica un prodotto con il suo testimonial, anche se Antonino è campano e il formaggio gorgonzola piemontese o al massimo lombardo. Comunque sia, grazie a quella faccia da falso burbero e a quell'espressione un po' monella, la convinzione che quel formaggio sia il tuo prossimo acquisto alimentare si farà largo in fretta nella mente dei più, e in maniera di nuovo trasversale, come la sua cucina. Anche l'effetto sorpresa aiuta, perché mentre ti aspetteresti di vederlo alle prese con una mozzarella di bufala campana te lo ritrovi a promuovere uno dei formaggi simbolo del nord, che possiamo immaginare ora molto più venduto anche al sud. Sul caffè il gioco di ruoli è invece diverso, avendo il creativo voluto evidenziare un dualismo, una estrema diversità già nel fisico dei due protagonisti, e tra la cucina rassicurante e concreta di Cannavacciuolo con quella a tratti visionaria e surreale di Ferran Adrià, ma dove il punto di incontro arriverà al momento di prendersi un caffè, magari insieme allo chef, nel giardino di Villa Crespi, mentre passanti entusiasti bloccano l'auto, scendono ed entrano dal grande cancello domandano se è possibile farsi fare un autografo dal celebre chef, che vuole essere popolare anche al momento di un caffè, evitando volutamente di utilizzare le micro produzione artigianali di guru della torrefazione, che di benefici ne porta solo a loro stessi.



Villa Crespi, una storia di alta cucina italiana

Risale al 1879 la costruzione di questa dimora, che solo oltre un secolo dopo fu trasformata in un albergo con annesso ristorante.

ORTA SAN GIULIO - La storia di questa curiosa e originale struttura è abbastanza nota, soprattutto le origini e le motivazioni che generarono un sogno diventato realtà. In dettaglio, Villa Pia, nome originale della villa, fu fatta costruire dal grande industriale tessile lombardo Cristoforo Benigno Crespi, che in seguito la dedicò alla moglie Pia Tavelli. La villa, commissionata all'architetto Angelo Colla, è conforme allo stile Moresco, come fosse un ricordo di viaggio, e destinata ad un utilizzo stagionale, come residenza estiva o per ospitare amici e clienti della famiglia Crespi, che rimasero proprietari dell'edificio fino al 1929, nove anni dopo la morte del fondatore, che se andò alla bella età di 87 anni, godendosi a lungo la sua Villa Pia.

L'EPOCA DI MEZZO - Fu la famiglia Fracassi a subentrare, esattamente 50 anni dopo la costruzione della villa, epoca nella quale la villa diventò meta di aristocratici, poeti, letterati, artisti, politici ed industriali, fino a ricevere Sua Maestà Re Umberto I di Savoia. La seconda guerra mondiale non poteva che portare cambiamenti importanti, quando non devastanti, e anche qui le cose cambiarono, ma alla fine del conflitto mondiale. Nel 1945 la villa passò di uovo di mano, anche se solo per quattro anni, periodo nel quale appartenne alla famiglia Cardano. Il seguito della storia diventa abbastanza opaco. Nella villa si insediarono i Comitati Civici, organizzazioni finalizzate all'educazione e alla mobilitazione civico politica del cattolici in Italia. In seguito o quasi di conseguenza, Villa Crespi divenne un centro di spiritualità, collocata così vicino al Sacro Monte di Orta da sembrarne quasi un logico prolungamento.

HOTEL E RISTORANTE - L'edificio comincia a trasformarsi internamente ed a essere restaurato esternamente -dopo anni di degrado- tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 , quando un avvocato campano ne li rilevò la proprietà e diede il via ai restauri, e in seguito ne concesse la gestione alla famiglia Bacchetta, il cui chef, Natale, deteneva già una stella Michelin nel ristorante Atrium di Borgomanero, stella Michelin confermata anche a Villa Crespi, che dalla metà degli anni '90 poteva quindi offrire una tavola stellata, sei camere ed otto appartamenti di lusso, compatibilmente con la complessa conformazione di scale, porte, muri e soffitti. Villa Crespi resterà una tavola stellata fino all'edizione 1998 della Guida Rossa.

LA FAMIGLIA PRIMATESTA - Nota famiglia di albergatori della zona, e anche proprietari dell'Hotel Approdo di Pettenasco, un delizioso albergo "les pieds dans l'eau", posizionato direttamente sulla sponda sinistra del Lago d'Orta, a pochi chilometri da Villa Crespi, che la famiglia rilevò, restaurò nuovamente, e mise a disposizione di Antonino Cannavacciuolo (anche marito di Cinzia Primatesta)  a partire dal 1999. Cannavacciuolo aveva solo 24 anni. La responsabilità sembrava eccessiva, ed in effetti anche il Bibendum fu prudente, cancellando la Villa nell'edizione 1999 della Guida e facendola rientrare con le tre forchettine rosse nel 2000. Ci vollero altri anni prima che la Michelin ricompensasse nuovamente Villa Crespi di una stella, nell'edizione 2004, aggiungendo la seconda tre anni dopo, nell'edizione 2007. A coronare il sogno, arrivò anche un plus assai prestigioso, e cioè meritare di entrare nell'esclusivo club associativo Relais et Chateaux (2012), in attesa, incrociando le dita, delle ormai meritatissime tre stelle Michelin.



Il Boscareto Resort, lusso e voluttà tra i vigneti delle Langhe

La proficua consulenza di Cannavacciuolo ha felicemente "esportato" lo stile di cucina trasversale dello chef campano anche tra le colline vinicole più prestigiose d'Italia.

SERRALUNGA D'ALBA - I primi giornalisti che arrivarono qui furono colti di sorpresa da tanto ardire architettonico, soprattutto perché "tanto osare" venne messo in opera in una regione, in uno distretto enogastronomico dove la tradizione si è sempre opposta agli eccessi della modernità. Forse si aspettavano un Castello Sabaudo sobriamente messo in condizione di sopportare il nuovo millennio, oppure una signorile villa dell'Ottocento, o ancora, un palazzo del Settecento, ma come primaria possibilità, un edificio rurale trasformato in Relais di campagna. Niente di tutto ciò, e quindi i pareri e le opinioni si spaccarono prevedibilmente in due. Ma, superato lo choc dell'esterno, che come tutte le esteriorità va approfondita, i primi fortunati che entrarono in questo resort aperto nel 2009, si resero conto di quanto fosse più importante il contenuto del contenitore.

UN PROGETTO AMBIZIOSO - Il Boscareto Resort è da subito identificabile in un bellissimo albergo cinque stelle lusso, di proprietà della famiglia Dogliani, ed è collocato su di una collina vitata a Nebbiolo. Da qui si gode di una vista estesa sulle Langhe, e anche oltre, nel mezzo del silenzio assoluto, dove la giornata può trascorrere serenamente tra la zona colazione, il bar, la SPA e la piscina, dopo essere scesi da una delle 38 camere o suite arredate ton sur ton con materiali di pregio come l'acero tinto. Lavabo in cristallo e vasca idromassaggio indicano chiaramente uno standard haute de gamme, salendo di livello, potendosi o volendosi permettere qualche notte nella Silver Suite, Gold Suite o Platinum Suite.

IL RISTORANTE LA REI - All'interno di un simile albergo non poteva mancare un ristorante di assoluto rilievo, che completasse l'offerta in maniera congrua e coerente, e così, nell'ampia e moderna sala, dalla cucina parzialmente a vista, iniziarono da subito ad uscire piatti che potessero collegare il luogo con il suo circondario. Dapprima la consulenza fu affidata all'esperienza di piemontesi DOCG come la famiglia Vivalda dell'Antica Corona Reale di Cervere (ristorante due stelle Michelin), mentre da due anni è proprio una brigata che opera sotto la supervisione di Antonino Cannavacciuolo a reggere l'impatto con una clientela esigente, preparata sia sui temi enologici che gastronomici. Il ristorante può fregiarsi di una stella Michelin, quasi prudenziale tenendo conto dello raffinatezza dei piatti concordati tra Antonino Cannavacciuolo e il suo ex sous chef a Villa Crespi Pasquale Laera.

CUCINA IN EVOLUZIONE - La saggezza e la capacità di un grande chef si rivela anche nella capacità di lasciar fare, quando si rende conto di aver a che fare un bravissimo cuoco under 30, che partendo (nel 2013), dal riprodurre al meglio alcuni piatti che ben conosceva e che eseguiva a Villa Crespi, ha poi proceduto con giudizio in direzioni diverse, personalizzando con il passar del tempo la carta del ristorante del Resort Boscareto. Il pesce e i profumi del sud restano protagonisti, a fianco dei sapori piemontesi, ma del resto Pasquale è pure lui uomo del profondo sud, per la precisione pugliese di Putignano, e quindi conosce assai bene i prodotti del mare e di quelle terre. Ovviamente, anche qui a La Rei, il servizio e la carta dei vini sono coerenti a tanto lusso e voluttà, e non potrebbe essere diversamente, tra un "crudo di scampi, insalata di rape e burrata" ; o un "piccione, grano Senatore Cappelli e "Seiras dal fen" ... E' chiaro, anche qui la Penisola si accorcia e si taglia verticalmente, concentrata e francobollata in piatti connotati dall'evidente personalità degli chef Cannavacciuolo - Laera.



Novara, il nuovo Caffè Bistrot Cannavacciuolo

Quasi nessuno grande chef può ormai fare a meno di uno spazio bistrot, dove poter democratizzare la propria "alta cucina", semplificandola e rendendola disponibile ad ogni portafogli.

NOVARA -Una città gastronomicamente marginale, da sempre. Conta circa 100.000 abitanti la "piccola Milano" ma evidentemente scarsamente interessati all'alta cucina. Solo un locale degno della stella Michelin, da lustri, e perfino marginale alla città. Si chiama Tantris, originariamente collocato in frazione Lumellogno ed ora in località Vignale. Questo è ciò che offre la città quando parliamo di ristoranti degni di apparire con menzioni di rilievo nelle principali guide gastronomiche. Mettersi in gioco qui è una bella sfida, ma ad Antonino Cannavacciuolo non mancano certo le idee, le energie e i buoni contatti per riuscire nell'impresa. La sua capacità di fare squadra, di creare brigate alternative a quella di Villa Crespi è una prerogativa della sua personalità, quindi attendiamoci un periodo di rodaggio, e poi si valuteranno i risultati.

BISTRONOMIA -In giro per l'Europa se ne contano ormai moltissimi di questi locali, alcuni polivalenti, altri mirati e focalizzati con precisione su una cucina semplificata, ma originata da una matrice di gran pregio. A volte questi locali affiancano, anche fisicamente, la casa madre, quando questo è possibile, mentre nel caso di Cannavacciuolo, questo non è possibile, perché Villa Crespi non consente una doppia vocazione. Quei muri non si possono spostare, non si possono proprio toccare, e quindi la scelta è caduta su un edificio comunque storico, individuando nella cornice dello storico (ottocentesco) Teatro Coccia di Novara, la sagoma di una struttura dove inserire il suo concetto di "caffè bistrot", qui, in un Teatro che rappresenta uno dei principali monumenti dedicati alla lirica dell'intera nazione, tema che ritroveremo nella declinazione dei piatti in menù.

DIVERSI LIVELLI - Si può essere alla portata di tutti anche disegnando percorsi diversi per poi giungere ad una comune soddisfazione. In questo caso gli spazi, arredati modernamente con stile pulito e luminoso, si differenziano, come evidenziato nell'insegna, in spazio caffè e spazio bistrot. Come prevedibile, al piano terra si resta fermi al criterio di base di un moderno bar poli funzionale, dove servire cose semplici e dirette, ma senza dimenticare attenzioni oggi fondamentale, quindi rispettando i criteri vegani, vegetariani, o che salvaguardino i celiaci.

CANNAVACCIUOLO BISTROT - E' inevitabile, e ne abbiamo avuto riscontri in parecchie occasioni. Che cosa? Che un grande cuoco, anche se si impone il principio di appianare, di ridurre e di asciugare la sua esuberanza a favore di una semplificazione delle ricette e di conseguenza della sua proposta gastronomica, inevitabilmente con il passar del tempo tenderà -se ben supportato dallo staff- ad incidere progressivamente nella direzione che meglio conosce, quella dell'alta cucina d'autore. Qui la sua mano si vede, proprio la mano, decorata in calco su ogni piatto servito, che esce dalla cucina a vista, perché non c'è nulla da nascondere, neppure la "manona" dello chef imposta un po' a modo di firma nella decorazione delle ceramiche. Questo dettaglio, che ricorda la sua celebre pacca, ma che è lì anche forse per rammentare a tutti, clienti e dipendenti, che lui è lì con loro, per aiutarli a gestire una nuova avventura, tra i muri di questo palazzo, e quando il clima sarà un po' più clemente e la bella stagione si avvicinerà, anche nella bella terrazza del Cannavacciuolo Bistrot&Caffè.



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San Valentino: 19,90 tutto compreso

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I Lupercalia. Ecco l'antica origine dell'odierna festa di San Valentino. Furono gli stessi Romolo e Remo fondatori di Roma ad istituire secondo Ovidio una festività in onore del dio Fauno, dal 13 al 15 febbraio. Era anche conosciuto come Lupercus, protettore dei greggi di bestiame assaliti dai lupi, che possiamo presumere molto numerosi in quei tempi. Oltre ai riti sacrificali con animali erano previste anche corse di uomini e donne nudi, e si può solamente immaginare cosa poteva succedere appena raggiunta la meta. Qualche secolo più tardi un Papa di nome Gelasio abolì i lupercalia in favore della più casta celebrazione di San Valentino (vescovo martire), data la crescente conversione al cristianesimo delle popolazioni. Più tardi nel Medio Evo crebbe la visione romantica della donna in tutte la letteratura europea, con le italiane Beatrice Laura e Fiammetta muse ispiratrici dei nostri tre maggiori poeti/scrittori del trecento. E come non citare Giulietta e Romeo i “Valentino” per eccellenza, esaltati postumi nella tragedia di William Shakespeare, il perfetto dramma dell'amore carnale concluso tragicamente! Oggi le cose sono abbastanza diverse, con riti imposti dal più becero consumismo, con cibi che inopinatamente prendono forma di cuore, leggende metropolitane che rendono alcuni più afrodisiaci, senza tralasciare che, come a Natale si è tutti più buoni, a San Valentino si è tutti più innamorati. Nei miei radi ricordi “valentiniani” a causa della mia attività ce n'è uno che mi portò a Mantova, città dalle formidabili architetture militari, per un incontro al buio organizzato da una comune amica, desiderosa di acquietare i rispettivi singulti amorosi. Portai per cena a L'Aquila Nigra una ragazza/donna abbastanza carina, meravigliandola per la mia scelta. Lei invece si incaricò del seguito della serata conducendomi in un night/discoteca. Ove dopo essersi lungamente intrattenuta con una sua vecchia fiamma (come ebbe a precisare), lasciandomi col cerino metafisico in mano, mi chiese se non mi fossi acceso di gelosia per l'accaduto. Ebbi l'impressione di essere ritornato al mio profondo sud per la sua inopinata uscita. Forse per darle più importanza dovevo fare o fingere di essere geloso? Ancora oggi non mi capacito. Infine finimmo davanti casa sua parcheggiati in macchina, dopo il rifiuto al bicchiere della staffa in quanto c'era sua figlia (???) che dormiva. Le proposi di passare sul sedile posteriore per stare più comodi, sperando che i tre whisky che si era ingollato avessero indebolito le sue difese virtuose. Ci spupazzammo per un'oretta, lei ansimò un paio di volte, io invece lo ebbi duro senza nessuna pietà o gesto da parte sua, a parte qualche carezza seguita da subitanea ritrosia. Finché una civetta dei carabinieri si fermò accanto. Lei tirò giù il finestrino, li salutò con la mano, ed appena ripartiti disse di essere stata riconosciuta, per cui era più opportuno per lei rientrare in casa. All'accenno del mio basso ventre dolorante, la stronza rispose che sicuramente conoscevo il metodo per eliminarlo. In albergo dovetti ricorrere all'impari lotta dei cinque contro uno per dare sollievo ai miei gemelli doloranti. Non era il giorno degli innamorati, ma la sua vigilia. Tutto si compì quella sera, a parte qualche successiva telefonata senza alcun seguito concreto. Questo il menu proposto da me l'indomani per quel San Valentino:

Trancio di piovra con frutti di mare, battuto di olive taggiasche e capperi
Terrina di salmone fresco e sogliola con salsa rosa ai gamberetti
Lasagnette impastate con erbe aromatiche al ragù di astice cotto nella sua bisque
Scampi e gamberoni Thermidor
Tortino morbido al cioccolato bianco con cuore di lamponi
Caramelle di pasta sfoglia ripiena di passata di lamponi



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"non parlo inglese ma solo francese e tedesco"

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Come dire: sono quelle le lingue della cucina, insieme all'italiano ça va sans dire.

Preparare un Special sul sommo Maestro sarà abbastanza rischioso, ma si può fare, ce la potrei fare, magari buttandola sul lato umano e personale, e mai sul tecnico.

Su quel tema, chi avrebbe il coraggio di contraddirlo?

Sono decenni che abbina le acque ai suoi piatti. Sono decenni che si interessa ad ogni forma d'arte.

Che frusta gli improvvisati e gli autodidatti e,  i suoi - tanti - allievi, più o meno riusciti ad avvicinarlo.

Comunque riusciti, e quindi, di nuovo: come contraddirlo? Il numero Uno

Intanto questo, da uno dei molti blog che si occupano di food, , almeno, li l'ho letto e con piacere lo condivido, non avendo altro profilo se non quello sotto traccia dell'armadillo.

"Mi chiedono spesso quale sia il mio “elisir di lunga vita”, il mio segreto.
A furia di sentirmelo domandare una spiegazione l’ho trovata: la curiosità.

Mi piacciono le cose nuove, da quelle piccole di ogni giorno ai nuovi prodotti, fino al confronto con l’industria alimentare.
Mi appassionano le ricerche scientifiche. Con la Regione Lombardia in questi anni ho messo a disposizione la mia esperienza per sviluppare dei modelli alimentari da far adottare alla collettività, dalle scuole fino agli ospedali.
Mi incuriosiscono le nuove tecnologie. Quando ho rinunciato ai punteggi delle guide
ho aperto un profilo Facebook perché ho capito che grazie alla rete, e poi ai social,
gli strumenti di valutazione e di informazione stavano mutando.
Ho voluto l’iPad nel ristorante Marchesi alla Scala perchè mi permetteva di presentare con immagini il piatto, fornendo al contempo tutte le informazioni nutrizionali.
In questi giorni sono stato attaccato da un coro di giornalisti – la cosidetta “critica gastronomica”, che ho l’abitudine di informare puntualmente sui miei progetti. Il motivo? Una brutta intervista raccolta da un giornalista d’assalto che, devo ammettere, con sapienza tutta strumentale,ha riportato ed enfatizzato alcune mie battute in risposta alle sue provocazioni.
Nessuno ha messo in dubbio la “buona fede” del giornalista. Piuttosto, ha fatto notizia polemizzare con me, fino all’invito a ritirarmi per “sopraggiunti limiti di età”.
Su questo mi sento di dover rispondere.
Perché mi dovrei ritirare quando ho ancora un sacco di cose da fare e altrettante da scoprire?
Sono tornato in televisione per affrontare un tema che mi sta a cuore. Il mestiere del cuoco.
Anche in questo caso ho capito che continuare a ripetere che certi programmi danneggiano la reputazione di un lavoro necessario, antico e faticoso, sarebbe stato vano. Ho pensato di utilizzare lo stesso mezzo, quello televisivo, per affermare il mio punto di vista.
E poi c’è il grande progetto della Fondazione Gualtiero Marchesi e la novità del Crowdfunding un modo contemporaneo, anche se non sarà il solo, per finanziare la partenza delle attività nella nuova sede di Varese, all’inizio del 2018.
Fino a poco tempo fa non avevo mai sentito parlare di questa forma di raccolta fondi e ancora oggi è un termine che non so pronunciare (non parlo inglese ma solo francese e tedesco). Mi sembra un’opportunità incredibile che aumenta le possibilità di relazioni e, parallelamente, informa chi è interessato a quello che facciamo.
So che qualcuno sta già commentando: “Marchesi è senza soldi!”. Anche in questo caso mi interessa lo scopo: dare una sede funzionale a una grande Accademia di alta formazione che unisce le arti e, attraverso il gusto, possa formare le persone talentuose.
Brindo simbolicamente – visto che da oltre 15 anni non bevo più! – agli amici di sempre e ai nuovi “friends”!
Gualtiero Marchesi

Un soffio

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Marco 50&50

Ti mettevi in porta, al Parco Lambro,  fra un albero e l'altro, io correvo e calciavo la palla fino all'ultimo respiro, poi mettevo la mia mano nella tua e tornavamo a casa.

Il parco da qui è vicinissimo ma nessuno sta giocando, non si sente alcun rumore se non quello inquietante del silenzio, la centodieci è in fondo al corridoio a sinistra, la porta è socchiusa, entro, metto la mia mano sulla tua e comincio a piangere, fino all'ultimo respiro, un soffio.

Sergio, sul retro della foto avevi scritto, "Maria, mi manchi tanto" non me l'avevi mai detto, adesso l'hai raggiunta, viaggi con quattro anni di ritardo, ma in fondo cosa sono di fronte all'eternità, un soffio.

M 50&50


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Delamotte Champagne Blanc de Blancs s.a.

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Non fai in tempo a scrivere - giusto la scorsa settimana - che quasi sempre l’etichetta fa il monaco, che subito, quand même, vieni sbugiardato. Stavolta ho fatto filotto, poiché su tre flaconi, neanche mezzo mi ha convinto; per giunta dalla tipologia – blanc de blancs– che è considerata la specialità della casa.

Con la bacca bianca proveniente da 4 villaggi Gc– Oger, Cramant, Avize e Le Mesnil sur Oger – non è peregrino attendersi fuochi d’artificio o, quanto meno, la barra del minimo sindacale posizionata molto più su. Macchè, “il livello è basso”, come ricordava, mimandolo con la mano, Riccardo Pazzaglia.

Circa i profumi, li colloco non tanto in territorio “delicato”, quanto piuttosto in quello evanescente/latitante. Escludendo una buona freschezza, un discreto tocco di fiori bianchi e una flebile nota agrumata – più limone che altro – manca quello che costituisce la spina dorsale di un bdb con i fiocchi – ciò cui questa boccia ambisce - vale a dire la gessosità che, nella fattispecie dovrebbe stendere le narici.

Tutte queste debolezze trovano, malheureusement, abbondante corrispondenza in un sorso, burroso e lontanamente minerale, slegato e diviso tra confuse sensazioni acidule e dosaggio scomposto.

Tra il serio e il faceto, in ultimo, mi chiedo, se i grappoli migliori di Chardonnay non siano finiti, per sbaglio, nella caveà côté, quella con la “S”?

Pestando sul Pesto

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E' appena finita la festa nazionale del gatto e quindi mai avrei pensato di poter immaginare quache pensata sul pesto, proprio quando rientro al faro già in zona premi e scopro esiste un campionato mondiale sul tema. Ovviamente a Genova.



Ad Arenzano sull'autobus: Avanti c'è pesto.



Ad Alassio, sul lungomare: Un pesto al sole



A Genova Sottoripa: Se non ti levi ti pesto



A Spezia, ovunque: T'impesto nel golfo



A Savona sul tardi fuori dai bar in darsena : occhi pesti



Sempre a Genova, dove suonano di notte i Buio Pesto, e dove ce ne mettono di più di aglio ... hanno un alito ? ... questa è facile.




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